La terribile storia di una bambina gemella uccisa dalla paura del Covid
Nelle ultime settimane, PugliaPress TV, la social web del nostro gruppo, ha riportato diversi fatti raccapriccianti, riguardanti episodi avvenuti in alcuni ospedali pugliesi, in particolare nella provincia di Taranto. Alcuni di questi sono al vaglio della Magistratura a seguito di denunce presentate dai familiari della vittime. Il meticoloso lavoro d’informazione, svolto dalla redazione, ha permesso di portare le nostre inchieste alla ribalta nazionale, visto che sono state riprese e rese pubbliche da alcune delle più importanti testate.
Oggi, pubblichiamo una lettera integrale di un episodio avvenuto qualche giorno fa, peggiore di tutti quelli pubblicati fino ad ora: La morte di una bambina gemella di sei mesi. Si chiamava Francesca. Non la troverete in uno dei Bollettini Epidemiologici della Regione Puglia che riportano le persone decedute per il Covid, anche se è morta proprio per questo. La bimba è deceduta per un conseguenza causata dal Covid: La paura. Quella che ha contagiato medici ed un sistema sanitario che, in alcuni casi, è diventato “spergiuro” al giuramento di Ippocrate. Leggendo questa lettera, scritta di getto ed inviatami dal papà, sono sicuro proverete le stesse sensazioni che ho provato io contemporaneamente: Commozione, Rabbia, Sgomento. La storia riguarda Martina Franca, la capitale della Valle d’Itria ma, in questo momento, sarebbe potuta accadere in qualsiasi altra parte d’Italia, anche se in Puglia, negli ultimi tempi, è più frequente.
Non lasciamo soli i genitori. La Giustizia deve fare il suo corso, ma spero che il rimorso, più feroce di ogni sentenza, possa accompagnare i responsabili durante tutta la loro vita, fino a quando si incontreranno con il “Vero Giudice” al quale tutti dovremo dare conto. Goditi la vita nel posto migliore che possa esistere, piccolo angioletto.
Antonio Rubino
“Gentilissimo direttore
Le scrivo questa lettera per chiarire i fatti della triste storia che purtroppo ha coinvolto la mia famiglia. Martina è una città piccola e inevitabilmente le voci circolano ma molto spesso queste parole sono distorte e non vere.
Siamo una coppia sposata con una bambina di sette anni e da sei mesi con una coppia di gemellini, un maschietto ed una femminuccia. La femminuccia, Francesca, a partire dal terzo mese ha avuto problemi alimentari che l’avevano portata ad un calo ponderale. Da allora stavamo indagando con pediatra, medici e professionisti del campo per capirne la ragione e quindi risolvere il problema che portava la bambina ad essere deboluccia.
Tutti visitavano la bambina ed erano d’accordo col pensare che la bambina avesse una intolleranza o allergia ad una proteina del latte e per questo, dopo aver fatto vanamente varie prove di latte formulati (ne abbiamo cambiati moltissimi) ed aver iniziato uno svezzamento specifico, ci era stata prescritta una visita da un gastroenterologo neonatale. Fatta questa doverosa premessa inizio il racconto della triste storia.
Intorno al 20 novembre la bambina risultava essere raffreddata ma senza febbre, quindi eravamo attenti, come nostra abitudine, che il nasino fosse libero aiutandola con soluzione fisiologica ed aerosol. Sabato 21 però la bambina ha una fastidiosa tosse grassa, quasi catarrosa, accompagnata da qualche linea di febbre: 36,8 fino al massimo di 37,6. Decidiamo quindi di chiamare il nostro pediatra di base per chiedergli consulto. Il telefono era spento e quindi dopo vari tentativi decidiamo di chiamare al reparto di pediatria di Martina dove avevamo conoscenze con qualcuno del personale medico.
Ci risponde però un medico non conosciuto e risponde a tutte le nostre domande, ci rincuora sulla cura che stavamo avendo con la bambina ( aerosol, lavaggi e tachipirina in caso di necessità) e ci dice, comunque, di controllare eventuali miglioramenti o peggioramenti, di contattare il nostro contatto medico per avere anche da lui un consulto e ci dice di valutare bene se portare la bambina o meno al pronto soccorso perché il protocollo dell’ ospedale prevedeva, per poter entrare in reparto, di fare il tampone e di attendere in tenda della triage il risultato. (Servivano circa 7 ore). Naturalmente in caso di negatività si aveva accesso, in caso contrario no.
