Lecce- Santa Croce, nuove scoperte: l’altare ritrovato.
La chiesa di Santa Croce a Lecce, edificio fra i più studiati perchè simbolo per eccellenza della scultura e architettura rinascimentali e barocche pugliesi, continua, nelle pieghe dei suoi muri, a riservarci ancora sorprese. In una intercapedine, larga circa 80 centimetri è emerso un intero altare plausibilmente tardocinquecentesco. Per capire qualche cosa di più su questa ritrovata opera di scultura è stato necessario condurre naturalmente prima di tutto una ricerca nella vastissima bibliografia dedicata a questa famosa chiesa leccese, paradossalmente, però non si è ancora trovato nulla. Non solo non si sono rinvenute notizie ma, e ciò è ancora più importante, neanche foto né disegni di questo altare e addirittura l’intercapedine in cui si trova nascosta l’opera non è segnalata neppure nei rilievi architettonici presenti nelle pubblicazioni più autorevoli dedicate proprio a Santa Croce. In mancanza di oppurtune, adeguate notizie sull’argomento ed in attesa di ulteriori che dovessero scaturire dai doverosi approfondimenti in corso, l’opera, oggetto di quella che sembrerebbe essere una vera e propria scoperta, merita almeno una seppur rapida descrizione. Dell’altare è visibile soprattutto e meglio la metà superiore.
Al centro è un arco il cui diametro all’intradosso è pari a circa metri 2.92. Sulla ghiera di questo arco (a fasce e modanata) compaiono, equamente distribuite, 7 teste d’angelo (tre a destra, tre a sinistra e l’ultima collocata in chiave); l’arco, poggiante su pilastri con cornice è inquadrato da due colonne corinzie. La trabeazione, riccamente e variamente scolpita, è in parte danneggiata all’altezza della cornice superiore. Particolarmente interessante è il fregio.
Su quest’ultimo si dispiega infatti una vera e propria processione di angeli ignudi a figura intera sostenenti i simboli della Passione di Cristo (i dadi e la tunica, la scala, i chiodi, la corona di spine, etc). Quegli angeli, partendo dai risalti della trabeazione in corrispondenza delle colonne, procedono in fila, gli uni da destra e gli altri da sinistra, verso il centro del fregio. Nei due pennacchi (ovvero fra l’architrave, l’arco centrale e le colonne laterali) sono inserite, una per parte, le figure intere di due vegliardi. Quello di sinistra ha una barba più lunga dell’altro a destra. Dal punto di vista iconografico questi due personaggi potrebbero essere la rappresentazione di quei profeti che anticiparono nei loro scritti (contenuti nel Vecchio Testamento) la venuta di Cristo. Al fine di identificare meglio tali ipotetici ‘profeti’ potrebbe essere utile osservare alcune figure molto simili presenti in due note opere pittoriche raffiguranti entrambe la “Trasfigurazione”: la prima (oggi presso il museo Nazionale di Capodimonte a Napoli) dipinta nel 1479 circa da Giovanni Bellini (Venezia, 1433 circa – 1516); la seconda realizzata da Lorenzo Lotto (Venezia, 1480 – Loreto, 1556/1557) databile al 1510-1512 e conservata nel museo civico “Villa Colloredo Mels” a Recanati. In entrambi i dipinti, ai lati della centrale figura di Cristo, vi sono due anziani barbuti che le Sacre Scritture ricordano come Mosè ed Elia.
Due dettagli (lunghezza della barba e copricapo di uno dei due) presenti nel primo dipinto (figura a sinistra di Cristo) sembrano significativi perchè contraddistinguono in modo analogo anche la figura scolpita (quella meglio visibile) dentro il pennacchio destro dell’altare ritrovato; tali elementi ritornano poi simili anche nel secondo dipinto ed in particolare in quel personaggio che, a destra del Cristo, è significativamente identificato in modo inequivocabilmente chiaro come Mosè da una iscrizione dorata posta sotto la stessa figura. Nel primo dipinto inoltre ognuno dei due vegliardi (incluso lo stesso Mosè che spesso nella storia dell’arte invece è rappresentato unitamente alle Tavole della Legge) sostiene quello che sembra essere un foglio srotolato; un elemento simile, ma molto più lungo, è sorretto da ciascuno dei due personaggi collocati nei pennacchi dell’altare nascosto nell’intercapedine. Per completezza si aggiunge che non sono state rilevate incisioni fin dove è stato possibile ispezionare l’opera (metà destra superiore); essa inoltre, a tratti, presenta diversi strati di scialbature (risalenti, evidentemente, al tempo in cui assolveva alla sua funzione sacra). Non sappiamo quando questo altare (e altri pezzi di colonne che si vedono nella parte alta dell’intercapedine) sia stato reimpiegato murandolo come oggi lo si rileva; non è da escludere che la sua attuale posizione sia conseguenza della ottocentesca costruzione del soprastante campanile. L’ampiezza frontale dell’altare farebbe inoltre escludere che si tratti di quello un tempo esistente nell’ultima cappella della navata destra ed eliminato per aprire la porta che conduce negli ambienti dell’attuale ufficio parrocchiale. Al di là di altre ipotesi, un legame più specifico dell’altare con la chiesa di Santa Croce però sembrerebbe comunque già esserci. L’analisi stilistica consentirebbe infatti di attribuirlo alle stesse maestranze (molti di essi erano membri della famiglia dei Renzo, noti costruttori e scultori) che lavorarono (come attestato da un noto atto notarile datato 1 luglio 1586) alla costruzione di Santa Croce e in particolare agli autori delle teste d’angelo poste immediatamente sotto i capitelli delle paraste che, sopra le colonne, scandiscono il piano inferiore della navata centrale.
Fabio A. Grasso