Brindisi- Il dolore di una madre: “Mia figlia non si è tolta la vita, è stata uccisa. Chi sa parli”
SAN PIETRO VERNOTICO- “Vi prego di aiutarmi, di trovare il coraggio di fornire la vostra testimonianza” Questa è la richiesta d’aiuto che Antonia De Luca, una mamma coraggio di San Pietro Vernotico, ha raccolto in un’accorata lettera destinata a quelle persone che sono entrate in contatto con sua figlia Giovanna, ritrovata senza vita il 9 settembre del 2011 nelle griglie di un canalone nei pressi di San Martino Buon Albergo, a Verona, e che potrebbero aiutarla a fare luce sulla sua scomparsa. Giovanna Tafuri Lupinacci, 44 anni, sposata e con un figlio, originaria di San Pietro, secondo la Procura di Verona si è suicidata. Mamma Antonia però non ci vuole credere, la sua ipotesi è che sua figlia sia stata uccisa. E dopo aver tentato inutilmente per tre volte di riaprire il caso, fornendo ai magistrati sospetti, nuovi spunti investigativi, ha deciso di rivolgersi direttamente a chi ha conosciuto sua figlia. “Vi chiedo di dirmi quello che non mi è mai stato detto, se avete visto o sentito qualcosa o semplicemente se avete parlato con Giovanna i giorni precedenti alla sua scomparsa, se vi aveva confidato qualcosa sui suoi sentimenti, sulle sue paure, sui suoi programmi, sui suoi problemi.”
“Sono passati sei anni dalla morte di Giovanna,- scrive Antonia- sei lunghi anni in cui ho lottato, ho sperato, mi sono sconfortata e poi ho sperato di nuovo. Sei anni senza mia figlia, durante i quali la Giustizia, quella che ritenevo fosse con la G maiuscola, alla quale ho rivolto tutte le mie speranze, mi ha voltato le spalle e ha lasciato che fossi sola, nella mia fragilità, a lottare contro tutto e contro tutti. Ma io sono la Madre e non mi uccideranno, io continuerò a lottare, a sperare e mi rialzerò dopo ogni caduta, e finché avrò un briciolo di voce griderò forte al mondo il mio bisogno di conoscere la verità, di ridare a mia figlia, ore che non c’è più, la dignità che le hanno sottratto da viva.”
Poi Antonia continua la sua lunga lettera tracciando la sua versione dei fatti: “Giovanna è scomparsa da Verona il 26 agosto del 2011 ed è stata trovata priva di vita dopo 15 giorni, incagliata nelle griglie di un canale lontano 20km da casa. Io ero ignara di quello che stava accadendo. Provavo a chiamarla al telefonino ma risultava spento. Il marito e il figlio mi dicevano che era in chiesa, che mi avrebbe chiamato lei non appena fosse tornata a casa. Dopo tre lunghi giorni, quando ormai incalzavo con le telefonate, mi hanno detto che era uscita di casa “per buttare la spazzatura” e non era più rientrata, che non volevano dirmi niente per non farmi preoccupare e che pensavano che fosse venuta a casa mia in Puglia. Giovanna era una donna dolcissima,- scrive Antonia- una mamma amorevole, una moglie fedele, amava la sua famiglia, amava suo figlio, amava la vita e mai e poi mai avrebbe potuto solo pensare di togliersi la vita. L’avevo sentito il giorno prima della sua scomparsa, era felice ed entusiasta del fatto che stesse preparando una festa a sorpresa per il compleanno del figlio: mi disse che aveva invitato tutti i suoi amici, che aveva già preso tutti gli ingredienti per preparargli la torta, di come aveva intenzione di addobbare la casa per la festa. Nei giorni precedenti mi aveva parlato anche di alcuni colloqui di lavoro e della sua ferma volontà di cambiare vita. Insomma, era felice, tranquilla e spensierata e nulla lasciava presagire che avesse maturato l’intenzione di togliersi la vita. Eppure, seconda la magistratura di Verona, era un chiaro caso di suicidio.”
