Nava: “Podio giusto per i sedici rimasti”
La canzone di Francesco Gabbani l’avrei scelta anche io nel mucchio.
Almeno si distingueva per l’idea.
Pur non facendo parte del mio gusto musicale, in obiettività, la trovo scritta bene per il genere che associo un po’ allo stile di Max Gazzè e di Daniele Silvestri.
È intelligente. Non è solo un ballettino con la scimmia accanto.
Ironizza sulle tante odierne contraddizioni, gioca sul nostro modo di riempirci di filosofie orientali che ostentiamo ma che il più delle volte non conosciamo e di abitudini e atteggiamenti da “uomini del futuro” con tecnologia e scibile a disposizione, restando però dentro e fuori involuti, fermi allo stadio delle scimmie.
Sono poi contenta che finalmente stia crescendo un nuovo protagonista della scena giovane musicale con un iter più tradizionale, qualcuno finalmente che da anni suona e scrive ( ha 34 anni) e non è un ragazzino che proviene dai soliti talent.
L’anno scorso aveva vinto con “Amen” tra i giovani delle nuove proposte e quest’anno ha fatto il vero salto tra i big!
Il secondo posto, ripensandoci, è stato il più giusto per Fiorella Mannoia.
Fa bene a lei perché la sua vittoria, benchè giusta e meritata, sarebbe sembrata troppo annunciata e sappiamo come psicologicamente non faccia mai troppa simpatia.
Io ho trovato dignitosissima la sua partecipazione.
Il terzo classificato Ermal Meta è un’altra buona scoperta. Si tratta di un autore, così come il primo Gabbani, che non si improvvisa, ma che ha già dato brani di successo ad alcuni artisti.
Ora lo stiamo conoscendo e apprezzando anche per la sua voce molto interessante.
Ha avuto il coraggio di presentarsi con un brano che trattava con occhi da uomo il tema della violenza domestica e quindi giusta posizione.
Per tutte le altre canzoni ho apprezzato molte conferme tra i “veri” big, anche se nei giudizi critici oggi sto sentendo sentenziare sulla musica cambiata….un’epoca musicale finita, ecc. ecc.
Quando a mio avviso i veri big la differenza la facevano eccome su quel palco e, se mai, si tratta di scelta delle “canzoni” e non di visi, età, stili e simpatie….
Ho trovato buoni ritorni come Michele Zarrillo e Paola Turci, che ha sfoderato molta grinta, e qualche scoperta dal punto di vista interpretativo come Michele Bravi.
Anche io trovo in generale più arrangiamenti che melodia e questo, all’ascolto, le rende tutte molto simili e poco memorizzabili.
Molti degli stessi arrangiamenti, tra l’altro, richiamano troppo alcuni passaggi e sonorità riconoscibilissimi di dischi che vendono molto all’estero e che abbiamo tutti nelle orecchie.
Le canzoni tra loro sono tutte un po’ uguali perché oggi si scrive così, rimanendo fin dall’inizio insistentemente fermi su passaggi di note strettissime vicine, legate ( quasi dette) e spesso troppo ripetute dando un senso di uniformità e di stanchezza all’ascolto.
Il tutto ritmato e “vestito”, riempito di suoni, poi, appare rimediato e perfino funzionante, soprattutto a chi non “frequenta” o pratica la musica, ma il problema del “nucleo” mancante del brano, della “sostanza musicale assente”, resta, ed è da qui l’impossibilità di poterle davvero fermare nella memoria, ritrovarle, ricantarle e farne dei veri successi, salvo per qualche sporadico caso.
Forse l’esercizio per i nuovi autori dovrebbe essere quello di suonare la sola parte melodica con un semplice piano o chitarra e capire se c’è davvero l’idea su cui scrivere, prima di iniziare a spalmarci su giochi di parole con suono e ritmo in un tediante giro di accordi.
Mariella Nava