“Ecco come sono morti i nostri genitori negli ospedali di Taranto”
Il 18 Marzo è stata approvata in Parlamento la legge che riconosce la giornata dedicata alle
vittime del Covid-19. La Puglia, come tutto il territorio nazionale, è stata martoriata dai
decessi e continua ad esserlo. Anche noi abbiamo voluto onorare le persone cadute in
questa “battaglia”. Lo abbiamo fatto ascoltando alcuni dei loro famigliari. Fanno parte di un
comitato che raccoglie 18 famiglie che hanno denunciato le morti dei loro congiunti,
durante la permanenza nella tendopoli gestita dal 118 tra ottobre e novembre del 2020, in
un’area dell’ospedale Moscati di Taranto. I parenti delle vittime ci hanno raccontato le loro sensazioni, il dolore, versando anche qualche lacrima durante i loro racconti, come accaduto ad Angela, figlia dell’ispettore Cortese, deceduto il 3 novembre dello scorso anno: “Il mio papà lo conoscevano tutti. Era una persona di una bontà d’animo incredibile, rispettosa verso gli altri e umile. So che la vita è così, ma andarsene in questo modo è davvero pesante. La cosa che mi spiace più di tutti è che molte persone sono morte in assoluta solitudine. Il mio papà non se lo meritava. Lui era amico di tutti, aveva sempre una buona
parola per chiunque e la soluzione per qualsiasi problema. E’ deceduto il 3 Novembre, dopo 30 ore di ricovero. La domenica sera non riusciva a respirare, prima d’allora non stava male. Lui stesso ci chiese di andare in ospedale. Coloro che vengono colpiti dal Covid, sanno di poter perdere la vita. Si sentono come annegare, rimanendo però lucidi fino all’ultimo momento. Mio padre non ha potuto avere nemmeno un abbraccio o un saluto da nessuno della sua famiglia. E’ morto come un cane abbandonato. Avrei voluto sentire le sue ultime parole e stringergli la mano in quell’ultimo attimo di vita. Non abbiamo potuto fare il funerale. Solo la messa per il trigesimo. Non possiamo che metabolizzare il dolore, cercando di andare avanti. Rimane la rabbia, ma spero si attutisca. In quei reparti (Moscati) possono entrare solo coloro che vengono autorizzati, perciò la verità è quella che è. Spero solo che, al posto mio, qualcuno gli abbia fatto una carezza. Il grido di dolore non tutti lo capiscono”.
La stessa tragedia è capitata ad un’altra famiglia, quella dell’Ispettore Del Sole. A ricordarlo
sono i suoi figli: “Era stato ricoverato nel reparto di ematologia per un problema al sangue. Successivamente risultato positivo molto probabilmente contagiato all’interno dello stesso ospedale. Stessa sorte è capitata ad un’altra persona proprio negli stessi giorni. Papà aveva 71 anni. Soffriva di una diversa patologia, ma era guarito. La situazione è peggiorata nell’arco di pochi giorni, durante i quali non hanno capito da dove potessero derivare questi problemi, come ad esempio la lingua gonfia, la debolezza e le difficoltà a deglutire. Aveva fatto il tampone, pochi giorni prima di entrare nell’ospedale. Sia lui che mamma erano risultati negativi. La sera prima del ricovero, si evidenziarono, dagli esami, dei valori sballati. Venne ricoverato d’urgenza per una trasfusione. E’ entrato nell’ospedale con le sue gambe, accompagnato da nostra mamma. E’ stata l’ultima volta che lo abbiamo visto”.
