LA SPETTACOLARIZZAZIONE DEL CRIMINE
L’allarme: tutelare le persone fragili coinvolte
L’aridità spirituale è la caratteristica del nostro tempo.
Le rovine spirituali che pervadono il mondo hanno raggiunto limiti estremi come limiti estremi ha raggiunto lo spirito di competizione e di aggressività. Lo spirito del secolo e il genio malefico hanno fatto esplodere gli istinti più perversi, rendendo la fede anemica. Manca la capacità di ascolto, la capacità di sublimare le forze dello spirito.
I valori dello spirito sono irrisi e respinti, deteriorati.
Cercare di farli rinascere è come far fiorire il deserto. Questa è un’epoca triste, perché difetta di anime grandi e pensose; per contro, di anime folli che non avvertono conflitti di doveri e di ideali. Ad aumentare il disagio si associano i mezzi di comunicazione sociale: web, televisione, stampa che avrebbero il compito imperativo e pressante di contribuire alla ricostruzione ed alla diffusione della morale e della cultura ma che invece concorrono alla formazione dell’anticultura, della degenerazione.
È motivo di grande tristezza la notizia della tragica fine di Viviana e Gioele, del giallo di Caronia. Una tristezza che, riverberandosi su tutta la Nazione, sollecita ancora una volta una riflessione e una più determinata attenzione sui temi della fragilità umana.
È l’esigenza di informazione a seguito di note vicende giudiziarie di enorme diffusione a farci rammentare di un’annosa questione: quella relativa alla banalizzazione e spettacolarizzazione del male.
Perché il crimine piace e appassiona molti?
Il crimine oramai lo troviamo dappertutto, dalle serie TV ai giornali; c’è anche un’industria che fa del crimine uno spettacolo. Il fascino del male e del delitto oggi ha anche una sua tipografia e i suoi tour operator. Il crimine e il malaffare sono da tempo usciti dalla nicchia e dal “genere”, approdando nel mainstream. Si raccontano in TV o sulle riviste dettagli capziosi su corpi e vite straziate. Il male e i delitti consentono il confronto con temi esistenziali di cruciale importanza: la morte, il contatto con la mostruosità, con l’autentico.
Nella società contemporanea siamo assistendo ad una “mercificazione delle emozioni”.
La fuga di notizie – di cui si parla espressamente nell’art. 335 c.p.p. – dovrebbe costituire il normato ostacolo onde limitare l’accesso ad estranei, al riservato registro delle notizie di reato, il diritto alla riservatezza supportato dalla necessità investigativa della segretezza processuale, dall’ altro il diritto dovere di informazione, ergo della libertà di stampa anche se i mass media si appiattiscono al facile consenso di chi dilata la notizia ghiotta delle disgrazie altrui.
Il crimine e il sublime rispondono al bisogno profondo di confrontarci con questa dimensione dell’esistenza, tenendola al contempo ad una certa distanza.
La morte oramai è stata medicalizzata. Sovente la notizia sostituisce il reato, perché equivale a condanna e conseguentemente l’uso deviato ed illegale che si fa di atti coperti da segreto istruttorio finisce con il privarci di un bene prezioso ed irrinunciabile in un Paese civile.
Una sana democrazia deve garantire la libera esplicazione di tutte le opinioni, educando il lettore a comprendere il vero significato dell’indagine, senza costringere l’indagato a subire una ingiustizia preventiva e frettolosa condanna definitiva ed irrevocabile.
Siamo passati dalla constatazione filosofica della “banalità del male” alla sua deliberata, volontaria e più sconcertante banalizzazione.
Si potrà parlare di ritorno alla civiltà e alla legalità solo nel momento in cui l’opinione pubblica saprà riconoscere e la giustizia saprà punire gli abusi.
“Nei media, come in altre istituzioni importanti, coloro che non mostrano di condividere valori e punti di vista richiesti saranno considerati irresponsabili, ideologici o comunque persone devianti e tenderanno ad esserne esclusi”
Noam Chomsky, La fabbrica del consenso, 1988
Francesca Branà