ALESSANDRO LECCESE, TITOLARE CEMAB, AZIENDA CON 27 DIPENDENTI
Il quadro delle Piccole e medie imprese in Puglia: terra di Bari, 1.350; Lecce, 813; Taranto 347; Brindisi, 247; Foggia, 185. Il saldo negativo a livello regionale è quello delle attività artigianali: -282, ovvero 4.404 le iscritte, 4.686 le cancellate
A leggere le cifre, fredde nelle loro caselle statistiche ma calde, caldissime nel rivelare la realtà occupazionale dei singoli lavoratori, in Puglia si continua a credere nell’impresa: la regione ha chiuso il 2019 con un saldo positivo di 2.942, ma è il parametro più basso degli ultimi tre anni. Secondo i dati diffusi da Unioncamere Puglia, infatti, sono state 23.560 le nuove iscrizioni e 20.618 le cessazioni. Un risultato positivo ma meno lusinghiero rispetto a quello del 2018, +4572 imprese, e del 2017, +4580. L’istantanea al 31 dicembre del 2019 (prima del lockdown e dei suoi futuri effetti) è di 381.313 imprese totali; al 31 dicembre 2018 era di 381.363. Continua dunque a esserci il segno più, ma in decrescita rispetto agli anni precedenti. Tanto che la crescita annuale nel 2019 è stata dello 0,77 per cento, nel 2018 dello 0,91 per cento. E’ la terra di Bari a fare meglio con un saldo positivo di 1.350 imprese, seguita da Lecce 813, Taranto 347, Brindisi 247 e Foggia 185. Il saldo negativo a livello regionale è quello delle imprese artigiane -282 (4.404 le iscritte, 4.686 le cancellate, lo stock al 31 dicembre 2019 è di 67.368 imprese, il tasso di crescita -0,41 per cento). Questo è quanto si sa per certo su natalità e mortalità dell’imprenditoria pugliese, lo specchio dei tempi incerti del momento e che richiederebbe attenzioni e politiche mirate, improcrastinabili, a supporto dell’ unico bacino occupazionale del Paese. Già, ma quanto vale la Puglia rispetto a tutto il Paese? Intanto va detto che più della metà delle Piccole e medie imprese (Pmi), è attiva al Nord (il 29,2 per cento nel Nord-Ovest e il 23,4 per cento nel Nord-est), il 21,4 per cento al Centro e il 26 per cento nel Mezzogiorno. Al momento non si sono ancora dispiegati gli effetti del coronavirus sull’attività economica. Tuttavia, il recente report di Goldman Sachs (la più grande e importante banca d’affari al mondo), dà per l’Italia un 2020 con un deficit del Prodotto interno lordo (Pil) in meno del 10 per cento. Questo spingerebbe il debito al 160 per cento, tenendo conto che il debito pubblico attuale è già appostato in 2.443 miliardi euro. La Banca d’Italia, però, si è limitata a registrare per il mese di marzo scorso un indicatore diminuito a 0,13, rispetto allo 0,28 del precedente mese. I marker mover, spostamento dei marcatori, ritengono che l’Italia sia ufficialmente in recessione tecnica. Tutto è accaduto a causa del coronavirus, che da semplice epidemia confinata in Cina si è poi rivelata una vera e propria pandemia globale che ha messo con le spalle al muro l’intero pianeta. Di qui l’interrogativo principe: quali saranno i suoi effetti sull’economia reale, sulla vita di milioni di famiglie ed aziende che, racchiuse nelle
Piccole e Medie Imprese, generano il reddito del Paese? E allora, mettiamo da parte statistiche e algoritmi, parliamo col sangue vivo di una Pm, un imprenditore vero che vive ed opera sul nostro territorio. E quindi, il polso della situazione, con analisi ed errori da evitare, ce lo fornisce l’industriale ginosino, ingegnere Alessandro Leccese. E’ titolare della Cemab, azienda leader mondiale nella costruzione di espositori in legno ad incastro. La produzione viene effettuata attraverso la tecnologia evoluta del Cobot (Collaborative Robots), robot antropomorfi. Sono impiegate 27 unità lavorative ed ha 7.000 clienti nel mondo. Il suo motto di vita è: “La
tecnologia più avanzata è l’uomo”.
–Ingegnere, cosa ne sarà delle PMI?
“Sarà molto dura, pur essendo, io, fondamentalmente un ottimista. Sono in tante che stanno manifestando difficoltà nel riprendere la normale attività, che non potrà avvenire dalla sera alla mattina. Ci vorrà del tempo”
-Intanto, la sua azienda ha ripreso a far girare la macchina produttiva?
