ESCLUSIVA. «IO NON LI CONDANNO». L’Italia si mobilita. Nasce un movimento a sostegno dei Carabinieri coinvolti nel caso Cucchi.
A cura di Elena Ricci
«Io non li condanno». Recita così la frase che accompagna un’immagine singolare e d’impatto. La nostra Carta Costituzionale, il tricolore, il simbolo dell’Arma dei Carabinieri e il comma 2 dell’Art. 27 della Costituzione Italiana “l’imputato non è considerato colpevole fino alla sentenza definitiva di condanna”.
«Io non li condanno» è il movimento nato in rete a sostegno dei Carabinieri coinvolti nel Caso Cucchi, rinviati a giudizio tre giorni fa con le accuse di omicidio preterintenzionale (Alessio di Bernardo, Raffale D’Alessandro e Francesco Tedesco), falso (Roberto Mandolini, Francesco Tedesco) e calunnia (Roberto Mandolini, Vincenzo Nicolardi, Tedesco).
Contattato il nostro giornale, che segue da tempo le varie vicende che riguardano i militari coinvolti, gli organizzatori, un gruppo di cittadini stanchi dei processi mediatici, sottolineano gli scopi di questo movimento.
«Siamo rispettosi del dettato Costituzionale per il quale tutti sono innocenti fino a prova contraria – ci dicono – A maggior ragione per il caso Cucchi dove già le sentenze ottenute sono state di assoluzione. Per esempio per gli agenti penitenziari. Non tolleriamo processi sommari fatti in Piazza e sui Social Network, dove medici, infermieri, carabinieri, agenti penitenziari, vengono collettivamente indicati come colpevoli e responsabili, lasciando intendere che tutti abbiano partecipato ad una esecuzione. Noi vogliamo semplicemente rimetterci al necessario e giusto percorso che la giustizia deve seguire nell’ambito suo naturale: cioè il tribunale».
Tante le personalità e le competenze presenti nella neonata organizzazione. E alla luce di quella che sembra essere una vera e propria gara tra chi coinvolge più gente e chi è più social, abbiamo provato a chiedere ai fondatori cosa in realtà vogliono portare all’attenzione dell’opinione pubblica.
«Il fatto sostanziale è la rilevanza mediatica e le conseguenze che hanno subito queste persone» ci dice una di loro. E a tal proposito volevamo ricordare quanto la rilevanza mediatica abbia influito sulla normale vita di questi Carabinieri, e a nostro tempo parlammo anche di questo, in un articolo relativo (potete leggerlo qui) alle minacce e ingiurie avverso cui il vice brigadiere Tedesco presentò circa 1300 querele. Il tutto dopo che Ilaria Cucchi, diffuse sui propri canali la foto del militare in costume da bagno, accompagnata dalla frase «Questo è il volto di chi ha pestato mio fratello».
Altro punto importante di discussione che il movimento vuole sottolineare è quello del cambio dei capi di imputazione. Infatti, i reati oggi contestati, erano in precedenza lesioni personali aggravate e falsa testimonianza.
«Non comprendiamo il cambio dei capi d’imputazione quando un collegio di luminari si era espresso con tanto di perizia che avrebbe dovuto avere valore legale» dicono ancora. Infatti la perizia escluse eventuali lesioni o percosse come causa o concausa di morte. Il contrasto tra capi di imputazione ed esiti peritali pertanto è evidente.
«Quella perizia fu fortemente voluta dal giudice – ci dice una dei fondatori – ce ne sono state infinite. Nessuna è andata bene? Sono state spese migliaia di euro in perizie. Come hanno potuto i procuratori sostituirsi alla scienza e prendere decisioni decisamente in contrasto con quanto asserito dai medici legali? ».
Nei processi (quelli veri, non quelli tristi su Facebook con relativi seguaci e copertura dei post) ad esprimersi è anche la difesa. Si attende il processo, si attende la verità, si attende giustizia. Ed è stato il monito del Comandante Generale dell’Arma Tullio Del Sette: “Arrivare alla verità, non delegittimare i Carabinieri”.
Il movimento sarà presto un’associazione Onlus e parte da ora con i suoi canali social.
Nel frattempo c’è chi vuole fare chiarezza e dare voce a chi in questa storia “è colpevole di indossare una divisa”.
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Elena Ricci