Il cadavere trovato sul litorale di Ostuni domenica apparterrebbe a una donna del pescarese. Le analogie col caso Straccia.

Sarà l’esame del DNA a decretare quanto è già ritenuto largamente probabile, incrociando i dati a disposizione: il cadavere rinvenuto domenica scorsa nei pressi di Diana Marina, litorale di Ostuni, è quello di una donna di Pianella, provincia di Pescara, che il 13 febbraio si lanciò nelle acque del fiume Pescara da un ponte, come testimoniato dalle immagini di una telecamera di servizio.
Il corpo di questa donna, a dispetto di accurate ricerche fatte da sommozzatori nel pescarese, non era stato trovato, ma è certo che le acque di quel fiume sfociano nel Mare Adriatico. Nei giorni successivi, le fortissime correnti marine, scatenate dal portentoso vento da nord che si è registrato in Italia nella decade prima prenatalizia, hanno fatto sì che quel corpo percorresse circa 400 km nelle acque in tempesta, fino a giungere all’altezza di Ostuni.
Il corpo, attualmente conservato presso il cimitero di Ostuni e già ispezionato dal medico legale Liliana Innamorato, a causa della lunga permanenza in acqua, non offre d’altronde alcuna possibilità di essere riconosciuto con certezza, a dispetto delle foto fornite dai familiari della donna, contattati ovviamente da chi sta portando avanti le indagini.
Esiste un tragico precedente, sul quale le cronache nazionali molto si soffermarono al tempo, in merito a come le correnti dell’Adriatico facciano poi giungere sulle coste pugliesi un corpo gettato in mare molti km più a nord: il 24 enne di Pescara Roberto Straccia, scomparve nel nulla mentre faceva jogging sul lungomare di Pescara, il 14 dicembre del 2011. Il corpo del giovane studente universitario fu ritrovato, quasi un mese dopo, all’altezza del litorale di Bari.
La Procura del capoluogo abruzzese archiviò inizialmente il caso come un suicidio, ma la famiglia di Roberto non accettò mai quel responso, sicurissima del fatto che egli non avesse alcun motivo per uccidersi. A seguito di alcune intercettazione che riguardavano soggetti della malavita foggiana, emerse poi la drammatica svolta: Roberto era stato rapito da esponenti della malavita pescarese, ingaggiati allo scopo dai foggiani, in quanto scambiato per un’altra persona, un calabrese trapiantato a Pescara che aveva tradito il mandato assegnatogli, sottraendo denaro all’organizzazione.
Essi si sarebbero poi pure accorti di aver sbagliato, ma avrebbero ucciso il giovane perché questi li aveva visti in faccia. Queste rivelazioni fecero muovere la commissione parlamentare antimafia e la Procura di Foggia, che nel 2021 passò il testimone delle indagini alla Direzione distrettuale antimafia di Bari.
Una vicenda che suscita e susciterà sempre un’inestinguibile indignazione, per il suo profondo senso di ingiustizia.