NOI CHE QUANDO MARCO PANTANI VINCEVA IL GIRO E IL TOUR…
NEL VENTENNALE DALLA SCOMPARSA, UN RICORDO PERSONALE
Erano circa le 22.30 del 14 febbraio 2004. Seguivo con mio padre L’infedele, trasmissione per pochi intimi condotta da Gad Lerner, che andava in onda il sabato sera su La7. Alla ripresa del programma, dopo uno stacco pubblicitario, il conduttore legge immediatamente un’Ansa dal contenuto raggelante: “il ciclista Marco Pantani è stato trovato morto in un hotel di Rimini…”
Lo sbigottimento fu in me amplificato dal ricordo di un pensiero che mi aveva attraversato la mente nell’allenamento sostenuto in mattinata, io studente universitario con una grandissima passione per la bicicletta. Evidentemente suggestionato dal contenuto di un articolo del mensile Bicisport, a firma del direttore Sergio Neri, nel quale si dava conto delle gravi condizioni di depressione nelle quali Pantani si trovava, la mia mente si trovò ad essere attraversata da pensieri tetri su quello che sarebbe potuto essere la prospettiva del Pirata, ancora nel 2003 protagonista di un Giro arrembante ed orgoglioso, per quanto condizionato dai problemi di dipendenza che ne avevano tarpato le ali negli ultimi anni, e che sarebbero divenuti di pubblico dominio al termine della corsa. Così, il contenuto dell’Ansa letta da Lerner ebbe il potere di farmi credere davvero, per un attimo, che solo di un incubo si trattasse…
La parabola umana di questo straordinario scalatore dallo stile unico, s’incrociò nel suo compiersi in due hotel, che ne segnarono uno la morte dell’anima e l’altro quella del corpo.
Il primo, l’hotel “Touring” di Madonna di Campiglio, fu quello nel quale Pantani ricevette gli esiti dell’esame dell’ematocrito sostenuti la mattina della penultima tappa del Giro d’Italia 1999, quando si avviava a chiudere trionfalmente la corsa. Pantani all’epoca era, senza dubbio, lo sportivo più popolare d’Italia. Dopo una prima parte di carriera condizionata dagli incidenti, nella quale aveva lasciato già segni tangibili delle sue qualità, nel 1998 aveva conquistato la doppietta Giro-Tour, una cosa nella quale non è riuscito più nessun ciclista. L’estromissione dalla corsa rosa, per un livello di ematocrito superiore al consentito sul quale si sono scritte e lette infinite ricostruzioni, e su cui pare pesino anche gli interessi della malavita nella questione delle scommesse clandestine, come dimostrano le testimonianze del bandito Vallanzasca e le intercettazioni a carico di esponenti della malavita campana, fu un colpo mortale ed indebito alla sua dignità di campione, che non poteva accettare che le proprie qualità e la propria credibilità venissero messe in discussione da una realtà, quella della lotta al doping, che non metteva sullo stesso piano gli sportivi delle varie discipline e che sembrò voler colpirne uno per non educarne nessuno.
Nell’hotel Le Rose di Rimini, invece, si compì la tragica vicenda umana di un uomo che, negli ultimi anni aveva trovato solo nella cocaina e in amicizie interessate a lucrare sulla sua ricchezza, una forma di distrazione dall’angoscia delle 7 (!) Procure che indagarono sul suo conto. Anche su quanto accaduto nelle ultime giornate e nelle ultime ore di vita di Pantani, esistono teorie contrastanti ed elementi dissonanti, ma le indagini dell’epoca non furono condotte in maniera impeccabile e, a dispetto dell’instancabile impegno dei legali ingaggiati da sua madre, e dell’apertura di varie inchieste, non è stato possibile giungere all’individuazione di alcun responsabile che non fossero gli ultimi suoi fornitori di cocaina.
Mentre scrivo queste righe, penso agli anni passati da quel tragico San Valentino del 2004, rivedo, immancabilmente con un po’ di malinconia, il me stesso di quegli anni e penso, inevitabilmente, a cosa sarebbe stato di Pantani se avesse fatto una carriera normale, non condizionata negativamente dagli incidenti prima e dalla vicenda velenosissima del 1999. Il record di vittorie al Giro d’Italia, detenuto con 5 successi da Binda, Coppi e Merckx, sarebbe certamente stato suo, e poi avrebbe certamente rivinto il Tour de France e poi la Vuelta di Spagna e poi, e poi…
Pantani era un rituale mistico che incantava, per il rapporto che aveva con la montagna, per il lancio della bandana, poi degli occhiali e infine anche dell’orecchino che annunciava inevitabile le sue progressioni assassine in montagna, per la capacità di bucare per questo lo schermo del televisore, per le dichiarazioni mai banali, per il coraggio di assumersi la responsabilità delle sue azioni e delle sue convinzioni, fino a morirne purtroppo, ritenendo fino all’ultimo dei suoi giorni di essere stato capro espiatorio di un sistema malato e deviato da interessi che non coincidevano con la salute degli atleti. Senza con questo dire che chi ne accettasse le regole non avesse una parte di responsabilità ma, Pantani era anche meno ipocrita di altri suoi colleghi, più sensibile anche verso la realtà dello sport professionistico più in generale, con i suoi doppiopesismi.
Mentre concludo queste righe dolenti, chiudo gli occhi e nella mente mi soggiunge ancora l’eco di quel climax ascendente col quale il più grande cantore televisivo del ciclismo, Adriano De Zan, ne accompagnò le ultime pedalate nel vittirioso arrivo di Plan di Montecampione, quando staccò il russo P.Tonkov al termine di un estenuante duello, assicurandosi la vittoria del Giro d’Italia: “Marco Pantani, Marco Pantani, vince, trionfa, alza le braccia al cielo…una tappa indimenticabile!”