Lecce- Sarparea, speculazione edilizia o l’insostenibile leggerezza del vuoto?
Sarparea! Chi o cosa si indica con questo nome dal suono misterioso quanto basta per capire che c’è un qualcosa di antico? E nel passato, come noto, ci si fiondano un po’ tutti: i conservatori ad oltranza e coloro per i quali il profumo della storia è trendy e monetizzabile. Sarparea, in questi ultimi giorni sulla bocca e penna di molti, è una località in prossimità di Nardò (Lecce) oggetto di una lottizzazione. Circa 70 milioni di euro per realizzare un villaggio turistico o resort, per chi preferisce essere più “in”, investitori “strangers” (gli inglesi Alison Deightopn e Jan Taylor), studio di progettazione pure “stranger” (r-a-a-d.com/sarparea-de-pandi-boutique-hotel-spa). Naturalmente qui il problema non è l’essere “stranger/straniero” di qualcuno o qualcosa (investitori, denari), qui la “estraneità” è evidentemente altra e non di poco conto. Sul sito web dello studio di architettura troviamo interessanti disegni (figura 1) che dimostrano come i progettisti abbiano pensato per Sarparea un intervento (le abitazioni del resort) collocato tra gli alberi (the space between) per rispettare questi ultimi. Un’idea interessante, ambientalista verrebbe da dire, se non avessero, sempre i progettisti, però deciso di moltiplicare l’inserimento abitativo talmente tanto da inficiare l’idea stessa di un principio (sottolineiamolo: principio) fondato sul rispetto dell’ambiente. Per intenderci meglio: Frank Lloyd Wright, uno dei padri dell’architettura moderna, nel 1935 progettò e poi realizzò una celebre casa innalzando questa architettura su una cascata e fra gli alberi; si tratta però di una sola abitazione. E’ proprio questa unicità a rendere quell’intervento un capolavoro anche dal punto di vista del rapporto con l’ambiente; ed è proprio questa “mancata” unicità che rende l’intervento per Sarparea una lottizzazione nel senso più riduttivo del termine ovvero una speculazione. Ci chiediamo quindi se i tecnici (di Regione Puglia, Soprintendenza all’Archeologia, Belle Arti e Paesaggio e sottolineammo: paesaggio, Ufficio Tecnico del Comune di Nardò) che il progetto hanno approvato abbiano anche maturato quella sensibilità culturale che è necessaria, anzi fondamentale, per valutare casi del genere. Il progetto di lottizzazione è stato fortemente criticato in questi ultimi anni da cittadini ed associazioni e nei giorni scorsi si è visto circolare sugli organi di stampa un secondo progetto (figura 2)
in cui spicca una distribuzione più compatta delle abitazioni lungo più linee di aggregazione. La compattezza di quei segni dimostra che almeno alcuni degli ulivi secolari dovranno essere abbattuti o almeno spostati. In sintesi questo passaggio dal parcellizzato al segno (seppure plurimo) forte è una toppa anche peggio del buco. C’è però qualcosa di ancora più discutibile nascosto fra le pieghe di questo discorso progettuale (verrebbe da evocare ancora “the space between/lo spazio tra” cui si accennava). Una indicazione in questo senso proviene proprio dalle medesime tavole di progetto elaborate dallo studio di architettura per esporre l’intervento (il primo, figura 1) dove viene riprodotta una immagine della celebre statua intitolata “Apollo e Dafne” scolpita da Gian Lorenzo Bernini nel 1623 dove l’artista rappresenta una Dafne in fuga che si trasforma in una pianta di alloro per sfuggire ad Apollo. Al di là della suggestione narrativa (tutta da segnalare infatti questa passione di alcuni progettisti che usano talvolta la citazione del passato per nobilitare anche il più discutibile presente), dando per buono anche il fatto che lì la pianta è l’alloro e qui quella di ulivo, è da accettare almeno la citazione storica ma spostandosi un poco più in giù verso cioè un passato solo lievemente più antico ma sempre barocco. Provate a pensare a Caravaggio, ai suoi dipinti, soprattutto quelli più tardi in cui il vuoto diventa dominante; provate a pensare al quel nero che attanaglia i personaggi delle scene, e costruisce quel vuoto. Provate a togliere quel “nero”, quel “vuoto”, ammesso che sia possibile farlo, e scoprireste che esso è strettamente legato al pieno, ai personaggi delle storie che Caravaggio coglie istantaneamente nel suo “pezzo” di realtà. Mutatis mutandis il vuoto che è tra gli alberi d’ulivo di Sarparea non è una mancanza, non è il nulla, non è spazio da colonizzare/lottizzare, non è neanche il luogo dove mettere in scena l’horror vacui di progettisti, committenti, e , più in generale, del mondo contemporaneo. Il vuoto fra gli ulivi spiega gli alberi medesimi e dovrebbe far capire a progettisti e committenti che proporre una pletora di abitazioni fra gli ulivi, soprattutto se secolari, è culturalmente fuori luogo; ai tecnici di Regione Puglia, Comune di Nardò e Soprintendenza locale dovrebbe insegnare che le norme giuridiche spesso, come in questo caso specifico, sono inadeguate perché non riescono a colmare il vuoto (ancora e sempre il vuoto) sancito dalla Storia. Appare chiaro che la scultura di G. L. Bernini, attraverso questa vicenda, si attualizza ma non nel senso voluto dai progettisti e così Dafne diventa Sarparea, nuova figura di un mito contemporaneo, in fuga da un Apollo che, ricordiamolo, vorrebbe abusare di lei. Rimane solo da capire chi oggi sta impersonando Apollo e vuole colmare l’insostenibile leggerezza del vuoto con un abuso. Una cosa però appare certa: le 70 milioni di ragioni dei pochi potrebbero valere più di una sola considerazione sul vuoto e sul paesaggio che invece preme ai tanti.
Fabio A. Grasso