SERENA E STEFANO ANDREOTTI E I SEGRETI DEL PADRE GIULIO
Un momento emozionante fra i più interessanti del panorama culturale dell’estate 2020. Senza censura alcuna, hanno percorso i momenti più importanti della storia italiana del dopoguerra, ammettendo la bravura del loro papà nel far vivere loro una vita normale, pur essendo forse sotto protezione, dati i tempi, soprattutto dopo l’uccisione di Aldo Moro
Il 3 settembre scorso, durante la rassegna l’Angolo della Conversazione allo Yachting club di Taranto, abbiamo avuto il piacere di incontrare Serena e Stefano Andreotti, due dei figli dell’ex senatore a vita e più volte presidente del Consiglio dei Ministri Giulio Andreotti. Sono loro a custodire le memorie del padre e hanno deciso di riportarle su un libro denominato “I diari segreti di Giulio Andreotti”, edito da Solferino e dal 27 agosto scorso disponibile in tutte le librerie.
Si tratta di diari inediti che iniziano dal 6 agosto 1979 e terminano il 22 luglio 1989, quando Andreotti assunse la guida del suo sesto governo. A distanza di qualche anno dalla sua morte, avvenuta nel 2013, si sono trovati di fronte ad una marea di appunti e pensieri personali annotati giorno per giorno da Andreotti su fogli, agende e quaderni affiorati da uno sgabuzzino dell’appartamento di corso Vittorio Emanuele II a Roma, un vero e proprio archivio andreottiano che, in parte, hanno deciso di pubblicare al termine di un’accurata selezione e catalogazione cronologica. “I diari segreti” ripercorrono dieci anni intensissimi della vita politica di Andreotti e diventano la storia dall’interno non solo del nostro Paese in un periodo cruciale della Repubblica, ma anche degli Stati Uniti da Carter e Reagan, dell’URSS da Brežnev a Gorbaciov, della rivoluzione iraniana, dell’eterno conflitto in Medio Oriente, della tormentata costruzione di un’unità europea. Queste pagine però raccontano anche la vita quotidiana dell’uomo che per oltre mezzo secolo ha dominato la scena politica italiana. Il libro è uno spaccato del Novecento dal quale emerge chiaramente la rete sterminata di relazioni con leader anche mondiali che Andreotti aveva e coltivava, aiutandoci a conoscere meglio quella che può definirsi la figura-simbolo della Prima Repubblica. Dialogare con loro è come essere stati partecipi della vita del senatore a vita per antonomasia, legato ad un pezzo di storia della nostra Italia, dove il popolo (e forse la magistratura) l’ha additato non sempre per fatti positivi.
Ma anche Taranto è nei ricordi e negli appunti di Giulio Andreotti. Nella città ionica, il Senatore aveva due amici particolari che incontrava per motivi diversi. È più volte appuntato il nome dell’arcivescovo di Taranto per eccellenza, monsignor Guglielmo Motolese. Durante il periodo di massima espressione cattolica, ovvero il suo episcopato, furono molte le opere che si realizzarono per la città di Taranto. Oltre alla costruzione di 43 chiese nel territorio diocesano, soprattutto in campagna, nel dicembre del 1970 consacrò la Concattedrale dedicata alla Gran Madre di Dio, iniziata nel 1964 e progettata da Giò Ponti. La chiesa presenta una facciata a forma di vela che si riflette nell’acqua delle vasche antistanti. Il 17 ottobre 1983 lanciò l’idea della “Cittadella della Carità” per l’assistenza socio-sanitaria di anziani e non autosufficienti. La Fondazione fu inaugurata il 1º maggio 1988. Dal 1995, per volontà dello stesso fondatore, è iniziata la collaborazione con la Fondazione Centro “San Raffaele del Monte Tabor” di Milano che ha portato alla nascita dell’attuale Fondazione “San Raffaele – Cittadella della Carità”. Riteniamo che, data la vicinanza al Vaticano di Giulio Andreotti, la loro amicizia possa essere stata utile per la costruzione dell’Italsider, poi Ilva, oggi ArcelorMittal, oltre che per tutte le opere già menzionate. L’altro nome legato alla città di Taranto, come ci ha raccontato Stefano, è quello del più volte ministro Claudio Signorile. Questa amicizia pare sia stata molto forte, data la forte opposizione, da parte di Andreotti, nei confronti di Craxi, politico emergente degli anni ‘70, poi capo di Governo nel decennio successivo. Per la cronaca, l’ottantatreenne Signorile, pur essendo nato a Bari, vive, da sempre, a Taranto. Laureato in lettere, ha insegnato Storia moderna nelle Università di Roma e di Sassari e Storia contemporanea nell’Università di Lecce; ha militato nel Partito Socialista Italiano fin dal 1956, ricoprendo prima l’incarico di segretario nazionale della Federazione giovanile socialista (fino al 1965), e poi di membro della direzione nazionale del Partito, divenendone vicesegretario dal 1978 al 1981. Poi, come già detto, Ministro dei trasporti nel Governo Craxi, Ministro degli interventi Straordinari nel Governo Spadolini, sei volte deputato.
Insomma, per un motivo o per l’altro, la famiglia Andreotti era di casa a Taranto come lo era stato Aldo Moro che aveva trascorso il suo periodo di studi nella città ionica.
Una serata emozionante, fra le più interessanti dedicate alla cultura, nell’estate 2020. Senza censura alcuna, gli autori hanno percorso i momenti più importanti della storia italiana del dopoguerra, ammettendo la bravura del loro papà nel far vivere loro una vita normale, pur essendo forse sotto protezione, dati i tempi, soprattutto dopo l’uccisione di Aldo Moro e della sua scorta. A proposito dei parenti delle vittime legate all’uccisione dello statista pugliese, Stefano e Serena hanno ricordato quanto il loro padre sia stato vicino alle vedove (solo 2, gli altri poliziotti non erano sposati).
Francesco Leggieri