Processo Stasi, ergastolo per Candita. Una sentenza inconcepibile.

Se è vero che il pubblico ministero Giuseppe De Nozza aveva chiesto nel processo per la morte del 19enne Paolo Stasi l’ergastolo per il 22enne Cristian Candita, colpevole di aver accompagnato il 9 novembre 2022 l’allora minorenne L.B ad uccidere Stasi, sorprende tuttavia come la corte giudicante, presieduta da Maurizio Saso possa aver, sia pure al termine di una lunga camera di consiglio, emanato un dispositivo di sentenza che accoglie le richieste del pm.
Ergastolo, con isolamento diurno di un anno (più una provvisionale di 200 mila euro a testa per i genitori e la sorella della vittima) per Candita, con l’accusa di concorso in omicidio, con l’aggravante della premeditazione e dei futili motivi: questo è quanto stato decretato dalla Corte, prima che la stessa pubblichi le motivazioni della sentenza.
Una sentenza che definiamo inconcepibile per una serie di motivi, il più lampante dei quali è che la giustizia italiana possa riconoscere una pena tutto sommato moderata, al responsabile e reo confesso dell’omicidio, di 20 anni ridotti a 16 in secondo grado, per il solo fatto che egli fosse minorenne, per pochi mesi ancora, all’epoca dei fatti.
Al tempo stesso, in maniera inversamente proporzionale alle responsabilità oggettive, punisce con l’ergastolo chi abbia avuto l’infelicissima idea di accompagnare l’amico a vendicarsi per il debito di droga, 5 mila euro, che Paolo Stasi aveva contratto nei suoi confronti.
Che vi fosse la premeditazione di uccidere Stasi, non si evince in maniera inequivocabile dalle intercettazioni e dalla ricostruzione della vicenda, ma ancora, il soggetto animato da voglia di rivalsa nei confronti di Stasi, era il minorenne, che certamente aveva riferito a Candita di volerlo colpire alle gambe con la propria pistola, e che poi i colpi diretti al petto siano partiti perché Stasi avrebbe cercato di respingerlo chiudendo il portone della sua abitazione.
In sostanza, si attribuisce un “fine pena mai” a chi, pur essendo anch’egli molto giovane, sebbene già maggiorenne da qualche anno, accompagna l’amico ancora minorenne a compiere quello che doveva essere “solo” un avvertimento, e si alleggerisce in maniera fin troppo dolce la responsabilità oggettiva di un soggetto che ha ucciso. La sproporzione è evidente.
E se pure vogliamo tenere fermi i principi giuridici inscritti nel riconoscimento delle attenuanti date dalla minore età, non si può non vedere che sull’accompagnatore non vi sia un uguale bilanciamento fra responsabilità oggettive nella vicenda e pena comminata.
Giova inoltre ricordare come la vicenda si inquadri all’interno di un giro di spaccio, della quale la stessa povera vittima era parte attiva, assieme alla madre, la quale è stata invece assolta quest’oggi dall’accusa di aver cooperato con il figlio Paolo nella preparazione delle dosi da vendere sulla piazza francavillese.
Per lei era stato lo stesso pm De Nozza a chiedere l’assoluzione. Ci potrebbe stare anche questo, visto che, come si dice in questi casi, quella madre sta già scontando una pena enorme. Ma di nuovo, come si fa a non notare come si tratti di un caso di giustizia strabica?
L’avvocato dell’imputato, Maurizio Campanino, ha subito preannunciato di voler fare ricorso in Appello.