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Incidente Torchiarolo: perché non è possibile in questi casi parlare di ” tragica fatalità”

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La piccola comunità di Torchiarolo si è stretta stamane attorno allo strazio delle tre famiglie che nell’incidente verificatosi sabato sera sulla strada che congiunge la Marina di Lendinuso al paese è costato la vita a 3 giovanissimi suoi cittadini, poco più che ventenni.

Lutto cittadino e scuole chiuse, anche i sindaci dei Comuni limitrofi delle province di Brindisi e Lecce, come giusto, partecipi. Le bare bianche accolte nella chiesa da applausi tanto scoscianti quanto commossi.

Luigi, Sara e Karyna, ragazza di origini ucraine ma da molti dei suoi 21 anni appena in Italia presso una famiglia adottiva, avevano trascorso il pomeriggio a Casalabate, lungo il litorale adriatico. Luigi Perruccio era alla guida di una Porsche 911 di colore bianco, presa in prestito da un amico il quale l’aveva a sua volta noleggiata.

L’auto, come un cavallo imbizzarrito, a un certo punto, pur in un tratto in rettilineo, ha iniziato a zigzagare. Fatali sono risultati la velocità del mezzo e l’inesperienza alla guida di un ragazzo cui, la passione per la le auto veloci, ha giocato uno scherzo terribile.

Mentre sono in corsa tuttora i rilievi della polizia municipale di Torchiarolo e prima che inizino quelle dei periti che saranno incaricati di lavorare su ciò che resta di un mezzo letteralmente incenerito dopo lo scontro con un albero di ulivo, che è stato divelto dalla potenza dell’impatto, occorre sgombrare il campo da un equivoco, pur a costo di sembrare, apparentemente, privi della necessaria pietà umana.

Quando un mezzo viene condotto, fuori da una pista per auto e moto da corsa, a velocità di circa 250 km/h, ma anche senza arrivare a tanto, non è possibile parlare di “tragica fatalità”. Fatalità è un malore alla guida, fatalità è un copertone che scoppia per un sasso, fatalità è un albero che cade su un mezzo in transito. O un cavalcavia che crolla. Purtroppo è successo anche questo.

Fatalità è anche restare vittime dell’imprudenza altrui. Certamente.

Chi invece schiacci tanto il piede sull’acceleratore è responsabile delle conseguenze che ne potrebbero derivare. Per sé e per gli altri. Le strade pubbliche non sono state ideate per provare l’ebbrezza della velocità. Pure quelle più sicure al mondo. Perché ci sono gli altri utenti della strada. O anche perché, semplicemente, non siamo tutti piloti provetti.

Altrimenti da queste tragedie continueremo a non imparare nulla. E alla prossima saremo punto e a capo. E’ quello che ha detto oggi, in fondo, Monsignor Michele Seccia, vescovo della diocesi di Lecce, nella sua omelia: “Mi rivolgo soprattutto ai giovani appena patentati che si possono lanciare in imprudenze: pensateci non una, ma 10 volte, 100 volte prima, per non stare a piangere dopo, come oggi. Se questi episodi non diventano lezione di vita, non servono a niente“.

Al termine del funerale, uno dei due fratelli di Sara ha voluto scaricare violentemente la sua rabbia nei confronti dei familiari di Luigi, proferendo parole che ne testimoniavano l’enorme dolore.

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