L’OMS lancia l’allarme sulle carni cancerogene. Ma lo sa di cosa moriamo a Taranto?
Cancerogeno, sembra essere questo l’argomento scottante degli ultimi giorni, dopo la diffusione da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, della notizia secondo la quale alcuni tipi di carne – le carni rosse in particolar modo – siano dannose per il nostro organismo ed espongano lo stesso al cancro. Un allarmismo non di poco conto, destinato a variare le abitudini alimentari di milioni di italiani. Ma guardiamo nello specifico la nostra città, nella quale il cancerogeno è argomento scottante su più fronti e da molto tempo. Sarebbe opportuno, da parte degli organi competenti diffondere dati non esclusivamente su ciò che mangiamo, ma soprattutto su quello che respiriamo, altrimenti si finisce – come nel caso di Taranto – su siti satirici come il noto Lercio, che ha scritto: «Taranto, tolta la carne rossa dal menu della mensa dell’ILVA».
Bene, riflettiamo su questa nota satirica. L’ironia – da un punto di vista strettamente retorico – esprime ben altro. Esprime un grande paradosso, che a Taranto fa da padrone. E non solo a Taranto. Ricordiamo un recente servizio andato in onda sulle reti Mediaset a cura de “Le Iene”, in cui si parlava di una polveriera a Trieste, dei danni cagionati dall’area a caldo, dalla richiesta di chiusura della stessa da parte dei cittadini, e delle tante morti di tumore. Ecco, in alcune città di cancerogeno c’è ben altro, e studi medici hanno anche accertato il nesso causale, tra la presenza industriale e le malattie tumorali. Torniamo indietro di un anno, non molto lontano, dunque. A Taranto lo scorso anno, nell’aprile del 2014, si è tenuta XVIII riunione scientifica annuale AIRTUM. Un evento scientifico a carattere nazionale della durata di tre giorni, che ha visto la presenza di tantissimi medici, ricercatori e personale sanitario proveniente da ogni parte d’Italia. La scelta di tenere l’incontro a Taranto ha rappresentato un riconoscimento dei risultati raggiunti dall’intera Rete del Registro Tumori Puglia che in pochi anni ha visto la presenza del registro tumori in tutte le ASL locali, portando così quelli di Taranto e Lecce all’accreditamento. Si è parlato di ‘numeri’ in quelle tre giornate, e a Taranto fa molto male sentire parlare di numeri, perché dietro quei numeri ci sono reparti di oncologia strapieni, ci sono bambini. C’era e c’è ancora il bivio ‘lavoro-salute’, e diciamo c’era, perché i tarantini non possono più scegliere. Lo dicono i numeri, quelli del cancro. Lo ha detto in quei giorni anche Pietro Comba, dell’Istituto Superiore di Sanità di Roma, che quella di Taranto è una situazione reale di emergenza ambientale e sanitaria, e questo lo sappiamo già da diversi anni, perché gli studi scientifici su ambiente e salute, a Taranto hanno una lunga storia, e questa è una città nella quale alcune patologie, sia tumorali (come tumore ai polmoni o della pleura) che non tumorali (patologie delle vie aeree), hanno un’incidenza e in alcuni casi una mortalità più elevata rispetto alla popolazione della Puglia nel suo complesso: «questo è spiegato dalla quantità e qualità delle immissioni del polo industriale. Il quadro è abbastanza ben definito dal punto di vista scientifico».
Quando si parla di disastro ambientale, soprattutto in una città come Taranto, che importanza assume un registro tumori? Sicuramente, sempre come in quei giorni spiegò Comba, la finalità principale è quella di misurare il carico di patologia tumorale di queste aree, rifacendosi allo storico esempio di Chernobyl, e sottolineando che i registri hanno contribuito a chiarire nel tempo, a seconda della durata e della latenza della malattia, in che misura determinate emergenze ambientali hanno causato casi di tumori. Dunque, si farebbe bene a guardare i registri tumori, ed intervenire in tal senso, soprattutto in una città come Taranto, in cui la carne rossa – per restare in tema – rappresenta forse il male minore. Il seminario, tenutosi ad aprile 2014 presso l’ex Caserma Rossarol, ha visto l’intervento dei due epidemiologi incaricati dal Giudice Patrizia Todisco, per i rilievi scientifici afferenti il caso Ilva, ovvero Annibale Biggeri e Francesco Forastiere, i quali hanno parlato rispettivamente, di aspetti metodologici nell’analisi del profilo di salute dei residenti nei siti d’interesse nazionale per l bonifica, e lo studio di coorte residenziale nella valutazione dei rischi ambientali. Francesco Forastiere, del dipartimento di epidemiologia SSR Lazio, ha spiegato nella sua esposizione su cosa si basano gli studi di coorte di popolazione, ovvero sulla ricostruzione della storia anagrafica di tutti gli individui residenti, il loro successivo follow-up, la verifica