L’isola Salento
L’intera provincia di Lecce diventerà un’isola, le temperature toccheranno vette anche difficili da immaginare, ma sicuramente molto vicine a quelle che oggi registriamo nell’Africa Sahariana. Sembra un Disaster Movie, di quelli Americani, ai quali ormai siamo abituati e che, in fondo, guardiamo con un po’ di distacco, come non potesse mai capitarci di vivere una catastrofe naturale. Una mancata empatia, dovuta anche ai bislacchi stratagemmi con i quali i protagonisti spesso “risolvono” in breve tempo tragedie epocali ai limiti, quando non oltre le possibilità umane.
Il Cinema ha esigenze di brevità nel raccontare una storia, e, in generale, spesso si fa carico di messaggi più ampi da divulgare a più persone possibili, motivo per il quale in questo gioco di pesi e contrappesi una parte della realisticità viene sacrificata consapevolmente.
Il mondo della Realtà, invece, ha regole diverse, e l’happy ending è solo uno dei tanti finali possibili.
Telmo Pievani e Mauro Varotto, nel loro libro “Viaggio nell’Italia dell’Antropocene”, raccontano la geografia del nostro Paese nell’anno 2786. Gli autori, rispettivamente Evoluzionista e docente di Geografia all’Università di Padova, dettagliano con accuratezza scientifica gli effetti del cambiamento climatico sulla geografia della nostra penisola: il libro è corredato di minuziose immagini che, a colpo d’occhio, rendono a pieno gli effetti dell’innalzamento delle acque ed il progressivo ripiegamento dell’Uomo e dei suoi centri abitati.
La Pianura Padana completamente invasa dalle acque, Torino località costiera, il mare arriverà a lambire Roma, e, come detto, il Salento verrà isolato dal resto della penisola, diventando di fatto una grande isola tropicale.
Dal canto nostro, teniamo sotto osservazione questi eventi da diversi anni: l’Università del Salento, ad esempio, nel 2020 aveva partecipato al primo “Mediterranean Assessment Report”, con importanti contributi. Il documento, messo a disposizione dei cittadini, dei politici e delle istituzioni (con valutazioni scientifiche rigorose), restituiva un quadro tutt’altro che rassicurante.
L’inquinamento, lo spreco delle risorse, le specie animali e vegetali non indigene, vengono descritte come le principali cause del cambiamento climatico e dei suoi devastanti effetti. Nel testo viene confermato l’innalzamento delle temperature medie di 1,5 gradi rispetto al periodo preindustriale, con una proiezione che arriva sino a 5 gradi per la fine di questo secolo. Le ondate di calore, dalla durata sempre più prolungata, e l’ulteriore innalzamento delle temperature porterebbero gravi rischi per le fasce di popolazione più vulnerabili, oltre alle evidenti ricadute sull’agricoltura e più in generale sull’intero sistema produttivo.
Si stima che nella nostra regione ben il 30% della popolazione subirà pesanti disagi riconducibili al cambiamento climatico: perdita del lavoro (in special modo per chi lavora in ambito agricolo o agroalimentare), abitazioni lungo la costa semi sommerse dalle acque (a causa dell’innalzamento dei mare), impossibilità di uscire di casa per quasi tutta la giornata (a causa delle elevatissime temperature).
Se da un lato le prospettive sono apocalittiche, e l’idea di ritrovarsi a vivere su un territorio con caratteristiche decisamente più avverse può spaventare, dall’altro non dobbiamo dimenticare che la proiezione immaginata da Varotto e Pievani è un’immagine fissata fra più di sette secoli, ci sono quindi ancora ampi margini di manovra per limitare i danni.
Ricordiamo tutti come, solo trenta anni fa, gli ambientalisti erano considerati dei fricchettoni decisamente ipersensibili a certi temi e come gli sporadici articoli e servizi su giornali e TV non lasciassero, sulla popolazione e sui decisori, l’impressione che fosse assolutamente necessario intervenire. L’immagine dell’orso polare alla deriva, su una lastra di ghiaccio nell’artico, sicuramente ha mosso empatia, ma un reale movimento ed un quadro più completo sul cambiamento climatico del nostro pianeta sono faccenda relativamente recente.
