Taranto – «Noi che viviamo dell’Ilva tra prepotenze e cortisone»
Il salario dell’Ilva di Taranto nutre e ammala la piccola Federica allo stesso tempo. Fabio Cocco, 43 anni di cui 13 alle dipendenze del gruppo come operaio, prima di farsi assumere in fabbrica faceva il pizzaiolo. Danilo, il secondo figlio di Fabio e Francesca, ha 15 anni e studia all’alberghiero: «A Taranto c’è un problema di lavoro e un problema di salute. Che gli impianti non sono a norma lo so io che ho quindici anni. L’abbiamo qui a due passi, l’Ilva, e la cosa strana è che facciamo finta di niente».
A Fabio quel far finta di niente ruba chili dal corpo. Col volto scavato e una pazienza infinita, si prende cura della figlia Federica, 3 anni, quando mamma Francesca è di turno a Telepermarmance, multinazionale dei call center. Uno spruzzo di Fluspiral tre volte al giorno. L’operaio attacca al nebulizzatore un diffusore grande quanto una bottiglietta d’acqua e poi spruzza, cortisone a colazione, pranzo e cena, come prescritto dal medico, come succede a centinaia di bambini in età prescolare.
«All’asilo sono venti in classe e diciannove hanno problemi respiratori: – racconta Francesca – il raffreddore dura tutto l’anno, la notte respirano male, le adenoidi sono ingrossate. Con le altre mamme non faccio altro che parlare di farmaci e rimedi naturali. Questa non è vita». La schizofrenia di una vita così risuona nel tono rabbioso di Fabio quando risponde alla suocera che gli rammenta, per l’ennesima volta, che la fabbrica non va chiusa perché dà lavoro a undicimila tarantini: «E che me ne faccio del salario se poi lo devo spendere tutto in medicine per la bambina?».
Fonte IlsecoloXIX