Maurizio Costanzo e il mio racconto (che presunzione…)
Maurizio Costanzo e il mio racconto (che presunzione…)
Maurizio Costanzo ha abbassato il Sipario per l’ultima volta. Mancheranno a tutti i suoi Consigli per gli acquisti e le sue frasi celebri. Alcune hanno segnato dei periodi, altre fatto riflettere, poi ci sono quelle passate alla storia. Ecco degli esempi: “Il pettegolezzo diverte solo noi giornalisti: ce la cantiamo e ce la suoniamo.”
“Io non odio. È troppo faticoso ricordarsi giorno dopo giorno chi e perché.”
“In un paese democratico, in uno stato di diritto, la magistratura non partecipa ai campionati di calcio e perciò non deve avere tifosi, supporter…Il problema fondamentale è il rispetto delle regole e la possibilità di contemperare legalità e diritti di una persona”.
Maurizio Costanzo e il mio racconto (che presunzione…)
“In Italia non ci si deve mai dimettere da nulla. Ne sono pronti, sempre, altri sette.”
“L’unica cosa che arresta la caduta dei capelli è il pavimento”.
“Abbiamo difeso e difendiamo l’autonomia della magistratura, perché l’idea che la magistratura inquirente e la pubblica accusa siano sottoposte al potere politico, sarebbe devastante”.
“Ora un governo dura meno di una gravidanza”.
“Chi poco sa, presto parla”.
“Una volta l’onestà era il minimo che si richiedesse ad un individuo. Oggi è un optional”.
“Almeno lei scrive solo se ha delle idee. Sa quanti scrittori ci sono oggi che scrivono libri senza avere delle idee?”.
Tutti abbiamo un ricordo di lui, sia via etere che appartenente alla vita reale. Proprio per questo ho deciso di raccontare cosa è stato per me il Dottor Maurizio Costanzo (mai laureato ma che, nel 2009, aveva ricevuto una laurea magistrale honoris causa in Giornalismo, editoria e multimedialità, conferita dalla Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano).
Il mio legame con lui (uso questa parola forte per comprendere quanto sia stato importante nella mia vita il Maurizio Nazionale) iniziò nei caldi pomeriggi del 1970, quando conduceva la trasmissione radiofonica di successo denominata “Buon pomeriggio’, con Dina Luce, giornalista e scrittrice.
Ricordo ancora la mia stanza, la scrivania comprata a rate da mio padre da un rigattiere del quartiere dove abitavamo, il Maestro Tommaso e, soprattutto, la radio a transistor denominata Inter. Credo di averla ricevuta in regalo a Natale proprio perché si chiamava come la Beneamata del calcio, di cui tutta la famiglia era tifosa. La scrivania era messa contro il muro. Era comodo così per ascoltare quasi di nascosto, la mia trasmissione preferita che iniziava alle 14.10 nei giorni feriali. Tornavo da scuola alle 13.45 circa, il tempo di mangiare qualcosa velocemente e subito fare i compiti. Questo era almeno quello che lasciavo intendere ai miei. Oggi, 24 Febbraio 2023, ho compreso che, in quelle due ore che desideravo non finissero mai, io stavo sì studiando, ma non per quel che era necessario in quel momento, ma per il futuro.Torniamo alla trasmissione. Era una sorta di contenitore del primo pomeriggio del Programma Nazionale (oggi Radio 1) ed era essenzialmente basato su conversazioni e rapidi flash dedicati a problemi civili e culturali, alternati a collegamenti diretti e brevi passaggi musicali. La perfetta sintonia fra i due bravi conduttori e ideatori del programma del programma, Dina Luce e Maurizio Costanzo, e il mix di garbo e ironia della conversazione, pur nella breve durata del programma (dal 5 gennaio 1970 al 28 luglio 1972), lasciò una traccia e un modello per le future trasmissioni e un indelebile ricordo negli oltre un milione di ascoltatori.(da Wikipedia).
Quindi, quando iniziava a parlare Maurizio, io vagavo nell’etere con lui e mi identificavo nei suoi racconti. Spesso mi segnavo le cose più importanti. E scrivevo, riportavo i termini più difficili che non si usavano, correntemente, nei nostri discorsi, fra ragazzi. Per me Maurizio era un fratello maggiore prestato alla radio, da cui attingere consigli per le storie amorose dei primi anni di scuola superiore. E quante poesie ho scritto in quelle ore. Una volta, con una sorta di mini racconto, ho anche vinto un concorso dove partecipavano alcuni insegnanti. Che soddisfazione. Poi, da grande, ho avuto la fortuna di conoscerlo ai Parioli. Come l’hanno fatto centinaia di migliaia di persone che presenziavano al Maurizio Costanzo Show. Gli feci conoscere la mia famiglia, gli piaceva tanto Stefano, il mio secondo genito. Maria, allora, per noi era la signora che portava a spasso i suoi cani. Ma una volta ebbi il coraggio di consegnargli un mio racconto in una occasione e, la volta dopo, di chiedergli se l’avesse letto. Lui mi consigliò di ampliarlo, di usare meno aggettivi ed evitare i personalismi. I racconti di cui mi nutro oggi e che mi conservano la voglia di scrivere e, soprattutto, di leggere, hanno sempre come riferimento i suoi consigli. Grazie Maurizio.
