Martina/ A questo punto solo le primarie possono unire il centrodestra
Non sono mai stato un fautore delle primarie. Ho sempre pensato che potrebbero dividere piuttosto che unire. L’ho pensato fino a ieri, mentre oggi ho cambiato letteralmente idea, visto che peggio di così nel centrodestra non può andare. Da dieci anni, pur essendo la città di centrodestra, la sinistra ha vinto grazie alle lotte intestine o alle imposizioni di colonelli che in realtà non sono mai stati graduati. Per la verità, andando indietro nel tempo di oltre quarant’anni, ovvero da quando ho raccontato diverse elezioni, risultati elettorali, in radio, in tv e sui giornali, mai la sinistra a Martina Franca ha contato qualcosa. Ai tempi della Democrazia Cristiana, la capitale della Valle d’Itria era la città italiana con la più alta percentuale di voti allo scudo crociato. Erano gli anni di Don Pinuccio Caroli, Giulio Orlando, Franco Punzi, Antonuccio Silvestri, ma anche di una opposizione vera come Consoli, Carucci, de Giorgio, Barchetto e tanti altri.
Il centrodestra aveva come unico avversario il centrodestra stesso. In quelle poche occasioni, in cui vinceva il centrosinistra, era sempre per la stessa storia: il centro si spostava per opportunità leggermente a sinistra. Martina non ha avuto mai un sindaco di sinistra fino a Franco Ancona. Alcune amministrazioni precedenti come quelle di Michele Conserva, Zizzi, Margiotta, Bruno Semeraro, citate non per ordine di tempo ma per durata, non potevano considerarsi tali e quelle un po’ più decisamente a sinistra duravano da Natale a Santo Stefano. Con l’avvento di Berlusconi ci fu una migrazione più a destra, con candidati calati dall’alto. Un plebiscito fu quello verso Leonardo Conserva che nonostante una maggioranza bulgara non riuscì a governare la città, anzi. Fu forse tra le peggiori amministrazioni, tanto che da quel momento iniziò la debacle negli anni successivi che favorivano il centrosinistra. Bruno Semeraro vinse proprio per un sostegno determinante di alcuni noti esponenti locali notoriamente di destra (alcuni dei quali sono in auge ancora oggi), pur essendo quella amministrazione di centrosinistra.
Negli ultimi dieci anni, in realtà la sinistra sulla carta non è mai esistita. Donato Pentassuglia, tipico democristiano d’un tempo e Stefano Coletta, non possono certamente essere definiti di sinistra, come Lorenzo Micoli, Vittorio Donnici, Annunziata Schiavone, Nunzia Convertini, Antonio Scialpi, Antonio Lafornara.
Poi ci sono le banderuole che con disinvoltura ed opportunità passano da destra a sinistra e quelle che si mantengono al centro con un piede a destra ed uno a sinistra o si inventano listarelle farlocche.
Ma torniamo ai tempi nostri ed all’inizio di questa nostalgica dissertazione. Cinque anni fa il centrodestra prese il 70% dei voti. Si divise su due candidati, sempre grazie ai presunti colonnelli senza gradi che puntarono sul candidato sbagliato tra i due in campo.
Nonostante tutto, fu solo una cattiva sceneggiata di un “tale”, durante un comizio finale al ballottaggio e alla enunciata lista di quelli che sarebbero stati gli assessori, qualora avesse vinto Eligio Pizzigallo, a far sì che molti candidati delusi, decidessero di non impegnarsi per il voto finale. Fu fatale. Quest’anno ci sono tutti i presupposti affinché, nonostante gli ultimi anni siano stati ampiamente nefasti per la città, le cui “rovine” sono sotto lo sguardo di tutti, grazie a ripicche di “donnine tradite”, la storia si ripeta. Il centrosinistra, pur questa volta con diverse divisioni interne ha comunque un leader, tale Donato Pentassuglia, che manca al centrodestra. Per la verità, anche dall’altra parte ci sarebbero, ma sono (o si ritengono), solo galli che non essendoci galline nel pollaio non possono fecondare. Da oltre un mese si tengono tante riunioni che il Senato romano di Cesare Augusto al loro confronto sembrerebbe una assemblea condominiale. Riunioni fatte di “strategie” con il risultato: “niente a me, niente a te”. Il centrodestra andrà anche questa volta “ampiamente diviso” e perderà, a meno che…
A meno che, tutti quanti non raggiungano una decisione logica e condivisa: le primarie. Si potrebbero tenere il 10 aprile, visto che si voterà presumibilmente il 12 e 13 Giugno. Nella foto abbiamo messo tutti i possibili partecipanti ai quali potrebbe aggiungersi chiunque creda di poter avere un seguito di sostenitori. Un patto d’onore con la condizione che chi partecipa alle primarie sia in grado di presentare una lista che, anche in caso di sconfitta, capeggerà, pena: la pubblica gogna. Un confronto con un unico comun denominatore: un programma condiviso. La maggioranza dei martinesi merita di essere rappresentata, non la minoranza come è accaduto negli ultimi dieci anni a causa dei soliti noti. Utopia? Forse, ma vogliamo definirlo buonsenso. Che vinca il migliore (May the best man win) da una parte o dall’altra.