Le cose da non dire ai malati di tumore
Sentirsi diagnosticare un tumore è sempre uno choc. E l’impatto della malattia sul benessere psicologico dei pazienti e dei loro familiari continua a essere rilevante nei mesi, talvolta negli anni, a seguire. Lo hanno dimostrato in questi anni diversi studi condotti a livello internazionale: circa un terzo delle persone affette da cancro (fra il 30 e il 35 per cento) mostra sintomi di stress e sofferenza psicologica, soprattutto ansia e depressione. Come aiutarli? Come interagire con loro senza essere troppo invadenti o troppo assenti? «I medici devono tenere sotto controllo il benessere psicologico dei pazienti insieme a tutti gli altri parametri della malattia, è fondamentale che se c’è una sofferenza sia colta precocemente e che si intervenga subito» dice Paolo Gritti, presidente della Società Italiana di Psiconcologia (Sipo), che ha stilato questo decalogo.
Non trattarlo come uno sciocco o un incapace
«La tua sofferenza ti toglie lucidità, lascia decidere che ne sa più di te», oppure «Devi solo riposare e stare sereno, saremo noi a sostituirti e ci occuperemo dei tuoi impegni» sono frasi che è meglio evitare. Pur se sofferente, il paziente va aiutato a considerarsi una persona attiva e propositiva tutte le volte che è in grado di considerare i vari aspetti della malattia, prendere le decisioni conseguenti dialogando con i medici ed i familiari, mantenere i propri impegni quotidiani senza dover necessariamente trascorrere le proprie giornate a casa o nel letto in attesa degli effetti delle terapie.
Non demoralizzarlo
Pur senza eccedere con l’ottimismo, si possono aiutare molto i malati tenendo alto il loro umore, incoraggiandoli e cercando di non sottolineare troppo l’incertezza sul futuro e gli effetti negativi delle cure. Potenziare il proprio «spirito combattivo» verso la malattia è un’eccellente risorsa per il paziente che andrebbe sostenuta dai medici e dai familiari. Intendere il cancro come un nemico da sconfiggere facendo appello alle proprie risorse, rende il paziente pienamente collaborativo con i medici, incline a sostenere meglio gli effetti collaterali dei trattamenti oncologici nonché ottimista sulle possibilità di guarigione.
Non mentire sulla diagnosi
«Tranquillo, tutto si risolve». «Non è una brutta malattia». «I medici non hanno ancora capito di cosa si tratta». Il paziente, invece, ha il diritto di conoscere il proprio stato di salute reale se lo richiede. E anche se non esprime questa esigenza chiaramente è bene ricordare che chi ha un tumore riconosce molto presto la natura della sua malattia ed è molto attento a cogliere le informazioni che lo riguardano. Non è affatto disposto a «stare al gioco» di chi gli racconta bugie: ne va della sua vita. Il silenzio e la menzogna non giovano in nessun caso perché impediscono a tutte le persone coinvolte di parlare chiaramente e affrontare le difficoltà insieme, acuiscono l’isolamento e la paura del malato e, specie nelle situazioni più gravi, negano al diretto interessato la possibilità di esprimere le sue volontà.
Non promettere il proprio silenzio
«D’accordo, allora è deciso: nessuno di noi dirà nulla, meglio che non sappia». Non di rado amici, parenti, conoscenti, oltre al personale ospedaliero, sono coinvolti nella «congiura del silenzio». I familiari del paziente sono preda dell’angoscia e della tristezza, nonché alle prese con difficili problemi di vita quotidiana: vorrebbero proteggere il loro caro da sentimenti negativi e problemi mentendo sulla natura della malattia e sulle sue conseguenze per la vita di tutti loro. I medici, gli infermieri, i conoscenti dovrebbero invece aiutare i parenti a condividere con il paziente le informazioni sulla malattia, sulle cure e sulle sue conseguenze pratiche.
Non cadere nella trappola delle mezze verità
È ancora assai frequente che i familiari tendano a proteggere il malato non rivelandogli la diagnosi o avanzando con mezze verità. Procedere per gradi può essere una soluzione valida, dando il tempo al diretto interessato di metabolizzare le notizie negative poco alla volta, ma quella della verità parziale dev’essere una soluzione di passaggio. Oggi molte ricerche hanno dimostrato chiaramente che la stragrande maggioranza dei pazienti oncologici (ferme restando alcune differenze culturali) vuole conoscere la verità sul tipo di tumore di cui soffre, sulle probabilità di guarire e sul percorso terapeutico da affrontare. Una situazione poco chiara complica l’operato dei medici e agita il paziente, impedendogli di affrontare con calma la malattia in famiglia, mentre vorrebbe poter parlare di più di quel che sta accadendo. Da diverse ricerche emerge anche chiaramente che conoscere la realtà delle cose non porta a disperazione e non accresce lo stress dei malati, ma anzi consente loro di prepararsi meglio a quello che dovranno affrontare.