Giovanna soffriva di depressione ed era in cura da uno psicologo. Si è allontanata da casa con la sua bici e il suo corpo è stato rinvenuto nelle griglie di una diga idroelettrica, in un luogo raggiungibile superando un tratto di autostrada. La bici come il suo cellulare non sono mai stati ritrovati. Secondo i verbali del tempo, sul suo copro non fu disposta un’autopsia, ma un’ispezione esterna del cadavere che non fece riscontrare “lesioni macroscopicamente apprezzabili che possano indicare una causa di morte differente dall’annegamento e riconducibile ad azione violenta di terzi”. Tanto è bastato dunque per archiviare le indagini. Successivamente, è stata accordata la cremazione del corpo dopo i funerali. Eppure su questo Antonia ha le sue perplessità:
“Ma su quali presupposti hanno preso una decisione così netta?- si chiede Antonia- Sulla base di quali elementi? Per quali ragioni non è stata disposta l’autopsia? Perché non è stata fatta alcuna ricerca del corpo? Perché non sono state ascoltate le amiche con cui era solita frequentarsi? Perché non è stata ispezionata l’abitazione, la sua autovettura, né sono stati ascoltati i familiari? Perché non sono state fatte ricerche delle celle telefoniche per verificare i suoi spostamenti? Questi e altri interrogativi sono stati formulati ai magistrati, ai quali però ad oggi nessuno ha dato risposta. La Procura di Verona dopo tre giorni dal ritrovamento del cadavere ha archiviato il caso come suicidio e ha addirittura concesso l’autorizzazione alla cremazione del corpo di mia figlia. Da quel giorno è iniziata la mia lotta. Ho cercato in tutti i modi di far riaprire il caso, “suggerendo” nuove indagini da espletare, ma ogni mia richiesta è stata vana! Mi dicevano che i miei dubbi e le mie richieste erano “legittime”, ma che non potevano essere disposte altre indagini perché oramai il corpo era stato cremato”.
“In questi sei anni ho depositato diverse istanze di riapertura delle indagini, ho fornito decine e decine di elementi, di spunti investigativi, ho perfino riferito di aver ricevuto una telefonata anonima a casa mia nella quale una donna mi raccontava che mia figlia era stata ammazzata. Ho pianto davanti ai carabinieri quando raccontavo i particolari del del racconto fornitomi dalla donna, ho tremato per quanto mi riferiva ma allo stesso tempo ho sperato che finalmente si fosse giunti all’epilogo. Ma non sono stata creduta, il mio racconto non aveva riscontri.”
“Sono convinta che qualcuno conosce la verità sulla morte di mia figlia e mi vorrebbe aiutare a trovare i responsabili, ma allo stesso tempo ha paura di rimanere immischiato in una vicenda che, in fondo, non gli riguarda. Con questa lettera,- conclude mamma Antonia- scritta con il cuore, mi rivolgo proprio a quanti nella loro coscienza hanno avuto il pensiero di darmi una mano ma poi si sono tirati indietro per paura o semplicemente per pigrizia, perché pensano che la loro testimonianza non possa aggiungere nulla e sia la classica goccia nell’oceano. Io ho bisogno del loro aiuto, ho bisogno di quella goccia per sradicare questo terribile stato di immobilità, che mi logora ogni giorno di più. Vi prego di aiutarmi, di trovare il coraggio di fornire la vostra testimonianza, anche quella che ritenete essere la più insignificante. Vi chiedo di dirmi quello che non mi è mai stato detto, se avete visto o sentito qualcosa o semplicemente se avete parlato con Giovanna i giorni precedenti alla sua scomparsa, se vi aveva confidato qualcosa sui suoi sentimenti, sulle sue paure, sui suoi programmi, sui suoi problemi.”