Il contestatissimo arbitro brindisino Di Bello trova nella moglie Carla un innamoratissimo legale difensivo
Scrivevamo ieri del clima avvelenato che caratterizza gli stadi da calcio e tutto quanto circonda l’ambiente del pallone. Le tifoserie, che dovrebbero essere le parti sane di uno sport fattosi sempre più industria e marketing e sempre meno passione autentica, si fanno prendere la mano e si fanno “apprezzare” per atteggiamenti che, invece che valorizzare la genuinità della loro passione per i colori sociali della propria squadra, mettono in scena odio e violenza del tutto ingiustificati.
Ci sono quelle fisiche ma anche quelli verbali, delle quali è stato vittima l’arbitro brindisino Marco Di Bello, reo di aver espulso tre giocatori laziali nell’incontro di campionato che la squadra biancoceleste ha perduto col Milan. Sull’arbitro e sull’uomo si è riversata, tramite social network, una valanga di risentimento e di minacce, alle quali l’arbitro non ha potuto, neppure educatamente, replicare, poiché glielo vieta il regolamento della lega arbitrale.
Ha voluto prendere la parola invece la moglie, per cercare di proteggere, parzialmente, il marito da questo diluvio di accuse, con una lettera aperta diffusa ai mezzi di comunicazione.
“Non è facile scrivere rimanendo lucida ed educata, non è per niente facile, ma devo restare equilibrata e serena per non farmi travolgere ed inghiottire da questa tempesta d’odio”, scrive Carla Faggiano nella sua appassionatissima arringa difensiva. E prosegue: “non voglio parlare di arbitraggio, non mi interessa parlare di calcio e calciatori, non posso parlare però di sport perché sport non è più: nello sport non c’è spazio per odio e violenza. Invece sono due giorni e chissà quanti altri ne seguiranno, che su un Uomo si stanno riversando le più indicibili cattiverie e ostilità. (…) Non sono qui per difendere Marco, in quanto capace di poterlo fare da sè. Sono qui per mettermi accanto a lui, per poterlo alleggerire dal carico emotivo subito Sono qui per ricordare che dietro una divisa, fuori dal campo, lontano dalle telecamere, c’è un uomo- Ci sono sacrifici, impegno, dedizione, rinunce, sogni, successi e sconfitte. C’è Marco Di Bello, ci sono la sua forza, la sua dignità e tanto altro ancora che niente e nessuno riuscirà mai a cancellare”.
Ferita come se quelle accuse fossero state rivolte a lei, la moglie dell’arbitro finito al centro dei riflettori, suo malgrado, ha cercato in questo modo, orgogliosamente, di rivendicare il ruolo ed i meriti acquisiti dal marito sul campo. C’è tuttavia anche la dimensione amplificata dei social network, che creano eroi, o mostri, con la stessa velocità con la quale poi li dimenticano, presi dalla nuova campagna mediatica da imbastire. Basterà che si giochi la prossima partita, che i pedatori intaschino per la stessa il profumato assegno loro spettante, e gli ultras avranno altri oggetti verso i quali destinare i loro improperi.
Che il giocattolino del pallone rimbalzi ormai del tutto sgonfio dei suoi valori tradizionali, spinto solo dall’aria artificiale del business, cui per primi le società di calcio non vogliono rinunciare (vedasi, per ultima, la Supercoppa recentemente organizzata nei paesi arabi, o gli incontri di campionato a favore di spezzatino televisivo) a questi tifosi non sembra importare.