Non tacitarlo
«È bene che tu pensi solo ad affidarti ai medici senza farti troppe domande, pensare troppo fa male» è un pessimo consiglio. Il paziente ha un disperato bisogno di esprimere le proprie opinioni e le proprie emozioni. I medici, gli infermieri, i familiari e i conoscenti dovrebbero dedicare un tempo adeguato nell’ascolto del paziente. Questo atteggiamento lo farà sentire riconosciuto come persona e valorizzato nella propria esperienza di sofferenza e paura.
Non avallare decisioni su trattamenti non convalidati dalla scienza medica
«Proviamo anche questa cura, dicono che faccia miracoli. Non credete ai medici che vi sconsigliano queste cure solo perché non sono riconosciute dalla medicina ufficiale». L’angoscia, la disperazione, l’evidenza del fallimento delle cure conducono talvolta il paziente e i familiari ad affidarsi a guaritori senza scrupoli o a terapie inefficaci o dannose, alternative alle conoscenze della medicina scientifica, non di rado spacciate per miracolose. Sostenere queste ingenue aspettative nel paziente e nei familiari significa infiggere loro spese e viaggi inutili ma, soprattutto, una ancor più dolorosa esperienza di scoramento e dolore allorché anche queste illusioni cadranno. Negli ospedali italiani sono disponibili le cure migliori, tanto che la sopravvivenza per i vari tipi di tumore nel nostro Paese è come minimo uguale, ma spesso superiore, a quella dei più avanzati Paesi europei
Non imporre decisioni di fine vita al paziente e ai familiari
«Fate così, è la scelta migliore per lui/lei e per voi». Quando le cure falliscono, la malattia prende il sopravvento e al paziente si prospetta il peggio, s’impongono difficili decisioni per lui ed i familiari. È opportuno che medici, amici, conoscenti si rendano disponibili all’ascolto delle esigenze del malato e dei suoi cari, lasciando però a loro la decisione definitiva. In particolare i curanti dovrebbero prospettare tutte le soluzioni possibili per il singolo caso (dall’hospice all’assistenza domiciliare, con le varie cure antidolorifiche e palliative sempre a disposizione), mentre essere pronti a raccogliere sfoghi di inevitabili momenti di scoraggiamento, rabbia, tristezza, timore è un buon modo in cui tutte le persone vicine alla famiglia possono rendersi utili.
Colleghi, amici, conoscenti non fate sentire il malato invisibile
Spesso nell’ambiente di lavoro non si sa come comportarsi: se chiedendo informazioni sulla malattia e l’andamento delle cure si teme di essere invadenti, tacendo si rischia di sembrare insensibili o indifferenti. Lo stesso vale per gli amici, i vicini di casa, i parenti meno stretti, i conoscenti vari. La malattia costringe i pazienti ad assentarsi dall’ufficio e a non frequentare amicizie e conoscenze: il rientro alla quotidianità è emotivamente difficile. Il paziente si sente come «marchiato» dalla malattia, vorrebbe nasconderla e , al tempo stesso, vorrebbe conforto e accoglienza. Far finta che nulla gli sia accaduto può avere effetti controproducenti, conviene piuttosto fargli intendere che gli siamo vicini in un momento negativo della sua vita. Un semplice: «Ciao, come va? Come ti senti?» è l’atteggiamento migliore perché il paziente si senta libero di esprimersi, raccontare o tacere.
Non dare consigli non richiesti su malattia e su cure
«Ho letto tutto sui tumori. Conosco bene la malattia, ho tanti conoscenti ammalati. Non ti fidare del primo oncologo che ti capita» sono frasi a sproposito. Il paziente rischia di rimanere disorientato dalla grande quantità di informazioni sui tumori che circolano in rete o sui social network, che si aggiungono alle valutazioni degli oncologi e alle opinioni dei familiari. Sarebbe bene che amici, colleghi, conoscenti si astenessero dall’incrementare la babele di informazioni e opinioni che il malato assorbe come una spugna. È più utile aiutarlo a riflettere sulle sue conoscenze e dare un sostegno nelle sue decisioni, fornendo notizie e pareri solo dietro precisa richiesta.
Che fare quando il malato è un bambino o un adolescente
Anche ai più piccoli è bene non mentire. «Nascondere la verità sulla malattia, dare certezze false (dalle più importanti sulla prognosi, alle più banali sulle procedure da effettuare) fa sentire i bambini e i ragazzi imbrogliati – spiega Marina Bertolotti, responsabile del Servizio di Psiconcologia pediatrica alla Città della Salute e della Scienza di Torino -. Così non stabiliranno un rapporto di fiducia coi medici o si sentiranno traditi dai genitori. Essere attenti e sensibili, sostenere la speranza, inizia dal poter avere un rapporto sincero con i pazienti». Inoltre non bisogna pretendere a tutti i costi che siano di buonumore: «Pretendere che siano allegri svilisce la dignità della sofferenza, li fa sentire incompresi, obbligati a sorridere per fare piacere agli adulti e, in ultima istanza, li isola nelle loro difficoltà» continua Bertolotti. Inoltre non si deve bocciare qualsiasi progetto a distanza o, al contrario, sollecitare di continuo il pensiero del futuro.
Fonte Corriere.it