Sta per venire a galla l’assassino di Roberta?
La verità su Roberta Martucci, la giovane pugliese svanita nel nulla in circostanze misteriose potrebbe finalmente venire a galla. Un caso che ha sconvolto il Salento e la Puglia e destinato a finire in archivio senza un perché, ma che, grazie al lavoro di indagine della giovane criminologa investigativa Isabel Martina, è stato riaperto nel 2016, dopo oltre vent’anni anni di silenzi, depistaggi e omertà.
La minore di cinque figlie, lavorava in un centro per anziani. Erano circa le 20:00 del 20 agosto del 1999 quando uscì dalla sua casa a Torre San Giovanni, nella marina di Ugento, per andare da un’amica a Gallipoli. Durante il tragitto rispose al cellulare, pronunciando solo due parole: “Sto arrivando”. Da quel momento di lei si son perse tutte le tracce. A quell’appuntamento Roberta non arrivò mai. La cercarono in lungo ed in largo. Fu diramata una descrizione dettagliata. La ragazza indossava una gonna nera a fiori, delle scarpe tacco alto e un giubbino grigio. Tante le telefonate da parte della mamma e dell’amica che l’aspettava. Il telefono squillò fino a tarda notte, prima di spegnersi, ma nessuna risposta. La sua auto fu ritrovata, pochi giorni dopo, a Gallipoli, ma non si è mai capito chi l’avesse portata lì. Sul sedile posteriore fu rinvenuta la giacca che la ragazza indossava.
Sono passati più di vent’anni e la storia è rimasta avvolta nel mistero. Un uomo, durante la trasmissione “Chi l’ha visto” che si è occupata più volte del caso avrebbe visto la ragazza salire a bordo di una Mercedes guidata da un ragazzo con i capelli lunghi.
Alcuni anni dopo una lettera anonima che proveniva da Bari riaprì il caso. Sulla stessa, digitata da un computer, era testualmente scritto: “Se volete la verità cercatela a Gallipoli tra le amiche. Non posso dire altro”.
Gli inquirenti hanno attribuito la lettera a possibili depistaggi, alla stregua di altri arrivati attraverso con messaggi, telefonate e fax, anche alla Procura in forma anonima e con l’intento di far ricadere i sospetti su due amiche di Roberta.
I familiari hanno sempre asserito che la ragazza, a loro dire, sarebbe stata uccisa da una persona molto vicina alla famiglia. Ma durante il Festival del Giornalismo che si stava tenendo al Bellavista club di Gallipoli, Isabel Martina, allora aspirante criminologa che stava lavorando fianco con la criminologa Roberta Bruzzone, riferendosi alle indagini sulla giovane di Ugento scomparsa nel 1999 fece un annuncio che lasciò impietrito il pubblico presente. Durante quella serata, il potenziale assassino di Roberta Martucci, sarebbe stato presente in sala, mentre si parlava dei bigliettini, ritenuti depistaggi, che venivano all’epoca ritrovati per lasciare intendere che fosse viva. In particolare quando si parlava del bigliettino in cui si leggeva “ciao sono Roberta e voglio dirvi che sono viva”. Quella persona avrebbe confessato ad alcuni parenti, di essere stato proprio lui a scrivere quel biglietto motivandolo come uno scherzo.
Un bigliettino mai smentito in quasi vent’anni, spacciato sempre per reale, quella sera apparve come fosse stato scritto da una mano conosciuta, una persona di famiglia. Quel nome, nonostante le prove raccolte intorno a lui, non è mai stato iscritto nel registro degli indagati. I sospetti accumulati non sono stati tali da determinare la sua iscrizione nel registro degli indagati. E dell’identikit di questa persona si occuperà la settimana prossima anche la trasmissione Chi l’ha visto.
L’anno scorso furono molti i parenti di Roberta a partecipare all’incontro: ieri erano molti di meno. Pare che dopo la rivelazione del fatidico bigliettino la famiglia si sia spaccata: da una parte i difensori del sospettato, dall’altra gli accusatori.
Ma nulla è accaduto per caso, perché come la criminologa Isabel Martina sostiene, quell’incontro poteva essere una sorta di trappola in cui il loro sospettato numero uno doveva cadere.
Da quel momento in poi indagini e altri interrogatori si sono susseguiti che avrebbero portato a cambiare l’atteggiamento del sospettato che, secondo Isabel Martina, oramai diventata criminologa, definì “atteggiamenti poco sereni”. Per le criminologhe Bruzzone e Martina, ma anche per l’avvocato Fabrizio Ferilli, non ci sarebbero più dubbi: Roberta Martucci sarebbe morta a causa di alcuni abusi o perché poteva essere a conoscenza di una verità ritenuta scomoda.
Arriviamo ai giorni nostri, da un comunicato proprio di Isabel Martina, si viene a sapere che la verità su Roberta Martucci potrebbe finalmente venire a galla, dopo oltre vent’anni anni di silenzi, depistaggi e omertà.
A giorni dovrebbe esserci una clamorosa decisione intrapresa dai familiari della giovane: quella di portare il caso in commissione parlamentare. Potrebbe, secondo la criminologa, dare una svolta definitiva ed un ritorno in auge a questo delitto. La Procura di Lecce, che ha aperto un nuovo fascicolo, ma questa volta per omicidio. “Ci attendiamo l’iscrizione nel registro degli indagati di una persona che fa parte della cerchia dei familiari – spiega la Martina -, del resto per noi non ci sono dubbi: Roberta non si è allontanata volontariamente, ma è stata uccisa e il suo corpo occultato in un luogo che noi abbiamo indicato e che la Procura sa bene dove trovare”.
Quello di Isabel Martina è stato un lavoro durato due anni e mezzo. “Abbiamo depositato in Procura un’istanza di 20 pagine – fa sapere la criminologa– in cui è stato tracciato un profilo ben preciso e circostanziato di quello che per noi è l’assassino di Roberta e tra l’altro in tutti questi anni ha cercato di depistare le indagini per allontanare i sospetti da sé. Siamo felici che i riscontri presentati stiano per essere accolti dai Magistrati. Anche se sono passati molti anni siamo fermamente decisi a riscrivere la verità sulla scomparsa di Roberta. Non la riporteremo in vita, ma almeno potremo restituire un minimo di pace alla sua famiglia”.
Per la criminologa pugliese si tratta di una grande soddisfazione professionale. “Quando riesci a riaprire un cold case dopo 15 anni di indagini ed una chiusura definitiva da parte di una Procura vuol dire che sei sulla pista giusta. Il lavoro e lo studio, come in questo caso, di oltre duemila pagine di fascicoli, lette una ad una, giorno e notte, rinunciando a feste, uscite e stoppando la tua vita personale, hanno dato i loro frutti. Lo considero un grande traguardo professionale – conclude -, una tappa che auguro di raggiungere a chiunque svolge con sacrificio e dedizione il proprio lavoro”.