Temerari o deficienti?
L’hanno definita la terza guerra mondiale. Forse è peggiore di quelle precedenti, poiché coinvolge ogni parte del mondo. Una guerra che ha diversi aspetti: la sopraffazione fisica e la depressione psichica. Abbiamo tutti una gran paura, anzi no, i deficienti non ce l’hanno. Loro pensano di essere coraggiosi o temerari. Qualcuno avrà sentito parlare di roulette russa. E’ un gioco d’azzardo potenzialmente letale che consiste nel posizionare un solo proiettile in una rivoltella, ruotare velocemente il cilindro, chiudere l’arma da fuoco senza guardare, puntarla verso la propria testa e premere il grilletto. Il numero di proiettili nella rivoltella può variare, a patto che ci sia sempre almeno una camera vuota nel caricatore.
La probabilità di vivere è in base agli spazi vuoti nel cilindro. La similitudine è facile da farsi con il rischio che stiamo vivendo. Il nostro caricatore è la nostra vita. Più proiettili mettiamo dentro (le persone potenzialmente contagiate che possiamo incontrare uscendo fuori di casa) più aumentiamo il rischio di morire quando premiamo il grilletto. In questo momento, il nostro caricatore ha comunque un proiettile dentro. Abbiamo già una probabilità rischio, ma la percentuale è decisamente più bassa. Eppure ci sono i deficienti che si ritengono temerari, i quali diventano a loro volta proiettili che sparano a sé stessi e ad altri. Sono praticamente come dei drogati. Non bastano a fermarli le migliaia di casse da morto che attendono la sepoltura e dovranno rinunciare anche all’ultimo saluto. Gente che non conoscerà nemmeno una corona di fiori durante il tragitto verso il cimitero, nel quale saranno tumulati velocemente e con quasi disprezzo da parte di becchini desiderosi di chiudergli la tomba per evitare il contagio. I temerari sono praticamente deficienti. Non hanno età, così come oramai non l’hanno nemmeno quelli che vengono contagiati e che muoiono. Davanti ad un supermercato, l’altro giorno si avvicinò una persona. Gli chiesi di mantenersi ad una distanza di almeno un metro e mezzo. Ci rimase male, mi rispose: “Indosso la maschera”. Era un altro deficiente. La maschera è il virus dell’imbecillità. Fa credere che indossandola si possa uscire regolarmente, senza pensare che anche quelle chirurgiche a norma che comunque stanno facendo vittime tra medici ed operatori sanitari negli ospedali, ma confezionate su macchine da cucire fai da te dalla signora Maria che equivalgono praticamente alla roulette russa. Proprio quelle fai da te sono doppiamente pericolose. Immaginate che, una mascherina, non potrebbe nemmeno essere messa nella indifferenziata, in quanto essere bruciata e sotterrata. Invece viene consigliato di lavarla tranquillamente e riutilizzata, come se fosse un pannolino in cotone che si usava una volta per i bambini. La cosa grave è che non sono solo gli sciacalli (quelli che vendono le mascherine fuori norma per mero profitto) a dirlo, ma anche delle Pubbliche Amministrazioni. Se venissi contagiato denuncerei immediatamente chi me l’ha venduta o regalata. Iniziamo a chiamare con il sostantivo giusto chiunque vediamo o troviamo per strada, quando siamo praticamente costretti ad uscire. Deficiente si può usare indifferentemente sia per un uomo che per una donna, sia giovane che anziano. Gridarlo ad alta voce dà anche un effetto liberatorio, migliore di quello di affacciarsi sul balcone alle 18,00 per cantare l’inno d’Italia. Deficiente, deficiente, deficiente. Una sola parola che raccoglie praticamente un cocktail di insulti (minorato/a cretino/a, scemo/a, ma senza metterci alcun sospiro di compatimento). E’ meglio essere conigli che temerari.
Antonio Rubino