“Direttore” Paolo Aquaro…
Parlare di una persona deceduta fa emergere spesso tutta la nostra ipocrisia. Si sprecano le lodi, anche da parte di chi non ha gli espresso un apprezzamento quando era in vita. Penso ad esempio alle istituzioni del territorio che mai hanno pensato di riconoscergli una attestazione che Paolo avrebbe meritato. Il ruolo migliore, ha detto Don Franco Semeraro nell’Omelia del suo rito funebre, glie l’ha riservato il Signore, nominandolo: “Addetto stampa del Paradiso”. Non posso dimenticare alcuni pseudo colleghi che ne prendevano le distanze, per i quali, improvvisamente, è diventato maestro, amico insostituibile, persona eccezionale, grande personalità. Ma quanti gli si sono avvicinati per manifestarglielo o riconoscergli la sua superiorità intellettuale e giornalistica? Sono stato molto combattuto, prima di scrivere questo editoriale. Ho voluto che parlasse di lui Gianni Florido. Lo conosceva da tanti anni prima. Sto scrivendo d’istinto e non rileggerò quanto scritto. Voglio parlargli l’ultima volta con il cuore, senza cambiare i pensieri, senza attutire la mia angoscia. Paolo Aquaro è stato uno dei pochi a tenere a freno la mia impulsività. Era capace di farmi ragionare e guardare le cose da diverse prospettive. Non era uno che riusciva simpatico a primo acchito, esattamente come me. Era spesso controcorrente. Forse era questo che ci univa. Era un grande signore. Per vent’anni della nostra vita, abbiamo viaggiato su binari diversi. Lui giornalista importante, direttore di quotidiani, acculturato, io, appena ventenne, autodidatta della radio, delle prime televisioni, delle prime riviste, ma soprattutto studioso del marketing. Ricordo Tribuna Sport, il primo vero settimanale sportivo redatto dai migliori giornalisti del territorio. Qualche anno dopo gli contrapposi il “Biancazzurro”, redatto da ragazzi che a malapena riuscivano a scrivere in Italiano. Io e lui eravamo il sacro e il profano. Per molti anni le nostre strade hanno percorso strade parallele. Non eravamo amici, né conoscenti. Alla fine degli anni novanta creò il quotidiano “Martina Oggi”. Pochi mesi dopo pubblicai il “Martina Sera”. Fu breve la vita del suo quotidiano anche se, agli inizi, era di gran lunga migliore del mio, perché a dirigerlo c’era il “direttore”.
Il giorno prima di morire, mi ha regalato un quadro con la copertina del mio primo numero, ma soprattutto la sua dedica: “E dopo il mio breve Martina Oggi, la bella realtà del tuo Martina Sera e l’avventura continua con il ventennale di PugliaPress. Auguri per i 60 anni Paolo e Franca”
Gli ultimi vent’anni della nostra vita li abbiamo trascorsi sullo stesso vagone. Dio mi ha regalato la possibilità di condividerli con un uomo eccezionale. Il suo rammarico era quello di non esserci conosciuti vent’anni prima. Diceva che avremmo insieme cambiato l’informazione pugliese, lui con la sua grande conoscenza giornalistica, io da quella del marketing. Quello che ho imparato di questo mestiere lo devo solo a lui. PugliaPress è diventato un quotidiano regionale autorevole sotto la sua direzione. Fondò la Voce del Popolo, da lui diretto per alcuni anni e che, dopo la sua chiusura, mi convinse a rilevare. Il nostro rapporto era simile, per molti versi, a quello tra un padre ed un figlio. Mi rimproverava, mi riprendeva, a volte volavano anche parole grosse, qualche giorno dopo ci chiamavamo come niente fosse. Eravamo due sognatori. Rimaneva sempre affascinato dai miei sogni e dai progetti che, nonostante lui appartenesse ad un’altra generazione, riusciva a comprendere e, nello stesso tempo, perfezionare. Qualche domenica fa, davanti ad un Caffè, seduti all’ombra, parlavamo con entusiasmo del futuro. Aveva ritrovato, nel dirigere questo giornale un ritrovato entusiasmo, una nuova linfa vitale. L’aveva plasmato secondo il suo modo di concepire l’informazione, nella quale la cultura prevaleva sempre sulla banalità. Leggeva ogni articolo e lo modificava secondo le sue convinzioni. Diceva che anche Manzoni poteva essere corretto e sapeva farlo con grande maestria. Mi ha insegnato a raccontare storie. Su questo numero, la maggiorparte degli articoli pubblicati sono stati da lui rivisti e lo abbiamo voluto evidenziare con la scritta “Rivisto da Paolo”. Ultimamente si era avvicinato, con non poche difficoltà, alla tecnologia. Gli avevo insegnato ad usare la videoconferenza, le liste brodcasting di wattsapp, la messaggistica. Da uomo moderno ed intelligente quale era, aveva capito che il mondo dell’informazione era cambiato e ne era diventato nuovamente protagonista, con un giornale che mai in passato aveva raggiunto questo livello. La morte improvvisa di Angelo, suo figlio, l’11 aprile del 2019, lo aveva devastato. Cercava di nasconderlo per Franca, la donna che ha amato profondamente per tutta la vita. L’unica che è riuscita tenergli testa. Paolo era un brontolone con il cuore tenero. Esattamente un anno fa, nel periodo più difficile della mia vita, è stata tra le persone a me più vicine. Ho respirato il suo affetto, ho visto, in alcuni momenti, i suoi occhi pieni di lacrime. Insieme siamo ritornati alla vita incoraggiandoci a vicenda. Tutto questo fino a quel 8 luglio, un anniversario che che doveva rimanere un giorno festoso. Quella sera era ritornato ad essere quel ragazzo brillante che, negli anni sessanta e settanta, rappresentava la miglior gioventù della Rotonda di Martina Franca. Nel giorno del mio sessantesimo compleanno con Franca ha ballato tutta la sera. Avevo concordato con il maestro dell’orchestra le canzoni che avevano caratterizzato la sua lunga storia d’amore con la moglie. Spiegava a chi gli stava accanto, ogni singolo brano: com’era nato, chi lo cantava. Chiese al maestro “Fly me in to the moon” di Frank Sinatra, la sua canzone. Non mi fece mancare la sua consueta battuta ironica, quando spiegavo agli invitati il “marzanotto”: “Anche stasera sta cercando di venderci qualche cosa”, disse sorridendo a Francesco Leggieri. Poche ore prima della sua scomparsa disse a Franca: “Che bella serata, ne avevo tanto bisogno”. Era da 15 mesi che non rideva più. E’ stata l’ultima notte della sua vita. Da quel giorno, il mio telefono è tornato a squillare negli orari normali. Nel suo lavoro era uno stacanovista. Il giornalismo era la sua vita. Ti chiamava a tutte le ore. Era un perfezionista.
Mi porto dentro di me una angoscia indescrivibile. Tornare a fare questo giornale è come trovare un territorio all’indomani di uno Tsunami. Da oggi nulla sarà più come prima. Voglio convincermi che lui possa continuare a guidare i nostri pensieri. Questo ci aiuterà ad andare avanti. Proveremo a fare il suo giornale, così come lo avrebbe voluto. Ci sono persone che cambiano la vita di altre. Paolo ha cambiato la nostra. Ciao Direttore.
Antonio Rubino