Seguiamo il consiglio del medico dell’ospedale: chiamiamo il nostro contatto che al momento non era in servizio; anche lui ci conferma che la terapia che stavamo seguendo era quella giusta e che comunque ci saremmo risentiti il mattino successivo per verificare le condizioni della mia piccola.
Le condizioni sono state abbastanza buone, anzi l’aerosol aveva un effetto liberatorio per la tosse grassa e infatti subito dopo la bambina mangiava senza alcun problema. Il mattino successivo (domenica 22 novembre), però, la bambina non presentava più la tosse fastidiosa ma solo qualche linea di febbre (cioè 37,8) ed un tono della vocina molto basso. Anche il pianto era molto soffuso.
Richiamiamo, come accordi del giorno prima, il nostro contatto medico che ci dice di continuare ciò che stavamo facendo per lei. A pranzo della domenica la bambina mangia normalmente e si addormenta per il consueto riposino pomeridiano. Al suo risveglio però io e mia moglie notiamo che il suo respiro era diverso, un po’ affannoso e aveva un colorito leggermente cianotico…quindi decidiamo di richiamare il nostro contatto, stavolta non per chiedergli consiglio ma per avvisarlo che stavamo recandoci al pronto soccorso. Lui si mostra favorevole a questa scelta e ci dà appuntamento lì visto che a breve avrebbe preso servizio in ospedale.
Intorno alle 15,30 di domenica 22 Novembre arriviamo in ospedale ma subito la vigilanza di turno ci blocca dicendoci che la procedura (per evitare di far entrare un bambino di sei mesi in un pronto soccorso sottoponendolo a vari rischi) vuole che si passi prima dallo SCAP lì vicino dove ci sono pediatri che possono valutare la situazione e decidere se effettivamente è necessario entrare in ospedale.
Ci rechiamo allo SCAP, citofoniamo ma per citofono con freddezza e noncuranza ci dicono che dobbiamo prima chiamare e dire il problema per telefono. Sarà perché eravamo agitati, sarà perché il numero è scritto in piccolo e si confonde col numero del medico di guardia mia moglie ha citofonato una seconda volta per chiedere conferma del numero ma otteniamo una risposta sommaria del tipo “lì sta scritto!!!” e il citofono chiuso in faccia nel momento in cui chiedevo conferma sull’ altro numero che finalmente avevo trovato.
A questo punto chiamo ed il numero era giusto, parlo con una pediatra (così mi hanno detto) che ascolta le problematiche della bambina e dice che effettivamente loro non avrebbero potuto far nulla se non mandarci al pronto soccorso. Così andiamo via, sono arrivate le 16 e finalmente entriamo in ospedale.
Ci fanno entrare nella prima tenda della triage, quella di sinistra, compilano i documenti dovuti, ci fanno le domande del caso e spieghiamo ciò che aveva la bambina. Il personale presente in tenda si avvicina alla bambina, le misura la febbre (adesso 38,2) e guardandola si rende conto del suo colorito cianotico. A quel punto chiede al suo collega di andare a chiamare qualche pediatra dal reparto e allo stesso tempo chiede a noi di spostarci nell’ altra tenda per fare il tampone alla bambina e per darle le prime cure del caso.
Immediatamente, decidono di dare ossigeno alla bambina ma si rendono conto che in tenda c’ erano solo boccagli per adulti (che coprivano tutto il volto della bambina) e nessuno pediatrico. L’ operatore quindi rimanda il suo collega in reparto a prendere lo strumento giusto. Nel frattempo arrivano dei medici bardati venuti in assistenza. Uno di loro diagnostica immediatamente la BRONCHIOLITE e quindi si adopera per il primo soccorso. Come prima cosa erano necessari esami del sangue e comunque continuare a darle ossigeno con gocce di un medicinale broncodilatatore da inalare con aerosol.
In tenda però non ci sono né macchina per aerosol, né broncodilatatore, né medicinale né tachipirina. Comincia così un andirivieni di personale che faceva su e giù dai reparti per andare a reperire il materiale necessario. Non so quante volte è stato fatto questo procedimento ma alla fine è arrivato tutto. Hanno cominciato le loro operazioni ma ecco un nuovo problema: non sapevano dove attaccare la macchina dell’aerosol perché non ci sono prese elettriche nella tenda ma solo una ciabatta multipla attaccata al soffitto.
