Convenzione di Faro: la Camera approva
Soddisfatta la maggioranza governativa PD-M5S (“momento fondamentale per il Patrimonio culturale”); Lega e Fratelli d’Italia insorgono (“introdurrà un nuovo oscurantismo e calerà un velo su dipinti e sculture che fanno parte della nostra identità e storia”).
Il critico d’arte Sgarbi: “È una schifezza del convenzionalismo politicamente corretto. Non si possono porre limiti alla creatività”.
La Camera dei Deputati ha approvato definitivamente la Convenzione di Faro nella seduta del 23 settembre scorso, con 237 voti favorevoli, 119 contrari e 57 astenuti. Si sono rispecchiati, di fatto, i profili politici rappresentativi della precedente votazione del Senato (ottobre 2019), in cui si espressero favorevolmente PD, M5S, Italia Viva e Liberi Uguali; votò contrario la Lega, si astennero Fratelli d’Italia e Forza Italia.
Il Trattato in specie, comunque, è titolato: “Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società”. Fu data apertura alla firma il 27 ottobre 2005 a Faro, città-capoluogo della regione portoghese meridionale dell’Algarve. È entrata in vigore il Primo giugno 2011. La ratifica ha avuto un procedimento assai lento e disseminato di ostacoli. Tant’è, l’Italia l’ha sottoscritta a Strasburgo solo il 27 febbraio del 2013. Ad ogni modo, oltre lo Stato italiano, adesso vi risultano aderenti Armenia, Austria, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Finlandia, Georgia, Lettonia, Lussemburgo, Montenegro, Norvegia, Portogallo, Moldova, Serbia, Slovacchia, Slovenia, ex Repubblica Jugoslavia di Macedonia, Ucraina, Ungheria, Svizzera. Le Nazioni che ne sono ancora fuori per propria scelta sono: Francia, Germania, Regno Unito, Grecia, Russia.
La Convenzione di Faro muove dal concetto che la conoscenza e l’uso dell’eredità culturale rientrano fra i diritti dell’individuo a prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità ed a godere delle arti, così come sancito nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (Parigi 1948) e garantito dal Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (Parigi 1966). Si raccorda, pertanto, a uno spartito di politiche europee che tiene conto dei processi in atto di democratizzazione della cultura e di open government. Difatti è nella partecipazione dei cittadini e delle comunità la chiave per accrescere in Europa la consapevolezza del valore del patrimonio culturale e del suo contributo al benessere e alla qualità della vita. Propositi, altresì, che prendono forza dalla convinzione che “chiunque, da solo o collettivamente, ha diritto a trarre beneficio dall’eredità culturale ed a contribuire al suo arricchimento. Rispettando, parimenti, la propria e l’altrui eredità culturale e, di conseguenza, l’eredità comune dell’Europa. L’esercizio al suo diritto può essere soggetto soltanto a quelle limitazioni che sono necessarie in una società democratica, per la protezione dell’interesse pubblico e degli altrui diritti e libertà”.
Sulla ratifica delle Convenzione di Faro ha espresso soddisfazione Dario Franceschini,
ministro ai Beni e Attività culturali e per il Turismo, il quale ha dichiarato: “Segna un momento fondamentale per il nostro ordinamento che riconosce, finalmente, il patrimonio culturale come fattore cruciale per la crescita sostenibile, lo sviluppo umano e la qualità della vita. Introduce il diritto al patrimonio culturale. Un testo lungimirante, insomma, che amplia le modalità di tutela e valorizzazione, così come è lungimirante la nostra Costituzione, unica al mondo a individuare la tutela del paesaggio e del patrimonio culturale tra i principi fondamentali”.
Di tenore diverso la riflessione generale dei deputati della Lega. Hanno espresso preoccupazioni per le possibili interpretazioni degli articoli 4 e 7: il primo, sottopone l’esercizio del diritto al patrimonio culturale a “quelle limitazioni che sono necessarie in una società democratica, per la protezione dell’interesse pubblico e degli altrui diritti e libertà”; l’altro impegna le parti a incoraggiare la riflessione sull’etica e i modi di presentazione del patrimonio ed a “stabilire i procedimenti di conciliazione per gestire equamente le situazioni dove valori contraddittori siano attribuiti allo stesso patrimonio culturale da comunità diverse”.
