Lecce – Il restauro dell’ex stazione Agip a Porta Napoli – Quando il singhiozzo è elevato a pensiero.
Si è tenuta ieri a Lecce la presentazione del bando (http://www.comune.lecce.it/comune/bandi-ed-avvisi-di-gara?DocumentId=21651 ) per la gestione dell’ex distributore di benzina Agip presso Porta Napoli. Lasciando lo spazio della cronaca a quello più divertente dell’analisi fra le righe ci sarebbe da osservare subito che queste presentazioni (ed a maggior ragione quelle a sfondo architettonico) sembrano le moderne eredi di quegli archi trionfali che si realizzavano un tempo per celebrare un evento clamoroso per la storia di una comunità. I toni celebrativi, fatti di tante “prime volte”, nella presentazione, erano però almeno storicamente pertinenti visto che si discuteva di un intervento in prossimità della cinquecentesca Porta Napoli, voluta nel 1548, per celebrare di certo l’imperatore Carlo V e forse anche una sua venuta a Lecce che in realtà mai ci fu. Il che di fatto ha finito per celebrare quindi un’assenza. Toni celebrativi, prime volte, assenze, figuranti, prime donne e cosi via, c’era tutto, incluso lo scirocco leccese a fare da colonna sonora attraverso le fessure delle finestre.
La locale Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, rappresentata al tavolo, dall’architetta Maria Piccarreta e dell’architetto Antonio Zunno, con toni esaltanti ha celebrato l’operazione che ha portato all’imposizione del vincolo per l’ex stazione di benzina . Una giornata in ogni caso positiva per l’ufficio periferico del MiBACT, quella del 24 febbraio scorso, che forse solo in parte ha colmato l’amarezza di una notizia del giorno prima secondo la quale il Tar aveva bocciato proprio la Soprintendenza per una vicenda legata alla costruzione del porto turistico di Otranto (http://www.lecceprima.it/cronaca/il-tar-boccia-la-soprintendenza-non-bisognera-smontare-i-pontili-galleggianti.html). L’ex distributore, realizzato nel 1952, fu progettato dall’architetto milanese Mario Bacciocchi il quale ripropose nel caso leccese, in particolare, una copertura a sbalzo doppiamente curva (in pianta e sezione) simile ad altra che negli stessi anni egli stava realizzando a Milano in una struttura pure funzionalmente simile (http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/3m080-00076/). Le particolarità di pregio dell’edificio leccese, come detto in conferenza, sono lo sbalzo ed una copertura che non lasciava cadere l’acqua piovana verso l’esterno. Non è stato spiegato il perché di queste singolarità e lo facciamo adesso: la sporgente mensola serviva ad evitare l’uso di pilastri di sostegno alle estremità che in quella particolare situazione urbana sarebbero stati d’intralcio per l’utenza; poco funzionale sarebbe stato pure avere pioggia cadente sull’area destinata ai fruitori di quello spazio. Nulla di nuovo sotto il sole, anzi sotto la pioggia perché quest’ultimo problema fu risolto, infatti, attraverso una interpretazione moderna del classico compluvium: le superfici della copertura convergono verso un punto di raccolta interno. Durante la presentazione la stazione di servizio leccese è stata definita come un esempio di architettura contemporanea; di fatto questa è una definizione molto relativa visto che opere pressoché coeve e ben più importanti come ad esempio la celebre Cappella di Ronchamp sono inserite nei volumi di storia dell’architettura moderna.
A destare interesse, però, non è stato solo questo relativismo cronologico non adeguatamente spiegato (il che diventa atto dovuto nei confronti dell’uditorio quando si decide di usare quel termine) quanto l’affermazione di un primato: quello di aver imposto per la prima volta un vincolo di tutela su un edificio di questo tipo. Chi abbia un minimo di reale dimestichezza con le questioni culturali sa bene che concettualmente l’importanza dell’imposizione di un vincolo ha a che fare non con le dimensioni grandi o piccole dell’opera, né con la tipologia dell’edificio da tutelare. In sostanza niente di sorprendente se si vincola una ex stazione di servizio. Se si qualcuno volesse poi spettacolarizzare anche questo alla stregua di una cultura televisiva fatta da “Grande Fratello e “Uomini e Donne”, è libero di farlo. La cultura è però altra cosa. A dire il vero non si può parlare di primato neanche per il fatto che la ex stazione di servizio è stata realizzata in tempi relativamente recenti (1952 come ricordato qui) bastava infatti aprire le finestre e lasciare che il pure citato scirocco facesse arrivare gli echi degli scontri all’arma bianca che un’altra Soprintendenza, quella di Roma, sta conducendo per tutelare l’Ippodromo di Tor di Valle realizzato intorno al 1957 e quindi circa nei medesimi anni della ex stazione Agip. Il confronto con Roma non è casuale perché aiuta a capire anche un altro aspetto della vicenda leccese. Il percorso di imposizione del vincolo a Lecce ha avuto vita semplice e rapida perché, diamo a Cesare il suo, l’amministrazione comunale uscente ha voluto la tutela di quel bene in tutti i modi a differenza di quanto sta accadendo a Roma. L’affermazione di certi primati, oltre che a tratti banale, sembra anche poco rispettosa nei confronti di altre Soprintendenze che lavorano con impegno addirittura maggiore (è il caso romano citato) e contesti decisamente peggiori. Meglio quindi non predicare, per senso di realismo. Tutto qui. Il restauro sarà filologico, afferma la soprintendente. Il problema però è che il progetto non è stato esposto ma solo presentato con qualche slide coerentemente con l’era della post-verità fatta di post-immagini attraverso cui tutto è rinviato al post/dopo. E’ quindi impossibile fornirne ai lettori una analisi specifica. Altro aspetto sottolineato sempre dalla soprintendente è la nuova destinazione d’uso: attività culturali quali mostre ed esposizioni, servizio somministrazione alimenti e bevande – caffetteria e punto ristoro, bookshop-libreria. Tutto questo però in 112 metri quadrati di superficie coperta e 767 metri quadrati dell’area di pertinenza (all’esterno). Qualcuno dei conferenzieri ha addirittura proposto di metterci anche il primo nucleo di un museo da dedicare all’Architettura del Novecento a Lecce. Quest’ultima idea è legata però ad un argomento talmente vasto da meritare, al contrario, solo se fossimo in una qualunque città europea, uno spazio molto più ampio ed appropriato (ad esempio l’ex Istituto Margherita, ancora di proprietà comunale, potrebbe già andare bene tanto più che il candidato del centro-destra, Mauro Giliberti, vorrebbe non fosse venduto).
