Roma – Il nuovo stadio per la A.S. Roma e la vera storia del vincolo sull’ippodromo di Tor di Valle
Per la libertà delle Soprintendenze
Avremmo voluto scrivere oggi quello di cui in genere ci occupiamo ovvero di storia dell’Arte e dell’Architettura e meglio ancora della libertà di Michelangelo Merisi da Caravaggio e di quella di Gian Lorenzo Bernini ed invece no. L’evolversi a ritmo serrato della vicenda dell’avvio della procedura di vincolo sull’ippodromo di Tor di Valle a Roma ci obbliga a mollare la penna con la mano destra e a riprenderla con quella sinistra. Chi ritenesse più utile affrontare questa vicenda nei modi sguaiati da bettola visti i questi ultimi giorni, chi la volesse buttare in “casciara” cercando nella confusione di trarne vantaggio si fermi qui, non vada avanti nella lettura, non perda il suo tempo. Ora infatti parleremo della libertà, la medesima di Bernini e di Caravaggio, quella libertà che non ha timore del potere e dei suoi facinorosi seguaci. La libertà che qui si vuole difendere è quella delle Soprintendenze al di là di ogni apparenza ufficiale. Come si diceva, pochi giorni fa la Soprintendenza di Roma ha avviato una procedura di vincolo che, secondo alcuni, farebbe addirittura saltare la costruzione del nuovo stadio per la A. S. Roma. Chiariamo subito, cosa peraltro nota bene a chi ha esperienza con situazioni simili, che l’avvio dell’iter non blocca un progetto ma di quest’ultimo chiede la modifica nel rispetto del valore storico-architettonico delle preesistenze. Il compito di una Soprintendenza è questo ed è in questo che essa esercita e deve esercitare la sua libertà in assoluta indipendenza. In questi ultimi giorni le cronache ci hanno restituito invece una ricostruzione falsa dei fatti a partire dal fatto che la Soprintendenza di Roma abbia agito quasi manipolata, agli ordini di Italia Nostra.
I fatti non stanno così ovviamente: chi abbia un minimo di contezza di cosa significhi avviare una indagine finalizzata alla imposizione di un vincolo sa bene infatti che l’iter è lungo e che con buona approssimazione la Soprintendenza di Roma lo ha avviato almeno dall’Ottobre 2016.
A ciò si aggiunga che il 12 Gennaio scorso veniva inviata da un privato cittadino con mail-pec, una “segnalazione di bene culturale a rischio” (avente come oggetto proprio la richiesta di tutela dell’ippodromo di Tor di Valle e sue tribune) con destinatari: Presidenza della Repubblica, Ministro dei Beni Culturali e Turismo, Segretariato Regionale MiBACT – Lazio, Soprintendenza A. BB. AA. P. – Roma, Direzione Generale Arte e Architettura Contemporanee – MiBACT, Italia Nostra – Roma, Presidenza del Comitato Tecnico-Scientifico – MiBACT, Assessore Urbanistica – Roma, Direttore Maxxi – Roma. Il 23 Gennaio 2017, su richiesta della medesima Soprintendenza, si riuniva il Comitato Tecnico Scientifico del MiBACT che riconosceva il valore storico-architettonico dell’ippodromo e di qui l’avvio vero e proprio dell’iter per il vincolo. Quando il 31 Gennaio 2017 Italia Nostra, che in ogni caso molto si è spesa sulla tutela paesaggistica dell’area destinata ad ospitare il nuovo stadio, ha spedito alla Soprintendenza di Roma la sua sollecitazione a vincolare l’ippodromo l’iter del vincolo era già stato predisposto. Ciò dimostra una volta di più la libertà e l’indipendenza della Soprintendenza di Roma. A questo proposito colpiscono poi le parole del Ministro Dario Franceschini, alla guida del MiBACT da cui dipende la Soprintendenza di Roma: “Su vincoli e pareri le soprintendenze sono autonome e indipendenti. Il ministro non può condizionarne le scelte. Se intervenissi per cercare di influenzare procedimenti in corso violerei la legge, commetterei un atto illecito. Esistono percorsi amministrativi e giurisdizionali che consentono a tutti gli interessati, privati o istituzionali, di tutelarsi». Ed in più: «Come previsto da uno dei decreti della riforma che porta il nome della ministra Madia, a conclusione dell’iter in conferenza dei servizi la decisione finale, per la parte di competenza statale, potrà essere portata alla decisione del consiglio dei ministri” (http://www.corrieredellosport.it/news/calcio/serie-a/roma/2017/02/21-21895165/stadio_roma_franceschini_sulla_questione_decide_il_governo/index.html?cookieAccept).
