A Brindisi si discute di impianti nucleari di quarta generazione. Perché il no ideologico è sbagliato
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A Brindisi negli ultimi giorni si è aperto un dibattito, di lunga prospettiva, è bene specificarlo, sulla possibile candidatura della città a ospitare un mini reattore nucleare di quarta generazione.
A fare da detonatore al dibattito è stato un intervento dell’onorevole di Forza Italia Mauro D’Attis durante la presentazione del nuovo progetto politico del parlamentare, ex Italia Viva, Luigi Marattin. D’Attis ha giustamente osservato come Brindisi, che pensa di costruire un dissalatore e che ha nella sua zona industriale tante industrie energivore, potrebbe solo giovarsi dal poter attingere energia elettrica dalla presenza di un impianto di nuovissima generazione.
I tempi non sono biblici ma quasi, perché anche se si iniziassero oggi i lavori di costruzione, l’impianto potrebbe cominciare a funzionare solo fra 15 anni. Tuttavia, siccome si va nella direzione della decarbonizzazione, è un non senso rifiutare l’apporto di una forma di energia che inquina pochissimo e che produce energia in maniera continuativa, cosa che non fanno le rinnovabili. Possibilista si è detto anche il sindaco di Brindisi, Giuseppe Marchionna.
Dopo queste dichiarazioni, è iniziato un prevedibile fuoco di sbarramento, istituito dai rappresentanti dei movimenti ambientalisti locali, dall’ex sindaco Riccardo Rossi e dal PD, i quali hanno fatto notare sostanzialmente come il nucleare sia una follia, per i suoi costi altissimi di costruzione, per i tempi, e perché le rinnovabili rappresentano il “sol dell’avvenire”.
Il dibattito attorno all’energia nucleare è viziato a monte, in Italia, dalla sciagura accaduta a Chernobyl, nel 1986, e in misura minore dal grave incidente di Fukushima del 2011, al quale seguirono due referendum nei quali gli italiani si espressero in maniera nettamente contrario all’utilizzo di questa energia.
I quattro impianti nucleari attivati in Italia negli anni ’60 furono quindi chiusi dopo il referendum del 1987, e per tanti anni questa risorsa è stata mostrificata come il male assoluto. Nel frattempo, però, non solo i reattori nucleari presenti ai confini italiani hanno continuato a funzionare regolarmente, con i rischi connessi, ma la ricerca ha consentito che i reattori nucleari si evolvessero molto tecnologicamente, cercando di affrontare quello che è il problema maggiore della produzione di energia nucleare con la fissione, cioè col bombardamento degli atomi di uranio: la produzione di scorie radioattive che restano tali per migliaia di anni.
Gli impianti moderni riescono a riciclare le stesse scorie o comunque a diminuirne l’ammontare complessivo, riducendone molto anche il tempo di radioattività. Peraltro il sito unico nazionale dei rifiuti nucleari va costruito comunque, come ce l’hanno tutti i Paesi industrializzati.
Si può continuare a sostenere la contrarietà verso questa forma di energia lo stesso, perché si temono incidenti con ricadute catastrofiche, ma va ricordato che a Chernobyl ci fu alla base un errore umano, compiuto su un reattore molto antiquato già per l’epoca, che in Giappone nel 2011 alla base dell’incidente ci furono il terremoto ed il seguente tsunami, al quale peraltro l’impianto seppe resistere nella sua integrità.
E’ comprensibile avere remore riguardo la costruzione di reattori in zone sismiche, ma oltre a queste obiezioni, la ricerca va avanti indipendentemente dalla contrarietà italiana. Privarsi a priori della possibilità di discutere dell’energia nucleare in nome di quello che erano gli impianti di tantissimi anni fa, i quali tuttavia su se stessi non sono crollati mai, ha poco senso.
Del resto i costi di realizzazione di un impianto sarebbero altissimi anche per i futuribili reattori a fusione nucleare, quelli a idrogeno, che risolverebbero del tutto la produzione delle scorie radioattive.
E le energie rinnovabili tanto decantate dagli ambientalisti, hanno fatto per adesso molti più danni dei problemi che hanno risolto, fonti solo di speculazione per le multinazionali del settore e di degrado ambientale. E il territorio del brindisino, con i suoi orribili megaparchi fotovoltaici, sta lì a dimostrarlo. Eppure in Puglia si avanza come un sol uomo in direzione della pressoché totale cessione di “sovranità” alle divinità delle rinnovabili.
La desertificazione che avanza, evidentemente, è un problema solo quando la causa il “cambiamento climatico”.