La maledizione delle anime perse
Ho percorso la strada che da Martina Franca porta a Locorotondo. La chiamano SS 172. L’ho fatto di sera verso le 21:00. Avevo i vetri chiusi nonostante ci fossero fuori più di 30 gradi. Sentivo scendere dalla mia fronte il sudore. L’ho attribuito alla temperatura elevata, ma forse era mischiato alla paura. Le gambe mi tremavano. Esattamente una settimana prima, proprio qui, è stata sterminata un’altra famiglia. Era una coppia di poco più di trent’anni. Viaggiava su uno scooter di media cilindrata, un Liberty, si è schiantato contro un’auto guidata da una donna che, provenendo dalla parte opposta, stava entrando in un tratturo, verso il quale erano rivolti i fari della sua macchina. Questo viottolo di campagna è stato numerose volte palcoscenico di gravi incidenti, soprattutto per come è strutturato. I due ragazzi non possono vedere i fari dell’auto. E’ buio pesto. Non hanno nemmeno il tempo di frenare quando vedono l’auto tagliargli la strada per immettersi nel tratturo. La ragazza muore sul colpo. Lui combatte per 45’ contro la morte in un pronto soccorso di una città di 50.000 abitanti che non ha mai conosciuto cosa sia una sala di rianimazione. Fate caso ai minuti durante i quali il ragazzo cerca di sopravvivere. Proprio nello stesso ospedale, due settimane prima, il fratello è morto per una embolia polmonare massiva. Anche quella volta l’agonia è durata precisamente 45’. Dal momento in cui la notizia si diffonde, la mentalità di paese si mescola all’emozione che la vicenda suscita. Ci sono tutti gli ingredienti per promuovere una discussione alimentata oggi anche dalla piazza virtuale. Sembra ritornare indietro ai tempi del primo dopoguerra. Improvvisamente tutti diventano periti, testimoni, esperti. “La moto andava veloce…non avevano il casco…andavano a fari spenti… volevano suicidarsi…l’ambulanza è arrivata in ritardo”. Gli idioti avevano una proliferazione maggiore dei funghi nel miglior periodo autunnale. Sono stato tra i primi, ai quali si è cercato di propinare una apparente verità, guarda caso da chi asseriva di aver assistito all’incidente, prestato i soccorsi e indicava dinamiche, contestando il primo articolo che la mia testata aveva pubblicato. Asserivano di non conoscere i ragazzi morti, accusandomi di essere amico della famiglia per il modo in cui raccontavo la vicenda. Non conoscevano nemmeno la donna che guidava l’auto. Poi si verrà a sapere che stava andando proprio a casa sua, dove ci sarebbero state diverse persone e che “quella donna” era la madre della fidanzata del figlio. Una vicenda strana per tanti motivi che mi inducevano a coinvolgere la redazione delle Iene con la quale ho collaborato in diverse occasioni. Cesare e Liana erano due innamorati, avevano un figlio di soli dieci mesi. Tornavano con lo scooter a casa dal loro negozio di Locorotondo per andare dalla mamma di lui dove stava il bambino. Non vedevano l’ora di vederlo. Le vittime sono state quattro, inclusa la guidatrice dell’auto che mai potrà dimenticare quanto accaduto e soffocare il dubbio di quello che avrebbe potuto fare per evitarlo. La quarta è quel bambino che non conoscerà mai i genitori. Ho conosciuto due dei tre avvocati di parte. La mia rabbia si è attenuata quando, parlando con loro, anche se dalle loro rispettive posizioni, ho sentito dire la stessa cosa: “Quel bambino prima di tutto. Dovrà essere stabilita la verità assoluta, non quella che potrebbe convenire. E’ un dovere morale”. Sono sicuro che anche il terzo avvocato, quello della famiglia della ragazza perserverà lo stesso obiettivo. Oggi abbiamo tutti un dovere morale che è il benessere psicofisico di quell’essere innocente che avrà soprattutto bisogno di tanto affetto che, insieme, tutti i familiari potranno garantirgli. Chi antepone altri interessi non sarebbe degno di guardarlo in faccia. Ho deciso in questa fase di rimandare qualsiasi discussione sulle cause reali che hanno causato questa ennesima tragedia. Non voglio che si pensi che si voglia strumentalizzarla per fini elettorali. Devo solo aspettare meno di un mese. Mentre cammino su questa strada, mi sembra di ascoltare tante voci. Sono quelle di tante anime perse, di vite stroncate, di gente di ogni età che, proprio su questa strada, ha perso la vita. La strada è buia. Rimango in silenzio, mi sembra di sentire un pianto di un bambino che chiama la mamma. Non riceve risposta. La verità su questa tragedia la si deve ad un bambino. Poi che Cesare e Liliana possano riposare in pace. Ma la maledizione verso coloro che quella strada continuano a volerla maledetta è un sentimento diffuso. Sento una brusca frenata. Questa volta l’incontro di qualcuno con la morte è stato rimandato. Fino a quando?