Al Cine Teatro Guerrieri lo spettacolo di Andrea Scanzi, omaggio a Giorgio Gaber

Al Cine Teatro Guerrieri lo spettacolo di Andrea Scanzi, omaggio a Giorgio Gaber Il Cine Teatro “Gerardo Guerrieri” in piazza Vittorio Veneto in Matera, ha aperto le porte al quarto appuntamento della rassegna “Guerrieri in scena 2024”, ideato e diretto da Euphorica – Apulia Event Creator e Cine Teatro “Gerardo Guerrieri”, con la direzione artistica di Angelo Calculli e Donato Cosmo ad Andrea Scanzi, in collaborazione con Banca Popolare di Puglia e Basilicata (Bppb) e Frascella Emanuele Srl di Matera. Radionorba media partner del cartellone di spettacoli “Guerrieri in scena”.
Il quarto appuntamento della rassegna, mantiene la filosofia dei primi appuntamenti: ospiti di grande levatura artistica, programmi nuovi e sempre interessanti, crossover tra arti e generi, il tutto nella splendida ed accogliente Capitale della Cultura 2019, calda e tipica del Cine Teatro Guerrieri.
Giovedì 07 marzo alle ore 20:30 è andato in scena con uno spettacolo teatral/musicale unico, Andrea Scanzi con “E pensare che c’era Giorgio Gaber”.
Lo spettacolo ideato dal giornalista e scrittore Andrea Scanzi, gaberiano DOC, ha visto raccontare il Gaber teatrale, l’uomo che ha abbandonato la popolarità televisiva, ed entrare con Sandro Luporini nella storia.
Un uomo con un approccio e approdo nuovo, inaspettato che, non ha mai smesso di mettersi in gioco alla costante ricerca di nuove prospettive artistiche.
Molti artisti hanno segnato le epoche, interpretandone le istanze più profonde, altri ancora si sono limitati a seguire le mode, ma Giorgio Gaber no, non era nulla di tutto ciò.
La sua carriera iniziò nella seconda metà del XX secolo, quando nelle piazze italiane si faceva strada la coscienza collettiva, animata dal desiderio di cambiare il mondo. Per oltre trent’anni i suoi spettacoli incarnarono inquietudini e fragilità dell’essere umano moderno, in cerca di una nuova identità. Ai bagliori dello schermo televisivo, il “Signor G” preferì il palcoscenico, dove le idee divennero musica e diedero vita al teatro-canzone, genere rivoluzionario per forma e intensità.

Il Signor G scavò a fondo nell’animo dell’uomo contemporaneo, teso tra il bisogno d’identificarsi in qualcosa e la paura di essere un «non so».
Artista geniale e unico, è stato chitarrista, cantautore, conduttore televisivo ma dagli anni Settanta soprattutto autore e attore teatrale, precursore assoluto del “teatro canzone” di cui è stato uno dei massimi esponenti.
Il Gaber era un uomo forte, geniale, e insieme a Luporini sono stati stati profetici almeno quanto Pasolini. In ogni loro canzone e monologo si trovano elementi di lucidità, profezia e forza.
Una presenza scenica senza eguali, mimica, lucidità profetica, gusto anarcoide per la provocazione, il coraggio di “buttare lì qualcosa” e l’avere anticipato i tempi, fanno del pensiero di Gaber-Luporini, oggi più che mai, un attualissimo riferimento per personaggi della politica, dello spettacolo, della cultura, del nostro sociale quotidiano.
E pensare che c’era Giorgio Gaber di Andrea Scanzi, è uno spettacolo per non dimenticare un artista eccezionale, un artista che raccontò inquietudini e contraddizioni della società contemporanea, tra disillusione e desiderio di cambiare il mondo.

Un atto d’amore verso un artista intransigente, che ha insegnato l’intransigenza a Scanzi.
Andrea Scanzi ha visto Giorgio Gaber nel ’91 a Fiesole, all’età di diciassette anni e da quel momento, fu amore a prima vista e timore che la memoria del grande Gaber potesse perdersi.
Il nome di Gaber lo conoscono tutti, ma pochi lo conoscono realmente, ai più è conosciuto in maniera superficiale.
Giorgio Gaber era un treno ad alta velocità secondo Scanzi, un treno che l’ha investito totalmente facendogli cambiare il modus pensandi: “No, qui sembra bene, però forse anche un po’ male”, e metti in discussione tutto. Ciò che Gaber ha fatto per 30 anni a teatro.
Scanzi ama gli intellettuali non organici, gli intellettuali alla Pasolini, alla Gaber, quelli che davano dei cazzotti in faccia tremendi, che a volte detestavi, che erano a volte insopportabili, però quando li avevi letti, quando li avevi visti, ne uscivi arricchito, perché ti stimolavano il cervello, ed il pensiero.
La simbologia profetica del cantautore milanese Giorgio Gaber, insegna come i tratti caratteristici della politica di un tempo siano diventati luoghi comuni senza alcun significato. Molti episodi rappresentano i tratti rivelatori di antiche vestigia politiche che tornano a galla, anche se a quei tempi la situazione del belpaese era diversa, e l’aria che si respirava nei palazzi del potere era quella del cambiamento, ancora intenta a spazzare le macerie dello scandalo di Tangentopoli, e i partiti di centrosinistra erano i grandi sconfitti di questa battaglia.
Gaber chiuse il sipario sull’impegno politico e rivolse lo sguardo al mondo interiore, lasciando spazio a sentimenti e riflessioni. Raccontò la difficoltà di amare e rimanere «interi» in una relazione a due, la fatica di trovare un equilibrio quotidiano, la «illogica allegria» di chi scopre di star bene, e quasi ne prova vergogna.

Nel 2001, dopo trent’anni di latitanza televisiva, era tornato sul piccolo schermo di fronte a 13 milioni di persone. Sul viso aveva già i segni della malattia che due anni più tardi lo portò via con sé.
Giorgio Gaber morì nella sua casa toscana il primo giorno del 2003 all’età di 63 anni, dopo una lunga malattia. Sepolto nel Famedio del Cimitero monumentale di Milano, lasciò un repertorio di oltre cento canzoni, dieci delle quali vennero pubblicate nell’album Io non mi sento italiano a tre mesi dalla sua scomparsa.
Il Signor G se ne andò in punta di piedi, con la speranza che «in un futuro non lontano al centro della vita, ci sia di nuovo l’uomo».
Lasciava così il suo pubblico orfano di un mastodontico riferimento del Teatro-Canzone e di una penna intelligente, critica, in grado di passare agilmente da temi leggeri a testi fortemente impegnati e socialmente importanti.
Andrea Scanzi ha voluto ricordarlo così, con un monologo di quasi due ore con la direzione artistica di Simone Rota.
Giorgio Gaber: “Non so se è fratellanza o scienza, istinto naturale o amore, il sociale è una nozione delle più confuse che per ragioni misteriose abbiamo il dovere di salvare.”