Un piccolo regalo per i lettori di Puglia Press da parte mia.
Un passo del mio primo libro
“Il Mare: tragedie, passioni ed amori impossibili” – sottotitolo “Camminando una notte d’estate” dedicato proprio a Maurizio Costanzo, cullando una storia d’amore sui passi di una sua celebre canzone.
“SE TELEFONANDO…”
Lo stupore della notte spalancata sul mar ci sorprese che eravamo sconosciuti io e te. Poi nel buio le tue mani d’improvviso sulle mie, è cresciuto troppo in fretta questo nostro amor. Se telefonando io potessi dirti addio ti chiamerei. Se io rivedendoti fossi certo che non soffri ti rivedrei. Se guardandoti negli occhi sapessi dirti basta ti guarderei. Ma non so spiegarti che il nostro amore appena nato è già finito (Maurizio Costanzo, 1966). “Se telefonando”, una canzone fra le più belle del panorama della musica italiana. Ogni volta che la ascolto, nella celeberrima interpretazione di Mina, sento i brividi sulla mia pelle. Questo accade perché ho vissuto una storia simile che mai potrò dimenticare… evidentemente ha lasciato il segno (a tutti potrebbe essere capitato…).
Era l’estate del 1977 e mi trovavo in quel di Tolone (Francia meridionale). Il porto di questa cittadina francese è utilizzato anche dalla Marina Militare Italiana per le soste di mezza crociera estiva o per le esercitazioni combinate con altre forze navali.
Quella sera, erano circa le ventuno e, mentre passeggiavo con dei colleghi sul lungomare della cittadina francese, scorsi due splendide fanciulle che si rincorrevano, per gioco, sulla riva della spiaggia, adiacente al lungomare. Quello che mi colpì delle due ‘filles’ era il modo in cui erano vestite: ambedue indossavano un pareo multi colorato ed una ‘paglietta’ come copricapo. Correvano e si schizzavano l’acqua del mare, come bimbe in tenera età, inseguendosi sul bagnasciuga. Eravamo tanti militari a passeggiare, ma solo Gaspare, amico di sempre, mi seguì. Mi sarebbe piaciuto avvicinarmi a loro per conoscerle, ma rimasi ad osservarle, divertendomi quasi quanto loro. Elène, bionda con gli occhi chiari, era svedese ma, fortunatamente, parlava francese. Mi colpì come nessun’altra al mondo aveva mai fatto prima. Anche lei mi aveva notato e dovevo averla incuriosita. In pochi attimi cominciò quanto di più bello potesse capitare a due esseri umani. Ci conoscemmo rapidamente e iniziammo a dialogare. Nelle sere a venire, ci ritrovammo ancora. L’appuntamento era sempre nello stesso punto, in riva al mare. Il Vittorio Veneto, la nave sulla quale ero imbarcato, sostò in quel porto per sette indimenticabili giorni e le nostre serate divennero sempre più cariche di un qualcosa che non ho mai capito cosa fosse realmente. Mangiavamo sulla riva, ci baciavamo sugli scogli, scrivevamo le nostre pagine a quattro mani sul muretto: la nostra luce era la luna. Le giornate trascorsero inesorabili fino al momento della separazione. Saremmo partiti lo stesso giorno, lei per la sua terra, io per la mia con la sola speranza di incontrarci ancora. Legammo tutto a due foglietti di quaderno che avevamo staccato dai nostri reciproci diari (tanto in voga negli anni 70). Vi avevamo scritto e raccontato quelle serate e, soprattutto, avevamo apposto i nostri indirizzi e i nostri numeri telefonici (ovviamente quelli delle nostre abitazioni, l’era dei cellulari doveva ancora arrivare).
Ma il destino ha un suo preciso percorso. Nulla accade per caso.
All’improvviso, accadde l’impensabile. Era la mattina del 10 agosto 1977, data che ho ancora impressa nella mente. La voglia di stare vicini ci fece abbandonare quei due foglietti, legati fra di loro, sul muretto che ci aveva accolti in quelle sere di agosto… Andammo via guardandoci finché potemmo, speranzosi di un nuovo incontro, certi di un futuro. Ahimè, non fu così: i due foglietti volarono via come i nostri cuori. Non c’era più tempo di rimediare. La navetta che era passata prenderla, suonava il clacson e lei dovette andare.
Non la vidi mai più e non seppi più niente di lei.
Rifacendomi alla canzone che dà il titolo a questo racconto, mi vengono in mente le parole di quel testo scritto da Maurizio Costanzo, quasi a voler compensare il dolore di quei momenti. “Se telefonando io potessi dirti addio ti chiamerei”. Almeno che di fosse stato una addio…
“Se io rivedendoti fossi certo che non soffri, ti rivedrei… Se guardandoti negli occhi sapessi dirti basta ti guarderei. Ma non so spiegarti che il nostro amore appena nato è già finito”.
Questo il mio tributo ad un simbolo dei miei giorni, della mia gioventù ma anche da adulto. Ciao Maurizio.