La tecnologia sicuramente ci aiuterà a gestire parte del problema: la capacità di riutilizzare le materie prime attraverso il riciclaggio (evitando quindi di continuare ad erodere risorse al pianeta), l’efficientamento energetico (ci permetterà di continuare ad utilizzare ogni genere di apparecchiatura con un minor impatto ambientale), la progressiva sostituzione dei combustibili fossili con tecnologie decisamente più sostenibili (limitando la dispersione di CO2 nell’atmosfera), aiutandoci magari a non seguire la stessa sorte che i dei dinosauri subirono a loro tempo.
E’ però opinione diffusa fra gli scienziati che la tecnologia da sola non sarà in grado di fermare o rallentare significativamente l’accelerazione del cambiamento climatico, sarà necessario un importante intervento dei decisori e della popolazione.
Fortunatamente, sembra che gran parte dei Governi a livello mondiale abbia finalmente cominciato ad invertire l’inerzia: dopo anni nei quali il protocollo di Kyoto è stato puntualmente disatteso la pressione dell’opinione pubblica, grazie anche ai vari movimenti (come quello promosso da Greta Thunberg), sembra finalmente aver scardinato le prime resistenze. Certo, i Paesi su cui grava la maggior parte delle emissioni non hanno ancora assicurato impegni in linea con gli accordi, ma la strada è già stata tracciata, e chi si attarda nel continuare a perseguire vecchi modelli di produzione accumulerà ritardi rispetto a questo nuovo virtuoso processo che appare irreversibile. Dirottare fondi e ricerca, in ambito di economia circolare e rinnovabili, saranno il focus degli anni a venire, calamitando l’interesse delle aziende e degli investitori.
Per tornare a faccende strettamente nostrane, l’Università del Salento è sempre in prima linea, con il sopra citato Mediterranean Assessment Report, la ricerca ed i nuovi corsi di laurea, tra i quali citiamo il recente “Sviluppo sostenibile e cambiamenti climatici”.
Indirizzo più che mai opportuno in questo Antropocene (termine non ancora completamente assorbito dalla stessa comunità scientifica), che suggerisce un’era di cambiamenti geologici governati in gran parte dall’opera dell’uomo, in un territorio come il nostro, funestato da un dissesto idrogeologico costiero. Il progressivo e sempre più intenso logorio delle falesie specialmente sul lato Adriatico ed un bacino idrico fortemente condizionato dalle piogge, che nel prossimo secolo rischiano di ridursi del 30% con conseguenti ricadute sull’agricoltura, chiariscono ulteriormente il quadro.
Molte delle recenti epidemie, ai danni di palme e del nostro ulivo, sono state favorite da un progressivo aumento delle temperature, che hanno permesso una maggiore proliferazione dei parassiti e che, in alcuni casi, con temperature più basse non si sarebbero mai adattate al nostro clima.
Pur trattandosi di equilibri delicati e con enormi forze in campo, anche i singoli individui posso fare una grande differenza. Se è comunque vero che chi ha più potere o più denaro a disposizione ha sicuramente maggiori responsabilità nel cambiamento, anche un gruppo numeroso di individui, se ben coordinati, possono spostare di molto gli equilibri.
La scelta prodotti con una filiera corta e sostenibile (dal packaging ridotto o compostabile), l’utilizzo di mezzi di trasporto pubblico e la riduzione degli sprechi legati ai consumi domestici devono diventare abitudini consolidate. Sentirci parte attiva di un cambiamento, che preserverà i nostri figli da disagi peggiori rispetto a quelli già importanti con cui ci confrontiamo oggi, è diventato una missione non più procrastinabile. Le proiezioni nei secoli a venire e la nuova geografia, ridisegnata dall’innalzamento dei mari in futuro catastrofico, ci sarà da monito: non isolarci oggi dalla transizione ecologica per non diventare un’isola domani.
Carlo Sindaco
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