Con la proiezione di “Sotto il cielo dell’Ilva”, Marzia Stano, nel 2015, ha aperto il concertone del primo maggio tarantino
«Dal finestrino dell’espresso salutammo la città, era l’addio di chi sa bene che non si fugge dalla verità»
L’intensità e l’emozione di un viaggio. Una descrizione fin nei minimi dettagli, quella della passione tra due amanti che si sfiorano sotto un cielo di stelle; due amanti che si sentivano vivi “mentre Taranto bruciava”. È questa la storia, e due giovani e i loro sogni ne fanno da protagonisti, vivendo la loro vita “sotto il cielo dell’Ilva”.
È proprio quest’ultimo il titolo della canzone scritta da Marzia Stano, in arte “Una”, una cantautrice nata a Bologna, con origini tarantine e vissuta a Bari. Il suo brano nel 2015, con la proiezione del videoclip su maxischermo, ha aperto il concertone del primo maggio tarantino. Un motivo abbastanza allegro che fa venir voglia di ballare, e delle parole molto forti e dense di significato. Il video musicale è stato girato nella città di Taranto.
La scelta del brano è stata totalmente in linea con i presupposti del concertone del primo maggio tarantino, che utilizza la musica come collante, come cornice a quello che invece è un vero e proprio momento di riflessione sulle sorti della nostra città.
Il video ufficiale del brano è molto suggestivo. Si vede una coppia di ragazzi, giovani e innamorati. La storia di un viaggio, ragazzi che presumibilmente vanno via, sapendo forse di tornare. Sullo sfondo la città di Taranto, i suoi fumi, il suo cielo che anche alle dieci del mattino – come dice il testo della canzone – sembra essere al tramonto; “il tramonto infermo di un’intera civiltà”.
Insomma musica, e un messaggio. Una testimonianza forte sul palco del primo maggio tarantino. A tal proposito abbiamo intervistato Marzia Stano per saperne qualcosa in più.
Perché hai scelto di parlare della città di Taranto, cosa ti ha portato ad affrontare un argomento così attuale e drammatico?
«Probabilmente perché mi viene più istintivo parlare delle cose che conosco o di esperienze vissute sulla mia pelle e Taranto è una città a cui sono legata affettivamente ed emotivamente. Un po’ perché metà della mia famiglia è tarantina e un po’ perché da amante della mia regione, la Puglia, sento la questione ambientale legata a Taranto un problema di tutti, a prescindere dai confini geografici».
Nella presentazione del tuo video hai scritto che hai solo questa canzone e il tuo carico di rabbia verso l’acciaio e d’amore verso Taranto. Cosa ti lega nel bene e nel male alla nostra città?
«Taranto per quanto è bella avrebbe potuto vivere di turismo, pesca, Università, buon cibo, ingegneria navale e birra Raffo. Invece qualcuno tanto tempo fa decise di impiantare la più grande azienda siderurgica d’Europa, rendendo la gente dipendente dalla sua stessa rovina. Sono legata ai ricordi e agli amici, ma non sopporto la rassegnazione per quanto mastodontico sia il problema, credo che non bisogna mai smettere di credere che le cose possano cambiare. Per questo apprezzo chi ne parla, chi porta in giro la storia di Taranto, come il poeta Vincent Cernia con il suo libro di poesie “Il mostro”».
Il tuo brano è stato scelto per aprire il Primo Maggio Taranto, durante la scorsa edizione, nel 2015. Come hai vissuto questo momento e cosa vuol dire per te?
«Sono stata felicissima e profondamente onorata di aver contribuito nel mio piccolo a far circolare anche fuori dai confini pugliesi la storia di Taranto e di moltissimi ragazzi giovani che oggi sono costretti ad andare via per avere un futuro».
Un passo del tuo brano, mentre i protagonisti del video vanno via in treno, dice: “è l’addio di chi sa bene che non si fugge dalla verità”. In base a questo passaggio, chi secondo te a Taranto fugge dalla verità?
«La verità è qualcosa che pur scegliendo di tenerla più lontano possibile dai propri occhi, vive e sedimenta sempre nel proprio cuore. Io non so dare una risposta precisa alla tua domanda, ma so solamente che chi ha progettato l’Ilva, non vive di certo ai Tamburi».
In che modo secondo te, la musica può animare l’opinione pubblica su un tema così delicato?
«La musica quando non si limita ad essere soltanto una forma di “intrattenimento” può fare moltissimo, può far crescere la consapevolezza nelle generazioni di mezzo, può far crescere la speranza in quelle più giovani, può stimolare una riflessione e creare connessioni tra persone, è ancora molto potente come forma d’arte e credo molto nella sua forza comunicativa».
Nel tuo video ci sono due giovani che si amano sotto il cielo dell’Ilva. Lei alla fine si ammala. Qual è il tuo messaggio?
«Io racconto solo delle storie e il messaggio abita l’anima di chi le ascolta. Però dato che hai citato una frase, consentimi di citarne un’altra che forse racchiude il senso di Sotto il cielo dell’Ilva, “dal finestrino dell’espresso salutammo la città, era l’addio di chi sa bene che un giorno tornerà…”».
Per Marzia Stano, così come ci ha riferito, non è stato semplice scrivere questo testo: «trattare argomenti così delicati è sempre rischioso. Il timore di cadere nella retorica o al contrario di banalizzare il tema è sempre dietro l’angolo, alla fine ho scelto di seguire il mio istinto e far fluire le parole senza freni. Poi una grossa radio di cui non posso rivelare il nome, sembrava interessata al passaggio della canzone qualora avessi deciso di chiamarla in un altro modo e di togliere la parola Ilva dal titolo, ma io non ho fatto passi indietro e con la mia solita cocciutaggine ho deciso di andare avanti in autonomia, sempre affiancata dalla mia fedele etichetta, ho deciso di affidare la realizzazione del video ai ragazzi di Broga Doite, che in virtù del loro legame col territorio e la loro storia personale, sapevo avrebbero regalato al brano le migliori immagini che potevo aspettarmi, cariche di una profonda autenticità e passione».
Elena Ricci