Via di nuovo l’operatore a prendere una prolunga ed anche degli altri apparecchi saturimetri visto che l’apparecchio che era arrivato prima si pensava non funzionasse. Noi eravamo lì, nella tenda e vedevamo che era tutto dannatamente complicato…faceva anche freddo e la febbre alla bambina cominciava a toccare i 39, non c’ erano nemmeno delle coperte termiche ma usavano ciò che avevamo portato noi, la coperta con cui avevamo avvolta Francesca all’ uscita di casa.
Siamo arrivati alle 17,30 e la bambina, con broncodilatatore e ossigeno, si riprendeva sempre più, migliorava di colorito e rispondeva ai nostri stimoli. Uno dei medici lì presenti ( ce n’ erano diversi tra cui il nostro contatto della pediatria che era arrivato) ci parla dicendoci che la bambina aveva la bronchiolite, che non poteva rimanere lì e che, vista anche la debolezza e il problema alimentare, sarebbe stato necessario il trasporto a Bari dove c’è la terapia intensiva con parecchia urgenza.
Noi naturalmente acconsentiamo e loro si attivano con telefonate varie per verificare se effettivamente a Bari ci fosse il posto e per preparare l’ambulanza che l’avrebbe trasportata. Visto che c’era bisogno di un po’ di tempo ne approfitto per recarmi a casa a prendere qualche cambio per mia moglie che sarebbe rimasta con la piccola a Bari. Così faccio…torno a casa, velocemente preparo una valigia, rincuoro i miei genitori che avevo lasciato ad accudire l’altro gemellino e la bimba grande di 7 anni dicendo loro che non appena possibile Francesca sarebbe stata portata a Bari e che tutto sarebbe andato bene.
Al ritorno in tenda la bambina è sempre con ossigeno ma molto vigile, anzi per farla stare tranquilla era intenta a guardare i suoi video preferiti dal telefonino che mia moglie aveva in mano. A questo punto si riavvicina il medico dicendomi che tutto era pronto per andar via dovevano solo intubare la bambina e metterla in ambulanza che era fuori.
Ricordo bene il medico incaricato di intubare la bambina dire ad un suo collega “E’ pronta l’ambulanza? Se io intubo, la bambina deve partire velocemente!” Alla risposta affermativa il medico ci accompagna fuori dalla tenda e loro all’ interno sedano e intubano la bambina. Nel frattempo fuori si consuma un’altra sceneggiata in quanto il medico si rivolge all’ autista dell’ambulanza dicendogli che stavano per caricare la culla medica in cui doveva stare la bambina nel mezzo e che lui doveva fare il tragitto velocemente.
Qui il panico! L’autista risponde al medico che non c’erano problemi per la celerità con cui doveva trasportare Francesca, ma c’ erano problemi sull’ ambulanza in quanto in quella che era fuori ed anche nelle altre non entrava la culla ma entrava solo la classica barella.
Da lì partono una serie di telefonate del medico per cercare di risolvere la situazione. Intanto la bambina è lì, in tenda, al freddo, sedata ed intubata, con la febbre che toccava i 41 e in attesa di una stramaledetta ambulanza o mezzo adatto. Finalmente arriva, sono le 20 e 30 e tutti si preparano al trasporto. Purtroppo però, quando la bambina è stata staccata dall’ ossigeno del bombolone presente in tenda per essere attaccata alla bomboletta da viaggio dell’ambulanza c’ è stato un primo arresto cardiaco.
L’ hanno ripresa con massaggio cardiaco, hanno chiamato qualcuno che portasse la macchina per l’elettrocardiogramma, hanno chiamato altri medici ma quando Francesca ha avuto il secondo arresto cardiaco non c’è stato nulla da fare. Sono le 21.
Non ricordo bene se qualche medico mi ha parlato o detto qualcosa, io ero solo lì ad urlare a piangere e ad arrabbiarmi per tutto il ritardo che c’ era stato, accanto al corpicino della mia piccola…
Ricordo solo su medico che si rivolge a mia moglie dicendo “…Signora……tanto sarebbe morta per strada, nell’ ambulanza”.
Io non sono nessuno, non posso colpevolizzare o giudicare…a questo ci stanno pensando le autorità competenti, ci sta pensando la giustizia. Io so solo una cosa…io so di aver perso la mia piccolina in una squallida e sprovvista tenda della triage anti-covid ed ancora non ne conosco il motivo.
E’ stato tutto denunciato e confido in chi sta lavorando per dare le risposte che voglio e che spettano di diritto a me ed alla mia famiglia distrutta.
Questa è la mia storia, questa è la storia di Francesca.”
Lettera firmata