Brindisi tra i dilemmi energetici: il futuro sostenibile in bilico tra lavoro, ambiente e decisioni cruciali
La città di Brindisi vive attualmente l’ennesimo dilemma nel quale la questione degli insediamenti energetici si lega indissolubilmente a quella ambientale e a quella occupazionale, a dimostrazione del fatto che questo pezzo del territorio nord salentino, similmente al capoluogo jonico, non può fare a meno della più scomoda fra le opzioni produttive fra quelle che creano lavoro per la sua popolazione. O, almeno, di interrogarsi su di essa, sulla sua sostenibilità a lungo termine, sul rapporto fra costi e benefici.
Il dilemma ha al momento le sembianze di un mostro a due teste: la prima, da decenni realtà concreta e visibile a chiunque percorra anche solo di passaggio la superstrada che conduce a Lecce, è la centrale Enel di Cerano, che inquietante si staglia con la sua alta ciminiera sul paesaggio del litorale a sud del capoluogo adriatico. La seconda, per il momento dai caratteri puramente evanescenti, è costituita dalla possibilità che il porto della città ospiti un deposito Edison di GNL (sigla che sta per Gas Naturale Liquefatto). Tale deposito aveva ottenuto, in data 22/8/2022, un’autorizzazione sia da parte del Ministero dell’Ambiente sia da quello delle Infrastrutture. Come noto, nel frattempo il governo guidato da Giorgia Meloni ha avvicendato quello da Mario Draghi ma, a detta del sottosegretario al Ministero dell’Impresa Fausta Bergamotto, che pochi giorni fa ha risposto ad un’interpellanza urgenze presentata sulla questione dal Movimento 5 Stelle, non esistono “i fondamenti per una revoca in autotutela”.
Tale opera è stata presentata alla comunità brindisina mettendo sul piatto della bilancia l’ allettante prospettiva incentrata sulla creazione, nei 18 mesi necessari alla costruzione dell’opera, di oltre mille posti di lavoro in otto settori industriali. Tale piattaforma consentirebbe inoltre a Brindisi di diventare un polo di maggiore attrazione per le navi ed il turismo da crociera, molte delle quali si stanno orientando per questo tipo di propellente per il rifornimento dei propri motori, poi di rifornire, direttamente e più facilmente, le stazioni di servizio della zona.
Dal canto loro, le associazioni ambientaliste della zona hanno avuto ben donde nel replicare che, a regime, il numero di occupati che l’impianto garantirebbe sarebbe di poche decine di unità ma anche come, soprattutto, Edison abbia progettato per l’insediamento di Brindisi, furbescamente, un deposito della capienza appena inferiore ai 20 mila metri cubi. In questo modo esso non deve sottostare alla procedura della VIA, la Valutazione d’Impatto Ambientale, per mezzo della quale un analogo progetto ideato per il porto di Napoli è stato bocciato.
Il Comune di Brindisi aveva dal canto suo approvato, un mese fa, una mozione che univa compatte maggioranze ed opposizioni nel chiedere al ministero competente il “riesame dell’autorizzazione ministeriale n.17487 del 22 agosto 2022”. Come si è scritto in precedenza, il governo non pare al momento essere disposto ad ascoltare la richiesta. La questione rimane al momento del tutto sospesa.
L’altra vertenza ambientale-occupazionale è in realtà ben più drammatica, poiché storicizzata, apportatrice come è stata di un carico enorme di danni al territorio e alla salute dei cittadini residenti nei comuni della zona (Brindisi ma anche San Pietro V.co, Torchiarolo e Squinzano, i dati epidemiologici presentati più volte negli scorsi anni sono al riguardo assai inquietanti) non solo di altrettanto indubbie possibilità di occupazione, come certamente è stato, per i lavoratori della centrale ENEL e per tutte le aziende dell’indotto.
La questione è presto detta: entro il 2025 la centrale a carbone andrà dismessa. ENEL, azienda partecipata dallo Stato ma che di fatto risponde da tempo, purtroppo, a logiche strettamente privatistiche, ha presentato nel corso di una riunione tenutasi in Regione Puglia questa settimana, alla presenza di tutti gli attori coinvolti nella vicenda (Governo, Regione, sindacati, Confindustria, Comune di Brindisi) un piano che al momento prevede la realizzazione di due impianti fotovoltaici, di un parco eolico e di un sistema di accumulo a batterie “Bess”. Tale riutilizzo dell’enorme superficie occupata dalla centrale e dai terreni limitrofi, per un ammontare complessivo di migliaia di ettari, non potrebbe avere infatti alternative di carattere agricolo, considerato il grave stato di contaminazione dell’area.
Questa prospettiva, si è limitato a dire l’amministratore delegato Flavio Cattaneo, garantirebbe la continuità occupazionale dei quasi 300 lavoratori dell’azienda. Ve ne sono tuttavia più del doppio, occupati nell’indotto della centrale, per i quali non vi è al momento alcun progetto sicuro per il dopo 2025. Le parti sociali coinvolte, gli enti locali, definendosi deluse dalle conclusioni dell’incontro in Regione, hanno chiesto urgentemente ad ENEL di proporre solide alternative produttive per l’impianto, come la riconversione dello stesso a turbo-gas o a metano, combustibili fossili ma meno inquinanti del carbone col quale è sempre funzionata Cerano o, in alternativa, la costruzione di un dissalatore.
Il sindaco di Brindisi, Giuseppe Marchionna, a nome dell’intero consiglio comunale, ha diversamente paventato l’intenzione di sequestrare l’intera area, al fine di bonificarla e di dismettere direttamente l’insediamento industriale.
In conclusione, le vicende industriali di Brindisi, così come quella di Taranto, sembrano dimostrare l’inefficacia strategica dell’uscita dello Stato dai più importanti settori produttivi seguita alla stagione delle grandi privatizzazioni degli anni ’90. Se la scelta di destinare
molti decenni fa questi territori a siti industriali a gravissimo impatto negativo sulla salute collettiva, può e certamente deve essere oggetto di un’analisi critica, allo stesso tempo il venir meno dell’intervento pubblico adesso non offre la possibilità di ripensare quegli enormi insediamenti industriali, che si tratti dell’acciaieria, della chimica o di un sito di produzione di corrente elettrica, in un’ottica volta certamente alla maggiore sostenibilità ambientale ma anche alla salvaguardia di tutti i posti di lavoro.
Il rapporto SVIMEZ, pubblicato come sempre a conclusione dell’anno, offre scenari catastrofici sulle prospettive di tutto il Meridione, a partire da quelle demografiche, che sono la base di qualsiasi percorso di crescita e di sviluppo di un territorio. Esso richiederebbe di andare in direzione ostinata e contraria a quella intrapresa, non di assecondarla.