Sul futuro dell’insediamento industriale di Cerano ancora assenza di soluzioni concrete
Grande è la confusione sotto al cielo nella centrale Enel a Carbone di Cerano “Federico II”, posta a sud di Brindisi. E’ stata, quella che va concludendosi, una settimana convulsa, contrassegnata soprattutto dalla riunione del Comitato di coordinamento per la riconversione delle aree di industriali della centrale di Cerano, tenutosi martedì a Roma, organizzato da Enel, cui hanno preso parte il sindaco di Brindisi, Giuseppe Marchionna, un rappresentante della Provincia, Pasquale Luperti, e le rappresentane sindacali.
Sul tavolo delle proposte concrete, come hanno lamentato all’unisono tutti i soggetti interessati, nulla di nuovo, se non la promessa, ribadita anche in quella sede, da parte di Enel, di non voler abbandonare l’area a se stessa. Ma si tratta di una promessa che resta nell’ambito della vacuità e della vaghezza, visto che la controllata del Governo ammette per prima che le altre possibilità di insediamento industriale delle quali si parla per sopperire, dal punto di vista del mantenimento dell’offerta occupazionale, alla fuoriuscita totale dal carbone, fissata per il 31 dicembre del prossimo anno, richiedono la collaborazione e gli investimenti di imprese esterne, su rotte industriali che non rientrano nel “core business” di Enel.
C’è anche chi, come il PD cittadino, a nome del capogruppo in consiglio regionale Francesco Cannalire, rispetto all’inerzia invincibile mostrata da Enel sulla questione, propone all’assise comunale di revocare lo scudo protettivo di cui l’azienda gode dal 2010, quando la giunta presieduta da Domenico Mennitti approvò una delibera con la quale rinunciava “ad ogni azione pretesa o reclamo” legati all’attività della centrale “Federico II” di Cerano, gestita dalla controllata dallo Stato.
Come è emerso dai lavori del Comitato, nei primi mesi del 2024 la Centrale è rimasta già di fatto inattiva, considerato che nel porto non è arrivata alcuna nave carboniera per scaricare il combustibile necessario al funzionamento dei tre gruppi ancora in grado di produrre energia elettrica. Una stasi produttiva, con tutte le incognite del caso sul futuro del comparto produttivo dell’insediamento, che si somma alle altre vertenze industriali che riguardano la città, quelle della chimica di base, con la dismissione del P9T da parte di Basell, e della chimica farmaceutica, se dovesse davvero verificarsi l’annunciata chiusura dello stabilimento EuroApi.
Una bomba occupazionale vera e propria, stimata complessivamente attorno alle 1800 unità lavorative, un salasso insostenibile per una città già al limite dal punto di vista della situazione occupazionale. L’unico aspetto positivo filtrato pare quello, ventilato dai rappresentanti del governo nell’assemblea svoltasi a Roma, è quello di poter elevare Brindisi al rango di “area complessa di crisi”, in modo che possano scattare in automatico le misure di protezione sociale, con le varie forme di sostegno al reddito.
Sono tante le proposte messe sul piatto nel corso degli anni per far fronte al “phase out”, il momento di uscita dalla produzione di energia per mezzo del carbone: centrale turbogas, dissalatore, idrogeno, logistica, filiera delle rinnovabili: un mix di possibilità dal quale far uscire la quadratura magica del cerchio in grado di consentire il mantenimento degli ambiti occupazionali garantiti per decenni dal colosso a carbone.
Il quale, nel frattempo, dopo un breve “ritorno di fiamma” ai tempi dell’inizio del conflitto russo-ucraino, è tornato allo stato di letargia. Senza rimpianto alcuno, per carità, da parte della popolazione locale, che ha tutte le ragioni del mondo per covare risentimento nei confronti di un insediamento altamente nocivo per la salute collettiva, che moltissimi danni ha arrecato alla stessa. Il punto è cosa fare adesso, come rimpiazzare la centrale in modo da salvare capra (l’occupazione) e cavoli (l’ambiente)
Posto che quella del centrale a gas resterebbe forse la soluzione più praticabile, si registra sulla questione l’intervento di Federico Pirro, docente dell’Industria dell’Università di Bari, parere che più qualificato non sarebbe possibile leggere in materia: Comune, Provincia, Regione, Camera di Commercio e vari enti interessati definiscano una piattaforma precisa, che indichi quali obiettivi conseguire e con quali strumenti, un tavolo permanente affiancato da una struttura tecnica, che raccolga le proposte avanzate da più parti, le valuti, le selezioni e le inserisca in una piattaforma da approvare poi in consiglio comunale e da portare al governo.