Oggi per Taranto non è un giorno qualunque
Il 26 luglio non è un giorno qualunque. Per Taranto il 26 luglio, quello del 2012, 11 anni fa, è una linea del tempo che divide il prima dal dopo.
Quel 26 luglio 2012 è il giorno in cui la magistratura per mano dell’Arma dei Carabinieri entra in ILVA, oggi Acciaieria d’Italia, decretandone la sua fine.
Fine di un sistema, quello appunto definito sistema Riva, e quello di una politica al guinzaglio della famiglia dell’acciaio che con i suoi tentacoli era capace di influenzare ogni organo e organismo tecnico-amministrativo. Capace di far parlare i politici e i sindacati come un ventriloquo fa con il proprio pupazzo.
Il 26 luglio 2012 apre le porte del processo per disastro ambientale mai celebrato in Italia “Ambiente Svenduto” che con la sentenza di primo grado del 21 maggio 2021 dichiarava che “la capacità di influenzare le istituzioni da parte dell’Ilva, facendo leva sul potere economico e contrattuale della grande impresa, ha reso per lungo tempo molto difficile l’accertamento dei crimini”. Un disastro ambientale punito con una condanna a tre secoli di carcere, spalmati tra i 26 imputati condannati. Su tutte spiccano quella di Fabio Riva a ventidue anni, a venti del fratello Nicola e a ventuno di Luigi Capogrosso, l’ex direttore della grande fabbrica. E in aggiunta quella a ventuno anni e mezzo di Girolamo Archinà, l’ex responsabile dei rapporti istituzionali, eminenza grigia del gruppo Riva, e a tre anni e mezzo dell’ex Governatore pugliese Nichi Vendola, sott’accusa per una ipotesi di concussione aggravata.
Nel processo però non ci sono quelle figure che hanno permesso in tutti quegli anni di raccontare una verità di parte, inesistente o addirittura concordata. Quei racconti scritti da fantomatici personaggi, come la firma di un inesistente Angelo Battista, che puntualmente comparivano su alcuni giornali tarantini raccontando di quanto ILVA fosse attenta all’ambiente e alla salute dei cittadini.
Senza parlare di tutti quei contributi elargiti sotto forma di pubblicità che hanno permesso per anni a testate giornalistiche di sopravvivere al costo della propria indipendenza e tradendo la missione dell’informazione. Le stesse firme di quegli anni che oggi si sono votati all’ambientalismo.
Ma il silenzio di oggi, da parte di chi avrebbe dovuto ricordare che la partita per la salute e l’ambiente dei tarantini è ancora tutt’altro che chiusa, arriva soprattutto dal mondo ambientalista.
Quel mondo che dal 2005, con le due marce pro ambiente del 2008 e 2009 per le vie della città, fino al 26 luglio 2012 si era battuto per la chiusura di una fabbrica che stava sterminando cittadini e territorio. Quel mondo che a un certo punto è sparito dai radar della lotta agli inquinatori e che per alcuni è stato trampolino di lancio per un posto in politica. Tradendo alla fine mission ed elettorato.
Oggi non ce la facciamo a stare in silenzio perché questa testata per oltre un decennio ha denunciato quanto avete appena letto. Ancora prima che lo facesse la magistratura. Una battaglia che non è contro qualcuno, quella iniziata su queste colonne quando abbiamo denunciato il sistema Riva, ma è solo a favore della verità che spesso è stata mistificata, venduta, violentata.