Figli che seviziano i genitori per ottenere denaro, l’altra faccia buia della violenza domestica
Quando si affronta il tema della violenza all’interno delle mura domestiche, il pensiero corre, praticamente in automatico, alla cosiddetta “violenza di genere”, cioè ad atti persecutori ripetuti, di portata fisica e mentale, che all’interno di un rapporto di coppia, anche quando esso è giunto al termine, l’uomo commette ai danni della donna. In alcuni casi, come purtroppo è noto, tali atti sfociano addirittura nell’assassinio.
Esiste tuttavia un altro versante di questa orrenda casistica, rappresentato dalla violenza che i figli adulti, perpetrano nei confronti dei propri genitori, spesso fra l’altro di età avanzata. Il movente alla base di queste nefandezze che le cronache locali riportano periodicamente è, come chi legge avrà probabilmente già intuito, quasi sempre lo stesso: la necessità del figlio, evidentemente tossicodipendente, di ottenere denaro da utilizzare per acquistare droga.
L’ultimo caso in ordine cronologico ci giunge da un Comune del sud Salento, dove una 41enne è stata allontanata da casa su provvedimento del Gip Marcello Rizzo, con l’obbligo di indossare il braccialetto elettronico. L’indagata risponde delle accuse di maltrattamenti in famiglia, estorsioni e lesioni.
Secondo quanto ricostruito nel corso delle indagini, la figlia avrebbe fatto ricorso ripetutamente all’uso della violenza fisica per farsi consegnare denaro contante o l’uso della carta Postepay. Il risultato è stato che la madre è finita addirittura in uno stato di grave denutrizione, arrivando a pesare la miseria di 35 kg, visto che i soldi per comprare l’essenziale per vivere venivano tutti consumati a causa della dipendenza della figlia dalle sostanze stupefacenti.
All’inizio del mese di luglio i due episodi culminanti: prima la figlia avrebbe fatto sbattere la madre contro un mobile in vetro, causandone la rottura ed arrivando ad utilizzare un frammento tagliente per minacciare di ucciderla, circostanza peraltro accaduta in presenza della sua bambina (la nipote della madre). Il giorno successivo l’avrebbe poi nuovamente aggredita all’ingresso della sua abitazione, tirandola per i capelli e prendendola a schiaffi.
Da qui la decisione di sporgere denuncia presso la locale stazione dei carabinieri, che hanno provveduto immediatamente a interrogare la 41enne, la quale ha ammesso di aver agito in stato di alterazione ma ha anche dichiarato, bontà sua, “di non avere avuto intenzione di nuocere alla madre”.
Il copione in questi casi è sempre lo stesso: immaginiamo un genitore che le prime volte, anche al cospetto di qualche scusa da parte del figlio, farà fronte senza opporsi alle richieste di denaro avanzate. Tali richieste si fanno tuttavia in seguito sempre più ravvicinate, anche come conseguenza deleteria dello sviluppo di una dipendenza indotta dalle sostanze psicotrope, e quindi le scuse non reggono più, soprattutto in considerazione dello stato di alterazione psico-fisica che esse causano in chi le assume.
Se la famiglia in questione è una famiglia di reddito appena normale, se la pensione del genitore consente niente più di una vita dignitosa e se gli stessi risparmi, faticosamente messi da parte, si vorrebbe che tali restassero per affrontare eventuali spese necessarie non differibili, è naturale che ad un certo punto il conflitto esploda. Quando ciò accade, si passa in un nulla dalle parole grosse, alle minacce e poi, se necessario, alle percosse.
I genitori cominceranno a vivere allora nell’incubo che il figlio arrivi in casa per estorcere loro il denaro. Si sopporta, si resiste finché si può, fino a quando si arriva a prendere una decisione che per un genitore è probabilmente l’ultima che si vorrebbe prendere: recarsi in commissariato per denunciare la persona che si è messa al mondo.
Il costo che richiede il compimento di quell’azione è, di fatto, l’ultima, lacerante, dimostrazione dell’amore che un padre o una madre hanno nei confronti di un figlio. Sembra incredibile d’altronde che esista, dall’altra parte, chi non abbia remore nella propria coscienza tali da impedirgli di chiedere tale, estrema, dimostrazione.