Festival Giornalisti del Mediterraneo: Alessio Lasta vince la 10 ° edizione con un reportage sull’immigrazione. L’intervista esclusiva.
Una testimonianza che lascia senza parole. Che fa riflettere e fa intuire il vero significato della disperazione. Un video che racconta una realtà che ci tocca da vicino tutti i giorni: quella relativa al fenomeno dell’immigrazione.
In tempi recenti, abbiamo sentito sempre più parlare dei casi delle navi Diciotti e Acquarius. Udiamo dai tg sempre nuove proposte, in molti casi osteggiate, che il nostro governo avanza per arginare il fenomeno dell’immigrazione.
Alessio Lasta, giornalista e inviato del programma di La7 “Piazzapulita”, nel suo reportage “Dreaming France – La rotta nella neve dei migranti sulle Alpi“, porta alla conoscenza di tutti una delle realtà più crude, e meno conosciute, legate a questo fenomeno, di chi sfida ogni giorno ripetutamente la morte, pur di raggiungere i suoi cari. Un servizio che lo incoronerà vincitore della decima edizione del Festival Giornalisti del Mediterraneo, recentemente tenutasi ad Otranto.
Alessio Lasta ha raccontato per Pugliapress la sua personale esperienza.
Pochi giorni fa lei ha vinto il concorso Giornalisti del Mediterraneo. Si aspettava questo riconoscimento?
” Che me lo aspettassi no, ma come tutti i concorsi a cui partecipi, lo speravo. Il premio è diventato negli anni un punto di riferimento per la Puglia, ma direi anche un luogo di confronto a livello internazionale, visto i temi che riguardano il Mediterraneo. Otranto poi è una città densa di significato: è porta d’Oriente e dunque ponte di comunicazione tra tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Non dimentichiamo che proprio il bacino del Mediterraneo ha una vitale importanza nelle relazioni, per esempio, tra l’ Italia e i paesi del Nordafrica, ma anche con quelli del Medio Oriente, soprattutto in questo momento storico. Mi ha fatto molto piacere ricevere questo premio perché credo che sia uno dei premi giornalistici che davvero metta l’accento sul ruolo dell’inviato che va in determinati contesti, vede con i propri occhi e racconta. Vedere e raccontare, un binomio che, dico io, dovrebbe essere una pietra miliare per chi fa questo lavoro: vedere con i propri occhi, raccontare con le proprie parole e anche con le proprie emozioni. Non ho mai creduto infatti a un racconto privo di emotività, asettico, perché è impossibile non rimanere coinvolti da tragedie come queste. Ecco perché i festival di giornalismo sono importanti, perché ci consentono di riflettere, di confrontarci sugli aspetti che riguardano il momento storico che stiamo vivendo”.
Come è venuto a conoscenza di questa rotta dei migranti verso la Francia?
“Ne avevo avuto notizia guardando alcuni gruppi Facebook, dove c’erano segnalazioni, soprattutto in lingua francese, di queste nuove rotte, in Piemonte, nell’alta Val di Susa, a Bardonecchia: una vera e propria nuova rotta verso un sogno che è per molti migranti quello di superare le Alpi e raggiungere la Francia”.
Quindi ha scoperto questa rotta su Facebook….
“Ho visto che c’erano dei gruppi, come quello dell’associazione Tous migrants, che aiutano i migranti una volta che sono arrivati in territorio francese. Li rifocillano, cercano di dare una mano, li curano se sono in ipotermia. Ovviamente questo avviene in territorio francese, qualora i migranti riescano a superare il confine tra Italia e Francia. Quindi non si tratta in alcun modo di favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Poi ho trovato articoli e approfondimenti su alcuni quotidiani, come L’Avvenire e La Stampa. Allora ho pensato di andare a vedere sul campo com’era la situazione e così il 3 gennaio sono arrivato in Alta Val di Susa, a Bardonecchia. Avevo contattato anche l’associazione Rainbow for Africa, una ong di medici e volontari che aveva ottenuto dalle Ferrovie dello Stato la possibilità di aprire un presidio nella stazione di Bardonecchia. E’ lì infatti che arrivava un flusso continuo di migranti con i treni provenienti da Torino. L’obiettivo era per quasi tutti loro quello di tentare la scalata al Colle della Scala, che mette in comunicazione l’ Italia con la Francia. Solo che si tratta di una scalata impervia, con la neve alta anche due metri, le temperature anche di dieci, quindici gradi sotto zero. In particolare poi nei giorni in cui con la troupe di Piazzapulita eravamo lì ci sono state delle vere e proprie bufere di neve. Immaginiamo cosa devono aver provato i migranti arrivati in montagna solo con addosso jeans e scarpe da ginnastica, senza equipaggiamento, totalmente impreparati. Immaginiamo quale fosse la disperazione che li spingeva a tentare un’impresa del genere.”