Sembra che la fatalità abbia colpito altri agenti delle Forze dell’Ordine, come l’ispettore
Ricci. Sono i figli a raccontarci la sua storia: “Nei primi giorni abbiamo assistito nostro padre personalmente. Aveva disagi di salute, come febbre e tosse. La settimana precedente anche lui aveva fatto il vaccino risultando negativo. Quello che ci aveva allarmato di più era stato la saturazione. Papà era cardiopatico e quando la saturazione era scesa a 76, abbiamo chiamato subito l’autoambulanza. Pensavamo di aver messo nostro padre nelle mani di persone che potevano aiutarlo. Il resto lo sapete. Dalla comparsa dei sintomi a quando è stato portato in ospedale, sono decorsi cinque giorni. Il nostro comitato è composto da 18 famiglie che piangono 18 vittime. Non vogliamo accusare nessuno, però vogliamo chiarezza, soprattutto su strutture che potrebbero essere non idonee ad ospitare i pazienti.”
Anche Piera Giaquinto denuncia di voler andare fino in fondo, alla ricerca della verità – “Il
18 Marzo è stata una giornata particolare. Ci siamo svegliati con una legge stata approvata in parlamento che riconosce la giornata nazionale per le vittime Covid. L’impatto è stato molto forte. Mi sono immedesimata, mentre facevo il mio minuto di silenzio per mio padre, con tutte quelle famiglie che ricordano le vittime dell’olocausto. Sembra un po’ di rivivere in tempi moderni quanto accaduto in quegli anni. Le lacrime sono rivolte a mio padre, ma anche a chiunque abbia sofferto in questi mesi. Io le ho ribattezzate: vittime di un sistema che non ha funzionato. Poteva essere salvato. Molte vite potevano essere salvate, come è stato testimoniato da molti operatori del 118 alla Procura. La nostra lotta continua. Ci rivolgeremo alla Corte dei Diritti dell’uomo a Lussemburgo. Sbagliare è umano, ma deve venire fuori la verità e chi ha sbagliato deve assumersi le proprie responsabilità. Quest’anno dopo trent’anni abbiamo festeggiato la Festa del Papà da soli. Lo ricorderò con un sorriso, lui che amava questa ricorrenza”
Una storia simile quella di Roberta Gatto che insieme alla sorella vive a Modena. Le due
ragazze non hanno potuto salutare il loro papà a Taranto che le ha lasciate a soli 56 anni:
“Abito a Modena, i miei genitori sono di Taranto. Non abbiamo assistere nostro padre, se non tramite telefono e le informazioni che mamma ci dava. È stata una delle vittime più giovani. Aveva 56 anni senza patologie pregresse. È uscito da casa con le sue gambe, quasi ridendo. Aveva detto a mia madre che sarebbe tornato dopo due giorni, ma non è stato così. Non è facile parlarne. Ogni notte mettevamo la testa sul cuscino, senza metabolizzare quanto accaduto. Oggi è arrivato il momento di parlare e vi ringraziamo perché ci ascoltate. Nella nostra storia ci sono dei buchi neri e parecchie cose non ci tornano. Vogliamo la verità. Non riusciamo ad accettare che nostro padre, all’improvviso, sia peggiorato. Dopo sette giorni passati nell’auditorium, papà è stato indotto in coma e dopo una ulteriore settimana è deceduto. L’ultima volta che l’ho visto è stato davanti ad una telecamera, mentre seguivo il prelievo del 118. Odiava gli ospedali e si chiedeva se fosse giusto farsi ricoverare. Non ci sarà rassegnazione, fino a quando non scopriremo la verità. Non sappiamo cosa abbia passato. Lui diceva che lì non stava bene. Non mangiava, non poteva andare in bagno ed è stato costretto a farsi addosso. Conosco un genitore che ha vissuto la stessa esperienza di mio padre, ma a Modena. Questo signore ha origini calabresi e si è domandato: ‘Sarei ancora vivo se fossi rimasto nella mia terra?”.
Tanti racconti e diverse emozioni contrastanti che abbiamo condiviso.
La rabbia è il denominatore comune. Queste famiglie che piangono i loro famigliari hanno
bisogno della verità. Solo allora, forse, potranno iniziare ad alleviare il proprio dolore.
Intanto, nella trasmissione Fuori dal Coro di Mario Giordano è approdata l’inchiesta fatta da
PugliaPress