Le parole del ministro sembrano quasi una exusatio non petita e quindi una accusatio manifesta. Al ministro nessuno ha chiesto di violare la legge avvalorando la procedura del vincolo; il medesimo però avrebbe dovuto esprimere la sua solidarietà nei confronti di una istituzione periferica del ministero da lui stesso diretto, la Soprintendenza di Roma. Quest’ultima infatti nei giorni scorsi è stata oggetto di attacchi verbali, i più biasimevoli, che in quanto tali mettono tutti gli autori dei medesimi sullo stesso piano intellettuale (se proprio vogliamo definirlo in questo modo). In sostanza si è criticato, fino ai limiti dell’offesa, una istituzione dello Stato che avrebbe fatto solo il suo dovere e nei termini di legge. In ogni caso possiamo dire con certezza che al ministro D. Franceschini è stato comunicato da parte di un privato cittadino fin dal 12 Gennaio scorso l’esistenza di una situazione di rischio per la tutela delle strutture architettoniche dell’ippodromo di Tor di Valle. Supponiamo e speriamo che tale segnalazione dal ministro stesso sia stata immediatamente e direttamente inviata alla Soprintendenza di Roma ovvero l’ufficio ministeriale competente. Ipotizziamo naturalmente che non ci sia stato il classico incidente di percorso, il mero errore materiale, ovvero che la segnalazione si sia smarrita o peggio ancora che sia stata indirizzata all’ufficio sbagliato. Sarebbe facile fare una verifica. Certo è che se fosse arrivata una segnalazione “di bene culturale a rischio” da parte del gabinetto del ministro alla Soprintendenza di Roma quest’ultima non avrebbe potuto lasciarla cadere nel nulla tanto più che un procedimento di verifica dalla medesima soprintendenza era già stato avviato. Poi, il 23 Gennaio scorso, come detto, è stato emesso il parere dal comitato tecnico-scientifico del MiBACT. Il resto della storia già lo conosciamo.
Su tale vicenda si sono espressi un po’ tutti, lo si è detto, e fra i tanti, per ovvie ragioni politiche, non è mancato il parere di Michela Di Biase (tralasciamo di dire il partito politico di appartenenza perché qui ci occupiamo di tutela di beni culturali e non interessano le lotte politiche) la quale, il 21 Febbraio scorso (https://www.facebook.com/michela.biase.7), afferma tra le altre cose: “Nei giorni scorsi siamo giunti a conoscenza di un vincolo apposto dalla Soprintendenza sull’ippodromo Tor di Valle: potrei esprimermi sulla tempestività di un vincolo che viene apposto dopo due anni e mai prima di allora era stata avanzata alcuna questione al proposito. E potrei aggiungere, da amante e fruitrice del nostro straordinario patrimonio, che sarebbero altri i beni da sottoporre a tutela. Potrei, ma non spetta a me il giudizio sull’operato di un organo terzo. Posso solo augurarmi che attraverso le vie amministrative o giurisdizionali previste dalla legge, quel parere possa essere rivisto e superato”. Tale rispettabilissimo pensiero è autorevole perché quello non solo della capogruppo di un partito oggi in consiglio comunale a Roma, che la costruzione dello stadio ha appoggiato e vuole, ma anche quello di una “laureata in Lettere e Filosofia corso di laurea in Storia e conservazione del patrimonio artistico” (tratto da: http://www.micheladibiase.it/aboutus.html; il curriculum si può scaricare anche nel sito del Comune di Roma: https://www.comune.roma.it/pcr/it/newsview.page?contentId=NEW527706). Di fatto, con un tono forse critico ma sicuramente politichese, M. Di Biase chiude il suo intervento con l’augurio che “quel parere possa essere rivisto e superato” riferendosi naturalmente all’avvio della procedura per il vincolo promosso dalla Soprintendenza di Roma relativamente all’ippodromo di Tor di Valle.
Sarebbe troppo scontato a questo punto muoversi ricordando che l’iter della suddetta procedura per il riconoscimento del valore storico di un bene culturale (architettonico, ricordiamolo) è stato avviato con competenza e professionalità da un soprintendente formatosi inoltre presso la Facoltà di Architettura di Roma – Sapienza che è tra le migliori a livello non solo nazionale proprio in materia di tutela del patrimonio storico-architettonico. Tralasciamo questo approccio perché ci appare più logico confrontare il parere della capogruppo M. Di Biase con quello scaturito dalla valutazione del comitato tecnico-scientifico ministeriale. La prima differenza è che il quello di M. Di Biase si conclude con l’hastag “#famostostadio”, quello del comitato invece si conclude con le firme: del presidente del comitato tecnico-scientifico per il Paesaggio, il prof. arch. Giovanni Carbonara; del presidente del comitato tecnico-scientifico per l’Archeologia, la prof.ssa Mariarosaria Barbera; del presidente del comitato tecnico-scientifico per le Belle Arti, la prof.ssa Michela di Macco; del presidente per l’Arte e l’Architettura contemporanee, la prof.ssa Maria Grazia Messina. La seconda differenza è nell’esito della valutazione, favorevole alla tutela dell’ippodromo quella del comitato, contraria quella della capogruppo. Le ragioni di questa differenza di opinioni forse andrebbero ricercate confrontando il curriculum di M. Di Biase con quello dei membri dei comitati tecnico-scientifici. Lasciamo al lettore decidere verso chi si sposta il baricentro dell’autorevolezza scientifica. Facile in ogni caso è scoprire sul web le pubblicazioni e l’attività scientifica dei presidenti dei comitati tecnici; il curriculum della capogruppo M. Di Biase lo alleghiamo in calce.
