Al Teatro Fusco di Taranto, in scena “Il confine del Sacro” di Stefano Massini
Al Teatro Fusco di Taranto, in scena “Il confine del Sacro” di Stefano Massini: il fresco premio Tony alla miglior drammaturgia (primo italiano nella storia a ricevere tale premio), in una cornice a tratti onirica – un teatro fusco pieno per non più di metà ed illuminato da luci gialle, soffuse, si lancia in un monologo, più somigliante ad un vero e proprio dialogo con il pubblico, come fosse una lezione di liceo.
L’argomento è il confine fra Sacro e Profano. Scontato a molti sembrerebbe l’inevitabile caduta in argomentazioni cariche di retorica religiosa e nella fattispecie cattolica. Ma l’accezione che lo scrittore conferisce al termine “profano” è quella che la sua stessa etimologia gli attribuisce: davanti il tempio. Il profano è immediatezza, semplicità, inevitabile accessibilità – per vederlo il Profano non c’è bisogno di farvi ingresso nel tempio, lo si può scorgere anche da lontano. Il Sacro, al contrario, è accessibile unicamente a coloro che compiono un percorso, che decidono di addentrarsi nel profano ed addirittura superarlo, aprendo la porta de “L’anima delle cose”. Il Sacro è ermetico, complesso, di natura prettamente elitaria, accessibile a pochi.
Con un linguaggio semplice ed una concettualità tutt’altro che elementare, Massini si muove fra riferimenti colti d’ogni tipo – dalla tragedia sofocliana alla fiaba wildiana, da Andersen a Pasolini, fino a giungere ai due leitmotiv dello spettacolo: Dante e Dostoevskij – criticando ma soprattutto, adempimendo al proprio ruolo di intellettuale, analizzando il nuovo mondo Social: un mondo che spesso sbatte il sacro in prima pagina, che dietro il proprio “profano”, la propria apparenza non cela più alcun mistero. Un mondo che sembra non aver più voglia di scoprirsi