Una situazione quindi davvero difficile per loro…
“Impossibile. Per quello che ho visto, solo la disperazione ti può spingere ad affrontare tutto questo. Solo l’idea che dall’altra parte ci sono tuo fratello, tuo padre, tua madre può farti tentare una strada così pericolosa, a rischio della vita. I primi quattro ragazzi che ho incontrato a Bardonecchia, la prima notte, avevano tentato la scalata del colle della Scala assolutamente non equipaggiati: non avevano neanche i guanti e le temperature fuori erano polari. Io li ho incontrati alle 23, mentre tornavano indietro delusi, afflitti per non essere riusciti nell’impresa ed avevano un principio di ipotermia ed assideramento, quindi situazioni veramente al limite. Il giorno dopo abbiamo seguito questi ragazzi, che hanno voluto tentare di andare comunque in Francia in treno. Nel reportage si vede che entrano nel treno diretto a Modane, che è la prima stazione dopo il confine italiano. E’ lì che la gendarmerie francese li ha trovati, nascosti nelle toilettes del treno. Così, visto che il Passo della Scala era impraticabile per le condizioni atmosferiche e la ferrovia troppo controllata per sperare di passare il confine, abbiamo tentato di vedere se i migranti seguissero un’altra via, un’altra rotta. Così ci siamo diretti verso il passo del Monginevro, che è costellato di boschi che corrono paralleli alle piste da sci e da fondo. E’ stato un contrasto molto forte quello tra i turisti che erano lì sulle piste da sci per trascorrere i giorni di festa e le vite di queste persone che nella notte tentavano di oltrepassare il confine e raggiungere la Francia.
Per capire meglio cosa stesse accadendo sono andato sul versante francese, al seguito di una ronda notturna dei volontari dell’associazione Tous migrants.
Quando eravamo nei boschi, vicino alle piste, improvvisamente arriva una telefonata al capo della spedizione, Pierre. Era la voce di un uomo, un migrante ospitato nel rifugio che l’associazione Tous Migrants gestisce a Briancon. Quell’uomo aveva detto a Pierre che la moglie stava tentando di raggiungerlo in Francia attraverso i sentieri innevati. Era insieme ad altre persone, ma si era smarrita. Ci siamo messi quindi a cercare questa ragazza, insieme alle altre persone che erano con lei. Dopo mezzora abbiamo trovato il gruppo di migranti nascosto accanto alle toilettes delle piste da fondo. Erano intirizziti per il freddo gelido, indossavano ai piedi scarpe da ginnastica. C’erano tra loro due donne e tre ragazzi: una di queste, Rejoice, era la ragazza che era stata segnalata a Pierre. Stava malissimo, non riusciva neppure a parlare: non bastano le coperte termiche, non bastano i termos. In quel momento arriva la polizia francese. Cerca di identificare i migranti, ma in quel momento Rejoice crolla a terra stremata. I volontari dell’associazione, su ordine della polizia, caricano Rejoice in auto. Nel frattempo tutte le altre persone scappano. Rimane solo questa povera ragazza, che verrà poi portata all’ospedale, nel versante francese del Monginevro. Perderò le sue tracce per due giorni. La ritroverà, per fortuna questa volta in buona salute, nel rifugio di Pierre, a Briançon”.
Cosa le è rimasto particolarmente impresso in questo suo viaggio sulle orme dei migranti?
“Innanzitutto la disperazione, poi l’assoluta mancanza di equipaggiamento, l’impreparazione con cui queste persone affrontavano la montagna. Tuttavia mi ha colpito molto anche la solidarietà che si respirava tra loro, l’aiuto che ciascuno dava all’altro nei momenti di difficoltà, quando uno non ce la faceva, quando non si riusciva più ad andare avanti. Mi hanno poi molto colpito i loro racconti delle carceri libiche, racconti di torture e vessazioni di ogni tipo. Un ragazzo mi ha detto:” Di là c’è mio fratello. Sono sopravvissuto al deserto, sono arrivato nelle carceri libiche, ho attraversato il Mediterraneo su un barcone e da qui sono poi risalito verso nord. Lei pensa che mi possano spaventare due metri di neve?”
Il presidente Macron ha più volte criticato la recente politica del governo italiano sulla questione migranti, ma dal suo servizio emerge che anche la Francia respinge i flussi migratori. Cosa ne pensa a questo proposito?
“La scelte di Macron, per quanto riguarda l’immigrazione, sono più severe di quelle del suo predecessore. En Marche, il suo partito, ha portato avanti una politica di grossa severità sul tema dei confini, sia a Bardonecchia che a Ventimiglia. Ai migranti non viene fornito, da parte della polizia, nessun tipo di aiuto, anche se si trovano in grosse difficoltà di salute. Le politiche restrittive sono soprattutto nei riguardi delle associazioni che, nelle zone di confine, aiutano i migranti. Poi, certamente, nel caso più recente della nave Aquarius, quando la politica del nostro governo è stata perentoria nella chiusura dei porti, molti paesi avevano promesso di accogliere una quota di quei migranti. La Francia aveva detto che ne avrebbe presi 50 e così ha fatto, uno dei pochi Paesi ad aver tenuto fede al patto. Da un certo punto di vista quindi Parigi ha un atteggiamento un po’ cerchiobottista: ha un fronte interno di popolazione che non gradisce un’immigrazione di questo tipo e che Macron sa di dover rassicurare. Nello stesso tempo l’aria in Europa è cambiata. Le destre e i partiti anti sistema crescono sempre di più e portano avanti politiche di sempre maggior chiusura sul tema dell’accoglienza. Un bel rebus in vista delle prossime elezioni europee”.
FOTO- AEREISENTIERI