Otto marzo: più tutele e più attenzioni verso le donne
Come ogni anno l’8 marzo viene salutato con tantissime manifestazioni per la Giornata Internazionale della donna.
Una ricorrenza ormai nota come “la festa della donna”, che con il passare degli anni rischia di svuotarsi di significato, trasformandosi in occasione commerciale di vendita di mimose, cioccolatini, di serate in pizzeria, dimenticando il movimento delle rivendicazioni dei diritti delle donne, al quale la ricorrenza fa riferimento, che si celebrò per la prima volta nel febbraio del 1909 negli Stati Uniti su iniziativa del Partito Socialista americano.
Una strada difficile, piena di sofferenze e atrocità, quella che è stata percorsa dalle donne per affermare i propri diritti. Ancor oggi, come dimostrano i dati statistici, una donna su tre, nel corso della sua vita, incorrerà in un episodio di violenza (fisica o sessuale) in ogni parte del mondo.
La violenza a carico della donna, purtroppo, è un fenomeno che trascende i tempi storici e le condizioni socio-culturali. Non scompare neanche con l’avanzare del progresso, è divenuta solo più subdola e multiforme. Gran parte di essa viene esercitata all’interno delle mura domestiche dal maschio che detiene il potere e che lo esercita ai danni di chi è più debole (oltre alle donne sono i bambini le vittime più frequenti attraverso quella forma comunemente definita “violenza assistita”). Sono sopraffazioni, percosse, abusi, maltrattamenti, ma anche minacce e aggressioni verbali che nella quasi totalità dei casi restano impuniti perché non vengono denunciati, anche quando si protraggono per anni. È un dramma che si consuma in silenzio anche perché è percepito come un fenomeno assolutamente privato e non un problema pubblico. La sua reale gravità non viene riconosciuta data la difficoltà di pensare che una persona alla quale si è legati da vincolo di sangue o d’amore possa essere il proprio carnefice.
Da studi recenti emergerebbe che all’interno del rapporto di coppia, a dispetto di una presunta dipendenza femminile nei confronti dell’uomo, è piuttosto quest’ultimo che non sa rassegnarsi alla perdita dell’oggetto d’amore. Ciò si spiega con il fatto che quando un rapporto è basato sulla possessività, sull’autoritarismo assoluto da parte dell’uomo, il dover accettare una decisione non presa in prima persona e di perdere una proprietà piuttosto che un affetto, spinge verso una reazione violenta, un’aggressione a difesa di ciò che si teme di perdere, compreso il proprio dominio.
In Italia sono stimate in 6 milioni e 778mila le donne (ovvero il 31,5%) che nel corso della propria vita sono state vittime di episodi di violenza. I dati del femminicidio* in Italia sono inquietanti. L’anno più tragico è stato il 2013 con 173 vittime. Dal 2000 sono 330 le donne che sono state uccise per aver lasciato il proprio compagno (Eures). Sono i femminicidi che gli istituti di ricerca definiscono del “possesso”, conseguenti cioè alla decisione da parte della vittima di uscire dalla relazione di coppia. La donna diventa colpevole di decidere e punita, per la maggioranza dei casi, nei primi 90 giorni dalla separazione.
Cifre davvero agghiaccianti se si pensa che dietro un atto di eccezionale gravità, come l’omicidio, che non si può nascondere, albergano forme quotidiane di violenza fatta di piccoli gesti, di soprusi, di conflitti e cattiverie che si stratificano giorno dopo giorno. Le considerazioni diventano più tragiche se a ciò si aggiunge che alle richieste d’aiuto da parte delle donne vi è, spesso, una inadeguata/inefficace risposta istituzionale. Nel 2013, difatti, ben il 51,9% delle future vittime di omicidio avevano segnalato, denunciato, le violenze subite.
Ma per molte donne, ancor oggi, la denuncia significa un prezzo sociale molto alto da pagare in termini di biasimo e vergogna. In letteratura è noto il fenomeno della “vittimizzazione secondaria”, un danno del tutto autonomo, distinto dal primo, con delle caratteristiche ben distinte che si sommerebbe al primo danno, determinato dagli atteggiamenti negativi nei confronti delle vittime da parte delle agenzie del controllo formale. A dirla in breve il giudizio morale sui comportamenti della donna sono sempre a portata di mano “se l’è cercato”, se l’è meritato”, “lo ha provocato”.
La prevenzione del fenomeno passa sicuramente attraverso la conoscenza e l’emersione di esso. È necessario aiutare le donne a prendere coscienza e a non giustificare ogni atto di violenza anche se questa proviene da una persona verso la quale si è legati da vincoli affettivi. Risulta essenziale potenziare le politiche sociali che supportano le donne (un ruolo fondamentale in questo lo svolgono i centri antiviolenza) nei momenti dolorosi e di crisi, anche economica; le campagne d’informazione rivolte a tutti i cittadini, uomini compresi. Da sottolineare il ruolo di fondamentale importanza che rivestono gli operatori sociali (dai medici di famiglia, agli insegnanti, agli assistenti sociali, alle forze dell’ordine) che con il loro operato possono contribuire sempre più a far emergere situazioni di disagio famigliare.
Ma non si può non rimarcare la funzione fondamentale che svolge l’educazione. Perché il cambiamento, quello che tutti auspichiamo, passa attraverso il messaggio educativo che sapremo trasmettere alle nuove generazioni. Ed in questo siamo chiamati tutti a collaborare. Dimentichiamo di far gravare la responsabilità dell’educazione dei nostri figli solo sulle spalle delle donne. Chiamiamo in causa gli uomini, padri, nonni, zii, fratelli che con il loro esempio, il loro modo di pensare rispettoso della dignità della donna, possa trasformarsi in un viatico che attraversi e superi il buio mare della violenza. Rivolgiamo alla donna più attenzione, proteggiamola da tentazioni primordiali. Sarà un regalo che andrà oltre ad ogni fascio di mimose.
di Anna Grazia Semeraro
Componente Commissione Pari Opportunità del Comune di Martina Franca