di mortalità, ricoveri ospedalieri, incidenza dei tumori, e il computo dei tassi assoluti e relativi di frequenza di malattia e di mortalità. Da quanto spiega, nell’area di Taranto, dal 1995 al 2002, su un numero di mortalità di circa 7000 uomini, 2029 sono deceduti a causa di un tumore. Per quanto riguarda le recenti pubblicazioni, sono stati resi noti per Taranto e provincia, i dati relativi al triennio 2006-2008, dai quali si apprende che in questo lasso di tempo, sono stati circa 8800 i nuovi casi di tumore che hanno interessato gli uomini per il 55% e le donne per il 45%. Tra i tumori più frequenti negli uomini risultano quelli del polmone, della prostata, vescica, colon e retto e fegato; mentre per le donne, il tumore della mammella, del colon e del retto, tiroide, corpo dell’utero e ovaio. In termini di mortalità, sempre in riferimento al triennio 2006-2008, i numeri parlano di 4.112 decessi, dei quali 2.339 sono uomini e 1.713 donne. I dati fino al 2008, confrontati con quelli nazionali, mostrano tassi di incidenza inferiori rispetto alla media nazionale. Se consideriamo però la patologia tumorale a livello polmonare e vescicale nel sesso maschile, l’impatto risulta superiore alla media sia a livello nazionale che a livello meridionale, a differenza dell’impatto relativo al sesso femminile, che risulta nettamente inferiore. Tutto questo, come si apprende dalla sintesi dei risultati pubblicata sul rapporto tumori della provincia di Taranto, a conferma di possibili nessi causali tra la patologia e l’aver lavorato nel settore industriale. Ulteriore conferma a quanto detto, è anche la bassa incidenza, sempre per quanto riguarda Taranto e provincia, di tumori legati ad abitudini alimentari. Dunque, altro che allarmismi alimentari, qui a Taranto, il cancerogeno ce lo abbiamo fuori casa! E sempre da un’analisi dei dati, posti a confronto con i restanti registri del sud Italia, emerge tramite la distribuzione del TSD (tasso standardizzato diretto) che la maggiore incidenza di tumori è concentrata nel comune di Taranto, rispetto ai comuni della provincia. Tanti sono stati dunque gli interventi da parte dei vari relatori, i quali attraverso un percorso di studio approfondito e un’attenta analisi, hanno spiegato l’incidenza delle patologie tumorali nei siti di interesse nazionale (SIN). I siti di interesse nazionale sono aree molto ampie contaminate, che lo Stato italiano classifica in questa maniera e che necessiterebbero di bonifiche del suolo, del sottosuolo e delle falde al fine di evitare un’emergenza sanitaria. Così definiti dal decreto Ronchi, e successivamente ripresi in un decreto del 2006, i siti di interesse nazionale sono quelle aree che presentano un deterioramento qualitativo dei terreni, a causa della presenza di contaminanti come metalli pesanti e diossine. Inutile ricordare che tra i siti d’interesse nazionale spicca l’area industriale tarantina, una delle quattro città della Puglia così classificate. A tal proposito, in quelle giornate, Anselmo Madeddu, un ricercatore di Siracusa, disse che nessuno si sogna di affermare che il tutto il male sta nelle industrie e tutto il bene sta dalla parte degli ambientalisti ad oltranza, né è vero il contrario, ma la verità come sempre sta nel mezzo. «Quello che si pretende è soltanto una produzione industriale che sia compatibile con le esigenze della salute e della sicurezza dei nostri cittadini» (Altro che carne rossa!). Ma a Taranto, la comunicazione da parte della sanità pubblica, è iniziata nel lontano 1995, anni durante i quali la città era assopita nella falsa idea che l’acciaio costituisse presente e futuro. E’ stato faticoso parlarne in anni, in cui era difficile parlare di industria, in quanto costituiva fonte di ricchezza. Poi Taranto si è svegliata, ma si è svegliata in un periodo di crisi, che ha reso difficile in un certo senso ‘costringere’ l’azienda ad investire in termini di ecologia. Effettivamente, quello che è cambiato da un po’ di anni a questa parte a Taranto, è stata la presa di coscienza, la consapevolezza che i fumi dell’Ilva costituiscono un rischio per la salute dei cittadini. Taranto era inquinata anche vent’anni fa, ma poi si è arrivati ad un punto in cui non si poteva più tacere. La vera grande ricchezza non è l’industria, così come spiegò Anselmo Madeddu nella conclusione del suo intervento. E poi un invito. Forse le più belle parole spese per Taranto, in un contesto nel quale al centro della discussione c’era inquinamento e malattia; un invito che dovrebbe arrivare a chi la voglia di riscatto dei tarantini l’ha spesso calpestata: «meritiamoci questa saggezza», ma soprattutto meritiamoci Taranto. Anzi, meritatevi Taranto, perché tutto questo è quello per cui moriamo ogni giorno.