Normalizzare l’uso delle droghe? Una risposta al consigliere comunale di Francavilla Eugenio De Simone.

Il consigliere comunale del PD di Francavilla Fontana Eugenio De Simone ci invia una nota di commento sulla discussione che si è tenuto nell’ultima assise comunale cui ha preso parte in merito al consumo di droghe. Non essendo stati presenti, non avendo ascoltato i contenuti della discussione, ci sfuggono alcuni riferimenti contenuti nella nota di De Simone. Egli sostanzialmente contesta l’approccio tenuto dal governo in carica in materia di consumo di sostanze stupefacenti, teso alla repressione del fenomeno dello spaccio e anche del consumo, teso a non distinguere fra tipologie di droghe, teso al divieto dei rave party, teso a non distinguere fra i vari contesti al cui interno, fra i giovani specialmente, avviene il consumo di droghe, insensibile rispetto alle problematiche o al disagio che porta le persone ad usare sostanze stupefacenti e, in definitiva, portato solamente a criminalizzare il fenomeno.
De Simone scrive in particolare che: “La promozione dei diritti al benessere ed alla salute di ogni cittadino, tenuto conto di quanto l’uso di sostanze, oggi, sia diffuso e, in un certo senso, normalizzato,non si può declinare esclusivamente in termini di disagio, marginalità e dipendenza.”
E’ vero, rispondiamo noi, esiste anche l’uso di droghe per finalità “ricreative”. Ma, innanzitutto, tanto la marijuana, droga definita tradizionalmente leggera, quanto la cocaina, che droga leggere non è, possono essere utilizzate con “finalità ricreativa”, dipende dai punti di vista, dipende dalla capacità del consumatore di sostenere, fisicamente, l’impatto con queste sostanze. A noi risulta che in realtà, anche le cosiddette droghe leggere, quelle che si fumano, in parole prove, abbiano attualmente un tasso di additivi che non le rendono facilmente assimilabili dall’organismo. Che il fenomeno del consumo di droghe possa essere, in certi contesti, definirsi “normalizzato” non ne diminuisce di per sé l’impatto negativo, né sulla salute psicofisica né, argomento più importante, sulla sicurezza pubblica, nel momento in cui una persona che abbia assunto stupefacenti si mette alla guida di un mezzo automobilistico, ad esempio.
Poi scrive: “Il primo errore da non commettere è confondere consumo e dipendenza, riducendo necessariamente a una dimensione patologica un comportamento liberamente e consapevolmente adottato da persone socialmente integrate.” Cosa conta, ai fini della problematica connessa all’uso di sostanze, che si tratti di persone integrate o meno socialmente? Anche il confine fra consumo e dipendenza è labile, ma non capiamo neppure, eventualmente, come fare a stabilire un limite che accetti il primo e consideri non tollerabile la seconda.
Afferma poi: “Garantire i diritti sociali delle persone che usano sostanze, evitando ogni discriminazione basata sull’uso, garantire la convivenza sociale, l’accessibilità e la vivibilità degli spazi urbani, i diritti di tutti alla qualità della vita, al benessere psicosociale significano creare una città inclusiva, accogliente, in cui nessuno è marginale o escluso, in cui i giovani, come i meno giovani, possano vivere spazi di socialità. In cui i bisogni delle persone, anche di quelle che usano sostanze, trovino risposte corrette e adeguate.” Non sappiamo quale forma di discriminazione i servizi comunali mettano in campo verso le persone che utilizzino droghe. Esistono semmai vari servizi, a partire dai Sert o quelli di assistenza psicologica, che provano ad aiutarle, se ne avvertono la necessità, a fare a meno di qualcosa che non giova alla loro salute. Non si tratta di criminalizzare, per quanto ci riguarda. Siamo padroni della nostra vita, anche nel consumare sostanze stupefacenti, più o meno pesanti, più o meno dannose per l’organismo, fino a quando siamo in grado di garantire di non costituire un pericolo per gli altri e, auspicabilmente, anche per noi stessi. Siccome tale garanzia non può offrila nessun utilizzatore, più o meno assiduo, di droghe, lo Stato non può che perseguire lo spaccio come un reato e considerare anche l’uso come un problema.
Giusto pochi giorni fa cadeva il ventennale dalla scomparsa di un grande campione, Marco Pantani. Per vicissitudini personali, legate alla sua attività sportiva, Marco era diventato dipendente dalla cocaina. Ai suoi confidenti Marco diceva: “Io odiavo le droghe, e guarda come sono diventato…” biasimando se stesso per aver cercato in essa una fuga rispetto alle proprie sofferenze personali. Eppure chi poteva definire Pantani una persona “non integrata socialmente”? Pantani era, a cavallo fra gli anni ’90 e l’inizio del terzo millennio, lo sportivo più popolare d’Italia. Ancora nel 2003, pur accusando gli effetti sul suo corpo della dipendenza, era capace di correre un dignitoso Giro d’Italia. Un certo grado di normalità è possibile mantenerlo anche assumendo droghe pesanti. Il punto è: quale tipo di utilità insostituibile e a vantaggio netto sugli svantaggi, conferisce il consumo di droghe agli individui?
Rispondiamo a questa domanda onestamente. E poi allestiamo tutta le reti di integrazione sociale che vogliamo, e che giustamente De Simone auspica siano fatte vivere anche nei piani di zona del proprio distretto sociale. Ma questo non diventi il modo per “normalizzare” il consumo di droghe. Non c’è nesso alcuno fra le due realtà. Il dibattito comunque è aperto.