Le parole di M. Di Biase, fondamentalmente equivoche a nostro giudizio, trovano riscontro e sono in linea con quelle asettiche del ministro D. Franceschini in cui, tra le altre cose, fanno eco quelle del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Marianna Madia, la quale afferma: “Con la riforma della conferenza dei servizi, le regole sono chiare e i tempi certi: lo Stato ha una voce unica per rappresentare la propria posizione. E se alla fine la soprintendenza rimanesse in disaccordo con la decisione presa in conferenza dei servizi, allora sarà il vertice politico, ossia il ministro della Cultura, a poter chiedere, se lo ritiene opportuno, ulteriori approfondimenti, sino a un eventuale Consiglio dei ministri, cui spetterà di esprimere la parola finale sull’argomento” (http://roma.repubblica.it/cronaca/2017/02/20/news/stadio_roma_l_attacco_di_madia_raggi_impreparata_vincolo_superabile_-158745712/?ref=fbpr). In sostanza la scelta finale, ovvero la tutela dell’ippodromo e delle sue tribune o l’abbattimento delle medesime, spetterebbe al Consiglio dei Ministri che potrebbe anche fregarsene (si passi l’espressione netta) dell’alto parere tecnico espresso dai vari comitati.
Date le premesse sembra che la fine di questa storia sia sostanzialmente già scritta. Non prendiamoci in giro, anche perché siamo già in una appena iniziata, tormentata campagna elettorale per le prossime, vicine elezioni politiche. Ci sono circa un miliardo e settecento milioni di ragioni per cui lo stadio dovrebbe essere costruito a Tor di Valle. Ad analizzare bene il tutto, però, viene da chiedere quindi, e a piena voce, che l’ippodromo venga abbattuto e lo stadio nuovo costruito (d’altro canto poi perché spostare il nuovo Colosseo in altro sito meno problematico da un punto di vista della tutela del patrimonio architettonico della Nazione?). E tutto ciò solo per una antica, italica ragione: la famiglia. Noi vogliamo lo stadio perché non vogliamo distruggere infatti l’idillio di una famiglia, non vogliamo che il ministro Franceschini e la moglie M. Di Biase cadano in contrasti domestici a causa, diciamolo, di un banalissimo e forse anche brutto stadio. Il ministro, per una volta, almeno questa, dovrebbe dimenticare che il compito principale del MiBACT, il ministero che dirige, è proprio quello della tutela. Si scherza naturalmente.
In un futuro non del tutto improbabile potrebbe però addirittura accadere che la Soprintendenza di Roma venga smantellata o trasformata con una riforma non sappiamo se definire, sillabante o balbettante; potrebbe accadere pure che la soprintendente di Roma che ha promosso l’iter di vincolo venga trasferita magari nella Soprintendenza di Piovarolo (così come accadde al grande Totò, capostazione in un noto film dal titolo “Destinazione Piovarolo”, condannato a rimanere in questa piovosa cittadina per volontà anche di un ministro); potrebbe accadere che il prossimo soprintendente di Roma diventi Francesco Prosperetti (oggi a capo della Soprintendenza Speciale per il Colosseo e l’area archeologica centrale di Roma) anche se non sappiamo se avrà lo stesso piglio ed attenzione della soprintendente M. Eichberg per la tutela dell’ippodromo; di certo Prosperetti non dovrebbe avere molto tempo a sua disposizione visto che a breve dovrebbe andare in pensione (almeno così si vocifera). Con tutto ciò avremmo quindi una soprintendenza romana più vulnerabile e proprio, paradossalmente, nel momento in cui dovrebbe essere invece più forte e forse più libera.
Abbiamo cominciato ricordando Bernini e Caravaggio, avremmo voluto raccontarvi della loro libertà, lo abbiamo detto, ed invece i fatti, i maledetti fatti, ci hanno obbligato a parlare di un’altra libertà, quella delle Soprintendenze, più predicata che praticata in questi giorni. Quello del fare Storia è un brutto mestiere perché ti obbliga a ricordare, a mettere insieme i fatti, i nomi, i personaggi. La libertà delle Soprintendenze e di tutti coloro che ci lavorano (dal commesso, al custode, al funzionario, al dirigente, etc) deve aver un senso, una profondità e perciò non può essere fermata sulla soglia di una delle stanze di palazzo Chigi; quella libertà si proietta oltre ogni stanza, palazzo e soprattutto ogni colore politico attraverso l’articolo 9 della nostra Costituzione: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. E se il nostro difendere la libertà delle Soprintendenze comportasse criticare l’operato anche del ministro preposto a quella tutela del patrimonio della Nazione noi non ci tireremo indietro e ne scriveremo e ne racconteremo fino a consumare anche l’ultimo strato di pelle delle dita. E così sarà anche ci togliessero le biblioteche, gli archivi di stato, le soprintendenze e se saremo costretti a scrivere sotto il cielo seduti sui gradini di piazze, palazzi e chiese anche addirittura su pezzi di carta occasionali.
Fabio A. Grasso