Mi allontano, anche se dovrei tornare….
Una malattia può essere una opportunità, può aiutare a vivere meglio gli anni che ti restano da vivere. Non si sa mai quando il tuo interruttore verrà spento, di certo, prima o poi, verrà staccata la luce e non ci sarà contratto di fornitura che potrà evitarlo. La paura di parlarne porta spesso a debiti scongiuri, ma è solo un modo per esorcizzarla. Perché avere paura di morire quando sprechiamo inutilmente tanti giorni? Pensate a quanti minuti, ore, giorni, mesi ed anni vengono buttati nella spazzatura dei social o attraverso un telefono. Tutto tempo che viene sottratto ad altro e non ritornerà. Quanti momenti vengono rubati a quegli affetti positivi che ti lasciano dentro un calore termico che ti riscalda più di una stufa ad alta temperatura, in una giornata fredda, ma con un altro vantaggio: quell’energia riempirà una RAM di memoria e non ci sarà alcun corto circuito che brucerà mai l’Hard Disk. Sui social vengono riversate frustrazioni, rancori, odio, alcune volte per la politica, per una squadra di calcio, per razzismo. Tutte cose che hanno formato il nostro esasperato cinismo. Sui social ci nascondiamo dietro alla certezza di non guardare negli occhi l’altra persona. Quanto tempo sottraiamo a coloro che vogliamo bene! Momenti che non ritorneranno mai. Quanti ne sprechiamo nella nostra vita. Sono le 12.57 di una domenica mattina, sono su un treno che mi porterà oltre la destinazione prevista dal biglietto, un termine che evitiamo di usare, in quanto fa paura, si chiama: ignoto. Sono al computer con in testa le cuffie ad ascoltare Fabio Concato che mi ricorda alcuni momenti belli della mia vita, quando da ragazzo, con una Citroen PallasCxturbo diesel correvo a 160 km orari sull’autostrada per raggiungere, in quattro ore Rimini, dove pensavo ci fosse la vita vera e dove facevo, pensate un po’, il DJ al Charlie Brown sulla costiera romagnola. Avevo poco più di diciotto anni. Erano gli anni in cui ti sentivi invincibile ed eri convinto che potevi avere tutto ciò che volevi. Ci sono momenti, durante i quali, tutta la tua vita ti ritorna in mente, con la differenza che questa volta sei tu il giudice di te stesso. Capisci i tanti errori commessi. Ti viene anche in mente quando questa vita l’hai rischiata più volte, guarda caso, quel 5 agosto del 1980, insieme a tre altri amici, in un incidente stradale che mi portò via Vito, uno dei miei migliori amici, oppure dieci anni dopo quando il destino si prese Orazio, il mio amico d’infanzia e mi fece capire, per la prima volta, cosa fosse un tumore. Avevamo la stessa età, eravamo cresciuti insieme. A cinque anni ce ne eravamo andati insieme da casa e ci ritrovarono in una strada, ad un chilometro di distanza. Pensai in quel momento a due uccelli che volavano insieme ed un cacciatore che decise di spararne uno, piuttosto che l’altro. Aveva risparmiato me. Man mano che gli anni passavano ne ho visti andar via tanti, molti prematuramente, tra questi, persone alle quali ero più legato: mia madre e mio padre. Ho commesso tanti errori nella mia vita, ma voglio credere siano serviti. Ho oggi una moglie che mi accompagna in questo viaggio, sei figli (uno di questi è questo giornale), due nipotine, una famiglia che amo e tanti amici. Sono comunque soddisfatto e penso che questo sia stato il percorso che mi ha permesso di arrivare a queste conclusioni. Non so quanto potrò ancora vivere, un giorno, dieci anni, oppure di più, ma sono sicuro di volerli vivere in maniera diversa rispetto al passato. Sono sereno. Certo, mi porterò dietro quel brutto carattere che so di avere, ma voglio cercare di dedicarmi ad altri, rinunciando a quell’egoismo che spesso altera la vista. Ho ancora diversi progetti in programma. La vita è bella, è il titolo di un film di Benigni. Ne sono convinto. Comunque andrà a finire, sarà un successo. Buona estate e arrivederci, se Dio vorrà, all’ultima settimana di agosto.