L’anima dei luoghi: il brusìo della città
Il centro storico di Martina è bello ed è apprezzato da tanti che vengono a visitarlo, sia dalle città vicine che da nazioni straniere. Il secolo d’oro ha lasciato, qui, un segno indelebile grazie alla fioritura dell’architettura barocca e rococò.
“Qui mangi pane e Barocco” intitolava un réportage di Bell’Italia (n.108, febbraio 1995) dedicato alla nostra città, ma già nel 1968 Cesare Brandi aveva portato all’attenzione nazionale la bellezza del patrimonio che abbiamo ereditato.
Il centro storico è certamente amato per le attrattive che riesce a proporre: il turismo registra un flusso continuo e consistente di visitatori, soprattutto nei mesi estivi.
Ai visitatori frettolosi, di passaggio, ai cittadini distratti e superficiali il centro storico offre tanti monumenti di grande bellezza: abbiamo il Palazzo Ducale con le tempere del Carella, la meravigliosa Basilica di San Martino, la chiesa di San Domenico, con la sua splendida facciata e i suoi marmi napoletani, le chiese del Carmine, di Santa Maria della Purità, del Monte Purgatorio.
Possiamo proporre una serie enorme e variegata di portali barocchi e rococò.
Tante belle finestre, barocche e non. Grandi attrattive.
Coloro che alla Bellezza del nostro centro storico hanno dedicato un’attenzione non limitata sanno bene che la città angioina, al di là della facciata seducente, nasconde, ma solo allo sguardo degli osservatori meno attenti, alcune emergenze, diverse situazioni da risanare e tutta una serie di frammenti d’arte, misconosciuti e sottovalutati, abbandonati al degrado e/o poco valorizzati. In via Alfieri, n. 67, c’è uno dei più bei portali “tascabili” della città. Ma è abbandonato a se stesso, coperto di calce e muschio. Nella stessa via, al n. 52, c’è la cornice completamente imbiancata, di un balcone al primo piano, che sull’architrave, sotto lo strato di calce, conserva un’epigrafe. Da anni quella epigrafe è coperta con latte di calce, ma la scritta “SOLI DEO HONOR GLORIA 1578” è ripassata con un pennello e smalto nero! Un obbrobrio! Un capolavoro di nonsense!!
Tra i monumenti superstiti del periodo rinascimentale spiccano alcuni palazzi nobiliari, immagini concrete del potere di una classe sociale detentrice per lunghi secoli, insieme al clero, della quasi totalità delle risorse economiche del territorio, titolare di numerosi privilegi e responsabile, con la sua inerzia, del ritardo dello sviluppo economico del Mezzogiorno. Ma questi palazzi sono anche, senza ombra di dubbio, opere d’arte, frutto dell’ingegno umano, segno dell’adesione ai modelli indicati nei trattati dei più grandi architetti dell’epoca.
Tra gli episodi architettonici che qualificano il nostro centro storico, sono sopravvissuti pochi portali riconducibili al cosiddetto stile catalano durazzesco, che caratterizzò sia edifici religiosi che residenze private.
Saxa loquuntur. Le pietre parlano! Noi, distratti, non vediamo, non ci accorgiamo di nulla. Ma se ci mettiamo in posizione di ascolto, avvertiremo le energie che hanno investito ogni luogo, ogni monumento. Energie che si sono sovrapposte una all’altra, avviluppate, intrecciate, attorno ad un luogo, ad un monumento, ad un portale rinascimentale, ingresso di un’antica casa a corte, arricchito da decorazioni architettoniche barocche o neoclassiche.
Nelle epigrafi delle finestre rinascimentali è scolpita, per sempre, la profonda devozione della comunità, la continua alleanza tra la città e l’Arte, una ininterrotta ricerca di Bellezza che ha fatto, della pietra locale, il filo conduttore.
La massa amorfa estratta dal ventre della Terra, tagliata in blocchi e lastre, sbozzata in chianche, iniziò a prendere vita, ad avere un’anima: il miracolo della Creazione si rinnovò infinite volte, attraverso tentativi, esperienze, archetipi e memorie ancestrali, per dare vita ad un’opera unica, finita, senza tempo. La pietra informe offrì materia per il sogno.
Il tocco della mano sulla pietra: una sorta di fiuto tattile.
La mano, medium di cuore e mente, e la pietra, alleati da sempre, in una sorta di patto, in un rapporto segreto di complicità, di stima, sinergia.
Gli spazi imbiancati a calce, scanditi da lesene e cornici, accolgono finestre incastonate, come quadri, sulle pareti bianche. Portali incorniciati da colonne concluse da capitelli richiamano brani musicali. Un vago sogno di Bellezza anima la pietra. Una musica cui solo l’Anima dà corpo.
Nella pietra, scrigno di segreti e meraviglie, le mani ricercano, trovano, creano gli accordi più delicati che prendono forma nello spazio nel tempo.
Portali a bugnato sorgono, a poca distanza uno dall’altro, in via Principe Umberto: palazzo Casavola e palazzo Turnone.
L’uso del bugnato è riproposto in via Cavour (palazzo Magli Blasi Lella), in via Mazzini, nei palazzi Blasi e del conte Barnaba, edificato nel 1719, che si avvale di ben due portali identici al limitare dei due ingressi: quello anteriore, sulla sommità di via Mazzini, e quello posteriore situato in via Agesilao Milano. I due portali sono costruiti con file alternate di conci rettangolari e coppie di bugne quadrate, tutte “a cuscino”. Ai lati dell’arco a tutto sesto sono presenti due corolle. Entrambi sono sormontati da una balconata in pietra con colonnine spanciate.
L’uomo e la materia, la mano e la pietra, complici da tempo immemorabile, iniziarono una nuova impresa: dare vita all’ingresso, più bello del precedente, di una casa nobiliare. l’uomo ripensò a due forme primordiali: una linea curva, per l’arco, e una linea retta per i pilastri. La mano vide i conci, li accarezzò, ne scelse alcuni e li sbozzò con il martello a sei denti, per sagomare il cuscino. Dispose le bugne ordinandole a file alterne: una rettangolare, più lunga, e due quadrate. Quelle lungo l’arco appena rastremate. Un architrave, cesura tra l’arco e i pilastri. E agli angoli, in alto, due piccoli rosoni, un tocco floreale. La pietra si piegò, docile. Si lasciò plasmare. Assunse la forma voluta. E’ architettura. Ma sembra il sottofondo con ritmo ternario di uno spartito musicale, di un giro armonico. L’architrave una pausa. I rosoni un abbellimento, un interludio. O, forse, la scansione metrica di un verso latino: una lunga e una breve. O, forse, i segni dell’alfabeto Morse. Forme antesignane della comunicazione digitale. Parole di un linguaggio universale.
Miseria e nobiltà si contendono lo spazio nelle strade e nei vicoli.
Luoghi sacri che testimoniano il tentativo di avvicinarsi al Divino, al Sublime.
Il nostro centro storico e le chiese extra moenia, costituiscono un patrimonio che non appartiene soltanto a Martina e ai martinesi, ma all’intera nazione, all’umanità. A prescindere dai riconoscimenti dell’Unesco. L’opera d’arte caratterizza le abitazioni private, rientra nei modi di vivere e di essere. L’Arte é nelle strade, nelle piazze, nei vicoli. La città è pregna di Arte.
Piero Marinò