Dal un punto di vista della Teoria del Restauro, invece, nulla di nuovo rispetto al tema destinazione d’uso/natura dell’edifico. Il problema è che non accade sempre così nella Pratica. L’amministrazione comunale di Lecce ha sposato di fatto le indicazioni della Soprintendenza. A questo proposito, il candidato sindaco del centro-sinistra, Carlo Salvemini, in un comunicato ha ricordato che: «Si è deciso di farne un bar, seppure a “vocazione culturale”, in una zona in cui già insistono attualmente, nel raggio di poco più di cento metri, 15 esercizi commerciali che svolgono la stessa funzione. Più utile sarebbe stato coinvolgere cittadini, associazioni, professionisti, in un concorso per mettere a confronto le idee più originali». Per quanto ci riguarda sarebbe stato invece più interessante bandire un concorso pubblico per l’elaborazione del progetto di riqualificazione di tutta un’area (quella a ridosso dell’ex distributore incluso il tratto di strada verso la biblioteca universitaria) e non solo della struttura ex Agip il cui restauro invece è stato affidato dal Comune di Lecce all’architetto Andrea Mantovano. In termini urbani l’intervento così come predisposto oggi dal Comune appare quindi balbettante, anzi meglio, singhiozzante come una canzone dei Platters.
Il problema non è quindi la qualità del restauro del singolo edificio (non se ne può discutere il merito, per le ragioni dette, e dobbiamo perciò sospendere qualunque giudizio affidandoci alla buona reputazione professionale dell’architetto A. Mantovano) ma la contestualizzazione dell’edificio da recuperare. Nella post-rappresentazione del progetto cui abbiamo assistito, delle così dette tavole storiche di contesto nessuna traccia. Passando qualche giorno almeno in uno degli archivi storici locali si potrebbe scoprire che quella ex stazione di servizio è all’inizio di quanto resta di un importante percorso, razionalizzato nell’Ottocento, che dalla città conduceva al convento degli Olivetani in prossimità del quale si teneva una famosa fiera ricordata nei documenti leccesi più antichi. E’ proprio per questa ragione che nel 2012 si cominciò a discutere di questo con Alessandro delli Noci, oggi candidato sindaco, il quale aveva già nel suo programma elettorale di allora proprio il recupero della ex stazione di servizio che di fatto fu successivamente acquisita dal Comune di Lecce. Il restauro della ex Agip sarebbe stato quindi inserito in un contesto urbano storico e progettuale più ampio di quello oggi presentato pensando anche al coinvolgimento di Edoardo Tresoldi, un artista italiano la cui notorietà è cresciuta ulteriormente in modo esponenziale (e cioè qualche anno dopo quel 2012) da quando nel 2016 ha realizzato l’ormai famosa ricostruzione della basilica di Siponto. Se la storia avesse seguito il percorso che avremmo voluto oggi avremmo potuto parlare della prima opera pugliese del giovane artista lombardo a Lecce e non a Siponto. Ultima riflessione. La scelta della soprintendenza di Lecce di proporre un “cool-bar” quale destinazione d’uso coerente con la natura dell’ex stazione di servizio lascia perplessi. Se quell’ex distributore di benzina fu a suo tempo costruito in quel punto una ragione precisa ci deve essere. La vera natura di quella realizzazione è nel traffico delle auto e con esso della logica del “fai il pieno e fuggi”. Il problema è che quella ragione, delizia per un distributore di carburanti, è una croce per un bar che, come si vede nei post-disegni della post-rappresentazione, vorrebbe posti a sedere anche fuori, a ridosso della strada e tutto il giorno in una zona più che trafficata ed inquinata. Anche gustare un gelato allo smog ha la sua originalità in effetti. La cronaca più recente, a volerla leggere, racconta inoltre dei problemi di salute di chi ha gestito un’attività commerciale, altro chiosco, sul medesimo viale su cui si affaccia l’ex distributore. Inutile dire che non si è neppure considerato che l’alto flusso di auto separa come una solida barriera l’ex stazione di servizio dalla città intra moenia. Chiudiamo con una nota di colore e brio. Si potrebbe sostituire, coerentemente con la natura dell’ex distributore, la vecchia logica del “mordi e fuggi” al petrolio dell’automobilista con quella di un “mordi e fuggi” culturale una sorta di “take-away” del libro in presito tanto più che proprio lì vicino c’è la principale biblioteca universitaria della città. Andrebbe riconosciuto infine all’uscente sindaco di Lecce, Paolo Perrone, di avere reso accessibile (come ha fatto sempre d’altro canto) a tutti la partecipazione alla conferenza stampa a differenza di una soprintendenza che invece allontana quegli inviati che fanno domande ed inchieste a lei poco gradite. Donald Trump ha fatto scuola. O è il contrario? In ogni caso questo è il vero primato.
Fabio A. Grasso
Fonte copertina:Leccesette