Al riguardo, le valutazioni della senatrice Lucia Borgonzoni, capo Dipartimento Cultura del Carroccio: “In ogni comune d’Italia dove amministriamo e dove siamo in opposizione presenteremo un documento: non nasconderemo mai la nostra cultura e la nostra identità, non copriremo statue o dipinti per timore di offendere l’altrui cultura o religione. Rispetto per tutti ma non ci faremo mai sottomettere”. Dà carico al suo concetto il collega Luca Briziarelli:
“Giù le mani dalla cultura italiana. Con tutti i problemi che hanno gli italiani, i lavoratori e il Paese, il Parlamento non viene impegnato a risolverli ma ad approvare una Convenzione che svenderà il patrimonio nazionale artistico all’Islam. Dietro l’apparenza delle buone intenzioni, di fatto, si darà la possibilità di censurare la nostra arte se altre comunità o singoli si sentiranno offesi; per esempio, la comunità islamica. Il politicamente corretto di Pd e M5S introdurrà un nuovo oscurantismo e calerà un velo su dipinti e sculture che fanno parte della nostra identità e storia”. La Lega, poi, ha protestato contro la ratifica della Convenzione portando in aula manifesti censuranti il David di Michelangelo, i Bronzi di Riace e la Divina Commedia.
Non dissimile le dichiarazioni del deputato Andrea Salmastro,
capogruppo di Fratelli d’Italia in Commissione esteri: “Introduce il concetto della necessità di porre limitazioni alla fruizione del nostro patrimonio artistico-culturale. Siamo alla più clamorosa resa della nostra civiltà. L’identità italiana non può essere oggetto di mediazioni. Se qualcuno si dovesse sentire offeso dai nostri simboli culturali, allora scegliesse altro Paese per vivere”.
Forte contrarietà verso la Convenzione di Faro e sull’articolo 4 anche da parte del professor Vittorio Sgarbi,
Gruppo Misto: “È una schifezza del convenzionalismo politicamente corretto”. Per il critico d’arte “basta la consapevolezza del patrimonio. Sono più che sufficienti i valori condivisi dell’Unesco, che la legge italiana tutela e ci garantisce. Una legge sovranazionale, invece, che stabilisce quello che è bene per tutti, è chiaro che ha delle controindicazioni. Se io ho una commedia in cui c’è un cameriere nero, cosa faccio, la censuro? Se ho un affresco di Giovanni da Modena in cui c’è Maometto, lo cancello? Dovremo censurare Pasolini, Céline? Come è possibile che si scriva una cosa così insensata e che ottenga anche plauso? La cultura è libera e profondamente provocatoria, la vita di Pasolini è una contraddizione costante al politicamente corretto. O dobbiamo velare, come fece Renzi e lo stesso ministro Franceschini, le statue romane al Campidoglio per accogliere il presidente dell’Iran? Questo è il limite a cui siamo subordinati? È chiaro che chi come noi ha una legge formidabile, che nessun’altro Paese ha avuto, come la legge Bottai del 1939 sulla tutela del patrimonio, non ha bisogno di piegare il capo per assumere indicazioni da chi ha consentito globalizzazione, distruzione, sconvolgimento del patrimonio senza tutela. Noi abbiamo una sufficiente garanzia di tutela del patrimonio che è nei principi fondamentali espressi dall’estetica italiana, da Cesare Brandi, da Roberto Longhi, da Bottai con la sua legge, e dobbiamo accettare queste lezioncine ridicole di buon senso fasullo che sono il simmetrico della persecuzione di Salman Rushdie, cioè l’idea che qualcuno deve contenere il suo linguaggio? Personalmente, sono contrario alla Convenzione di Faro, alla sola sua idea di censurare la libertà di pensiero e della creatività. È sbagliato il principio, seppur in nome di valori condivisi”.