Se le statistiche arrivano a dirci quando nascerà l’ultimo italiano…
La questione della denatalità nel nostro Paese è oggettivamente spaventosa. Quali che siano le cause fa impressione pensare che, restando agli anni 2000, nel 2008, siano nati 577 mila bambini e che da allora sia stata intrapresa una china tale da fare registrare ben quindici annate consecutive di dati numerici in contrazione, sino a giungere ai 379 mila nati nel 2023: quasi 200 mila in meno. Erano stati 392 mila nel 2022. Ne nascevano un milione nel 1964, dagli anni ’80 è iniziata invece una drastica diminuzione.
Qualche tempo fa fu addirittura il magnate Elon Musk, uno degli uomini più ricchi del pianeta e proprietario di X, a porre la questione della possibile scomparsa della stirpe italica dalla faccia della Terra con un suo post. Dell’argomento Musk ha poi discusso più recentemente in un incontro personale con il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il cui governo ha fatto della lotta alla denatalità uno dei principali, se non il principale, cavallo di battaglia. Ancora con pochi risultati.
La notizia inquietante è che un’associazione di ginecologi ha stimato che, di questo passo, nel 2225, fra due secoli, nascerà l’ultimo bambino italiano: un’idea che ci rattrista e mortifica immensamente, che ci fa sentire non solo impotenti ma che ci sgomenta perché ci fa avvertire, enormemente maggiorata, la sensazione di precarietà e di limitatezza connaturata alla natura della vita umana a livello individuale.
Venendo alla Puglia, nel 2023 sono nati 25.600 bambini, il che equivale a 6 nati ogni 1000 residenti a fronte di 11 decessi. Questo dato, unito al fenomeno dell’emigrazione delle fasce giovanili della popolazione, spiega il complessivo calo demografico cui la nostra regione è sottoposta, dato del resto comune a tutte le regioni del Mezzogiorno. Infatti, pur in presenza dell’identico problema della denatalità, la popolazione nelle regioni del centro Italia è pressoché invariabile mentre in quelle del nord registra anche un aumento.
E se la popolazione italiana nel complesso resta pressoché stabile, poco al di sotto dei 60 milioni di abitanti, cioè è dovuto all’arrivo degli immigrati. Ad ogni modo, statistiche sulla natalità alla mano, l’Istat stima che nel 2050 in Italia più di un abitante su tre, il 34,3%, sarà anziano, con ricadute catastrofiche sulla sostenibilità del sistema pensionistico. In Puglia l’età media è di 46,3 anni e per ogni minore di 14 anni vi sono mediamente due ultrasessantacinquenni.
La denatalità che affligge la realtà del Belpaese va analizzata alla luce del fatto che il tasso di sostituzione stimato dagli esperti di demografia per mantenere invariata la popolazione in un dato Paese è pari circa a 2: il che significa che ogni donna dovrebbe mediamente partorire due figli a testa per sostituire le persone che muoiono. In Italia siamo attualmente alla cifra di 1,2 figli mediamente messi al mondo per ogni donna in età fertile, esattamente il dato su cui si assesta la Puglia, perché poi vi sono gli estremi: si va dall’1,42 figli per donna del Trentino Alto-Adige, che registra la prestazione più elevata, all’assai modesto 0,91 registrato in Sardegna. Le due regioni più piccole del Meridione, Molise e Basilicata, sono attestate poco sopra l’1, al terzultimo e penultimo posto della graduatoria, a dimostrazione di come il problema, ancora di più al sud, sia quello del classico cane che si morde la coda: se vanno via i giovani, per questioni legate alla mancanza di lavoro, chi li deve fare i figli?
Allo spopolamento delle regioni meridionali non può che fare seguito un ulteriore e drammatico calo della natalità.