“Ai miei tempi”
Non mi stancherò mai di ripetere che in ogni momento difficile c’è una opportunità da cogliere. Ne sono certo e vorrei trasferirvi questa convinzione. Faccio sempre l’esempio dello Judo: questo non è uno sport in cui la propria forza determina la vittoria avversario, ma sfrutta proprio la forza dell’avversario a proprio vantaggio. Morale semplice: quanto più forza ci mette il nostro contendente, più è lui a farsi male.
Mi direte: Quale opportunità possiamo trovare nel periodo in cui muoiono migliaia di persone e si sono radicati in noi paura e incapacità di non riuscire a trovare una soluzione con la conseguenza di lasciare spazio alla rassegnazione? Come facciamo a spiegarlo ai nostri bambini, agli anziani, alle persone che ci accreditano di ogni risposta? Già. Come facciamo?
Riflettendoci un po’ sopra ho trovato una frase giusta: “Ai miei tempi”. Quante volte l’abbiamo sentita? Rimanevamo sempre affascinati quando nostro nonno ci raccontava la propria vita. Il periodo della guerra, quello della peste, i momenti di fame durante i quali anche un tozzo di pane era un cibo prelibato; se poi, accompagnato anche da un pomodoro e un filo d’olio faceva festa grande. Quelle tavolate attorno alle quali si sedevano le famiglie, regolarmente numerose: un unico grande piatto al centro letteralmente preso d’assalto a rapide forchettate per non rimanere a digiuno; un fiasco di vino custodito gelosamente a terra accanto al capofamiglia dal quale dipendevano misurati sorseggi che non arrivava nemmeno in gola. Erano momenti difficili. La mortalità, allora, era molto bassa. Una persona di cinquant’anni d’allora oggi sembrerebbe una di novanta. Tanti sacrifici alimentati da altrettanto lavoro.
C’erano due cose, nell’ascoltare quei racconti, ad affascinarmi: il valore dell’amicizia e gli occhi lucidi del narratore. Eppure è evidente che belli non erano, tutt’altro. E allora, perché si ricordano con nostalgia? Se riusciamo a capirlo comprenderemo l’opportunità, e per farlo caliamoci nel passato con la macchina del tempo. I nostri nonni e bisnonni, avevano paura dei bombardamenti, noi di contagiarci; loro misuravano il cibo da mettere a tavola e si mantenevano sempre magri e forti (si può dire “grazie anche al lavoro fisico”?) e noi solo ora cominciamo a comprendere il valore degli sprechi come denuncia il ridotto numero di buste della spazzatura; loro attorno a quel tavolo si parlavano, noi abbiamo iniziato a farlo lasciando da parte il più possibile i telefonini. Ecco, stiamo riscoprendo vecchi valori: la gratitudine verso medici, infermieri, farmacisti, netturbini, forze dell’ordine, volontari, tutta gente che sta portando la croce per noi. Mancano due componenti importanti quanto indispensabili: la solidarietà e la fede, anche se una è conseguenza dell’altra. Ma torniamo alla frase che mi ha dato da pensare: Ai miei tempi. Bene, per una pur deprecabile ironia della sorte, stiamo avendo la “fortuna” di viaggiare indietro nel passato. Un secchio d’acqua fredda in faccia in una giornata afosa è la similitudine cui ricorro sempre in momenti come questi. Possiamo riappropriarci della nostra vita, della nostra personalità, dei valori persi. Alla fine saremo fortunati. Non saremo più come siamo stati fino ad un paio di mesi fa. Saremo migliori. Nulla tornerà tornerà più come prima. Sarà come potare il nostro albero, affinché possa portare frutti migliori in futuro. Questo virus, nostro malgrado, ci sta insegnando tante cose.
Antonio Rubino