“Sì, dal quattro maggio scorso. Lo stiamo facendo con gradualità, anche nel far rientrare tutti i dipendenti, ma siamo già prossimi al 100 per cento. Abbiamo iniziato a smaltire gli ordinativi sospesi e perfezionati in precedenza; a giorni si passerà a quelli che si stanno sottoscrivendo”
-Di fronte alla crisi in corso l’obiettivo della politica economica deve puntare ad evitare i fallimenti delle imprese. Si osserva, però, l’assenza di una pianificazione industriale, una visione di futuro.
“Sì, in effetti è così, Tuttavia v’è una giustificazione, senza prendere le difese di alcuno. Tutti, siamo stati presi di sorpresa. Nessuno sul Pianeta Terra aveva immaginato uno scenario del genere. E’ chiaro che quando si è colti alla sprovvista da un evento così disastroso c’è un attimo di sbandamento che fa parte della natura umana.”
–Quali misure bisogna adottare, secondo lei, tipico rappresentante delle PMI?
“Se l’emergenza durerà a lungo si salveranno in pochissimi. Di certo, bisognerà necessariamente circoscrivere in modo trasparente il perimetro dell’intervento eccezionale. Quindi, va fatta la fotografia delle aziende sane a tutto il 2019. Questo, per evitare l’inevitabile intrufolamento di sciacalli e imprese già sfatte. E’ chiaro che il lavoro deve essere la priorità di tutto. Che, tuttavia, insieme alla crescita costituisce precondizione per combattere disuguaglianze e povertà, avere meno debito pubblico.”
-Cosa vi preoccupa maggiormente?
“Constatare l’irresponsabilità sociale. Il comportamento di tantissima gente: giovani, adolescenti, adulti. Il loro menefreghismo, come se non fosse accaduto nulla, può avere disastrose conseguenze sia sanitarie che economiche. Per noi industriali e imprenditori, se dovessimo ritornare alla sofferenza dell’isolamento forzato, lockdown per intenderci, sarebbe la fine definitiva.”
-Si sta sentendo con i clienti?
“Quotidianamente, siamo in videoconferenza. Stiamo tutti sulla stessa barca, e ci scambiamo comprensione, solidarietà, vicinanza, umanità.”
-Il senso di precarietà inquieta il futuro, soprattutto dei giovani: come se ne esce?
“Se ne esce fuori dando uno scatto di reni. Bisogna lavorare duro, così come hanno fatto i nostri genitori subito dopo la Prima Guerra Mondiale. Diceva Albert Einstein: sono proprio le grandi difficoltà che mettono in luce le menti e le capacità migliori. Bisogna acquisire la consapevolezza
che il nuovo mondo che si sta prospettando è diverso, spero più attento all’umanità e non solo improntato sui profitti.”
-Solo il 26 per cento delle PMI, nel 2020, risultano essere pronte per sfidare i mercati mondiali potendo contare sui processi produttivi digitalizzati. La visione 4.0 è da ritenere non matura o cosa?
“Come tutte le rivoluzioni, anche quelle industriali hanno bisogno di tempo. Adesso, per esempio, stiamo assistendo ad un notevole incremento dello smart working, il lavoro d’ufficio che può essere svolto da casa”.
-Come valuta il circuito della moneta complementare nata ed attivata in Sardegna?
“Iniziativa sbagliata. Noi PM italiane non dobbiamo sostituirci al sistema così come strutturato. La BCE ha consentito alle Banche di avere un’iniezione di liquidità enorme.”
-Ricerca, tecnologia, innovazione, è questo il percorso per ricostruire o riconvertire?
“Sì, è proprio questa la strada giusta. Tutti, e mi riferisco ad imprenditori, industriali, politica, finanza, dobbiamo redigere le priorità. Nella sanità non bisogna chiudere gli ospedali, ma potenziarli per porli ad argine sulle possibili emergenze come quella che stiamo vivendo. Ricerca: da 30 anni non si stanzia un centesimo per farla. I nostri laureati e affermati scienziati devono emigrare in altri Stati e questo non deve più accadere. La ricerca è il presupposto del progresso dell’umanità. Bisogna fare sintesi sull’essere migliori e smetterla di infischiarsene dell’inquinamento, i cui effetti, in Europa, uccide oltre 500 mila persone anno. Un prezzo alto non solo in termini di vite umane, ma anche per l’economia.”
-La prima cosa che ha fatto quando ha ripreso la produzione?
“Ho informato il mondo che la mia azienda è tornata, che l’Italia è tornata. Con l’auspicio che la lezione subìta faccia acquisire una mentalità diversa, che bandisca il lavoro in nero e l’evasione fiscale”.
Raffaele Conte