Antonio Marra: l’archeologia nella sua espressione brindisina
di Daniela Zonile
Intervista a cura di Daniela Zonile
Photo by Daniela Zonile dipartimento dei Beni Culturali, Università del Salento (LE)
Si può identificare un momento specifico della sua vita durante il quale l’archeologia l’ha conquistata?
Difficile dirlo, da bambino, in maniera molto naturale, ero attratto da questi argomenti senza apparentemente una reale ragione. Ricordo però chiaramente che, guardando su di un libro una foto dell’isola di Pasqua, rimasi colpito dalla didascalia dell’immagine dei moai che recitava: “Gli inesplicabili moai dell’isola di Pasqua”, la parola inesplicabili mi colpì particolarmente facendomi fantasticare sul mistero di queste enigmatiche statue. Questo credo sia uno dei tanti momenti che mi ha portato a divenire, nel tempo, un archeologo.
Quando si parla di archeologia e archeologi si pensa subito ad Indiana Jones, esiste davvero una correlazione tra questo personaggio di fantasia e la vita sul campo di uno studioso come lei?
Photo by Disney
Direi proprio di no, l’associazione tra Indiana Jones e l’archeologia è quanto di più lontano dalla realtà si possa immaginare. Molti miei colleghi affermano che un certo ruolo il personaggio di Harrison Ford lo abbia avuto nella scelta della loro formazione in questo campo, ma quello che poi si affronta durante uno scavo è molto diverso dalla fantasia cinematografica.
Parlando degli scavi archeologici che ha nominato prima, cosa affronta davvero un archeologo che lavora sul campo?
Photo by Daniela Zonile sito archeologico de Li Schiavoni (Nardò-LE)
Innanzitutto deve fare i conti con il tempo meteorologico, gli scavi all’aperto si svolgono principalmente nei periodi più caldi per garantire l’assenza di piogge, quindi bisogna avere una buona resistenza alle alte temperature estive. Se dovesse arrivare una pioggia improvvisa, si deve essere a conoscenza di come coprire e proteggere l’area di scavo. Anche nel caso in cui non siano riemerse evidenze antiche, il saggio archeologico va preservato. Durante gli scavi entra in gioco anche il tempo pratico di recupero dei reperti ed anche questo è un aspetto fondamentale. Un volta riemersa un’evidenza archeologica si deve valutarne le modalità e le tempistiche per il recupero e il trasporto nei laboratori di archeologia. In generale un reperto che riaffiora dal terreno non può essere lasciato nell’area di scavo per la sicurezza del reperto stesso.
Quali sono effettivamente i reperti che un archeologo riporta alla luce?
La tipologia di reperti che si possono rinvenire su uno scavo è davvero ampia, le grandi strutture antiche e le sepolture sono quelle più conosciute, ma spesso ci si imbatte in aree che erano destinate all’accensione dei fuochi e alla cottura dei cibi. Si trovano resti di piastre da focolare, ceneri, carboni, resti ossei animali che possono essere residui di pasto e sono quindi testimonianza di attività di cucina o di aggregazione sociale. Ovviamente si trovano soventi antichi contenitori che normalmente possiamo ammirare nei musei. Questi sono solo alcuni esempi, l’archeologia anno dopo anno, si differenzia sempre di più e la tipologia di reperti include la ricerca e lo studio sui semi e le colture antiche, ma anche i metalli e la metallurgia e tutti gli oggetti di uso quotidiano che ogni individuo poteva utizzare.
Come si rapporta un archeologo con il proprio territorio e la storia della sua città?
Io vivo in una città, Brindisi, che ha una storia millenaria. L’insediamento organizzato più antico con una cultura materiale originale e non derivata da altre culture è la c.d. facies di punta le terrare dell’età del Bronzo, che, successivamente, diventa messapica per divenire poi colonia latina sotto Roma. Questi sono solo tre dei momenti più importanti della storia brindisina e le scoperte archeologiche, casuali o meno, hanno restituito tante evidenze di questa storia così antica. Purtroppo come accade spesso, è difficile poter svolgere delle indagini sistematiche in quanto la città non è mai stata abbandonata come i siti di Muro Maurizio o muro Tenente, sempre nel brindisino, ma ha una continuità di vita che ha visto il sovrapporsi di tante strutture una sopra l’altra che, per indagare il passato, si dovrebbe radere al suolo quasi l’intera città.
Per quanto riguarda i vasi antichi che vediamo nei musei, esattamente a cosa servivano?
Photo by Daniela Zonile ass.culturale Le Colonne Brindisi
La maggior parte dei reperti di questo tipo vengono rinvenuti nelle sepolture o nei resti delle abitazioni antiche. Molti vasi erano destinati a contenere liquidi come acqua, vino e oli profumati per la cura del corpo. Esiste una intera tipologia di contenitori che possiamo chiamare “il servizio da simposio”. Nell’antica Grecia, dopo cena, gli uomini si riunivano per svolgere il simposio durante il quale si intavolano dsicussioni su vari argomenti, si svolgevano attività ludiche e si beveva vino. I contenitori ceramici contenevano appunto vino e acqua che venivano mischiati insieme e consumati durante la serata. Il Cratere è uno di questi vasi, era di grandi dimensioni e conteneva il vino. Uno dei più famosi crateri è conservato a Brindisi nella palazzina del Belvedere, il vaso è stato realizzato dal c.d. pittore di Tarprlay e ne parla persino l’università di Oxford in uno dei suoi volumi.
Dalle risposte a queste domande è facile intuire che il mondo dell’archeologia è vasto e variegato, è possibile ipotizzare il futuro di questa disciplina e di chi se ne occupa in maniera professionale?
A mio parere è quasi impossibile tracciare l’evoluzione dell’archeologia nel futuro, è una disciplina che si arricchisce sempre più, si aggiungono ogni giorno nuove modalità di interpretazione dei reperti, nuove tecnologie che supportano le nuove scoperte e nuove idee. L’informatica, la fisica e la chimica, strumenti moderni per gli scavi ecc., portano alla formazione di archeologi sempre più formati e specializzati.
Photo by Daniela Zonile ℅ ass.culturale Le Colonne Brindisi
Vede la possibilità, nel prossimo futuro di partecipare ad una campagna di scavi archeologici? Se sì dove? E in che veste?
Prossimamente scaverò al sito Li Schiavoni (Nardò -LE) come archeologo collaboratore della direttrice dello scavo la prof.Giovanna Cera.
Vede un futuro economicamente florido per i giovani che si approcciano a questa carriera?
Ci sono pochi investimenti in campo archeologico e spesso sono rivolti a situazioni di nota fama, i contesti locali piccoli ma di grandi potenzialità non vengono ben valorizzati economicamente. Qualora ciò avvenisse, la situazione sicuramente potrebbe cambiare in maniera più agevole con l’acquisto di un numero maggiore di attrezzature specifiche e l’assunzione di personale specializzato.