IL DONO PIù BELLO
IL DONO PIÙ BELLO …
Durante una recente diretta tv con PugliaPress, dove era ospite il Dottor Cacciapaglia, primario del reparto di anestesia e rianimazione del Santissima Annunziata di Taranto, ad una mia domanda sui progressi nelle Terapie, da mettere in atto nel periodo Covid, mi rispose candidamente, con mio grande stupore, che non ne erano stati fatti rispetto al marzo di quest’anno.Ho preferito, vista la delicatezza dell’argomento, contattarlo direttamente telefonicamente e gli ho posto alcune domande.
Ciao Cacciapaglia, ho seguito il tuo intervento su diretta tv di PugliaPress,dove su una mia precisa domanda sullo stato dell’arte della terapia da impiegare nel covid, sostenesti che non c’erano state modificazioni . Sapresti dirmi qualcosa in merito?
Certo, ti dissi così perché in effetti cure nuove non ce ne sono, anzi a marzo, impiegammo anche altri farmaci che adesso, vista l’inutilità non impieghiamo più.Mi riferisco all’idrossiclorochina(plaquenil) ed al tolicizumab, per inciso due farmaci che si impiegano nell’artrite reumatoide, che contribuiscono a smorzare l’infiammazione polmonare e multi organo.Neanche i farmaci antivirali, impiegati per la cura dell’HIV hanno avuto alcun effetto. Una menzione a parte, credo debba essere riservata agli anticorpi monoclonali, prodotti in laboratorio (Regeneron), ovvero copie conformi di anticorpi di pazienti che hanno sviluppato anticorpi , dopo aver avuto il Covid. IO :Per inciso, Tump è stato curato con questo farmaco, associato allo zinco, alla vitamina D ed il Remdesivir, un antivirale. Il vero problema è che sembra che la cura del celebre e potente Presidente Americano sia costata un milione di dollari! Vero, ma è l’unico farmaco che sembra dare qualche risultato, anche se deve essere impiegato nelle prime ore di contagio. Cure off-label, farmaci registrati per precise patologie, ma che vengono utilizzati empiricamente per curare altre patologie non specifiche, e vaccini, sono stati impiegati con alterne fortune, in altri nosocomi. Ma quello che volevo esaminare con te è l’impiego del PLASMA IPERIMMUNE per il trattamento del Covid.
Ti ringrazio veramente per avermi fatto questa domanda che mi permette di rispondere a tanti pazienti che me lo chiedono e soprattutto ai parenti che spesso me lo invocano.Il plasma iperimmune, serve, ed è stato approvato, soprattutto nelle prime ore dell’infezione, quando ancora , non siano presenti le manifestazioni respiratorie importanti.Questa dovrebbe essere una cura da iniziare a casa con assistenza domiciliare, ma personalmente , quando noi vediamo i pazienti , sono già in stato avanzato della malattia.. Lo abbiamo usato anche nella malattia conclamata senza grossi risultati.E’ bene sgombrare la mente dei pazienti e parenti sul fatto che sbagliamo o non facciamo la terapia idonea. In Italia c’è un protocollo che tutti i reparti di Rianimazione seguono alla lettera.
Grazie Cacciapaglia, sei stato chiarissimo per quello che hai detto sul protocollo utilizzato e che va a sgombrare la mente mia e credo e spero, anche quella dei lettori. Alla prossima, in quanto credo che ci sarà !
Grazie a te per questa utile conversazione fra colleghi.
Il plasma iperimmune fu usato all’inizio dell’epidemia, in Italia, come trattamento di urgenza (o compassionevole) negli ospedali napoletani e al San Matteo di Pavia. I medici più anziani avevano ripreso questa terapia da impieghi precedenti, realizzati fin dagli inizi del ‘900. Inoltre i Cinesi l’avevano già usata in occasione di questa pandemia. Il plasma è la parte liquida del sangue (lo costituisce per il 55%), separata dalla parte corpuscolare, rappresentata da globuli rossi, bianchi e piastrine. Di colore bianco chiaro, è composto per circa il 91% di acqua. L’impiego razionale di questo preparato è facilmente intuibile: una volta ricavato il plasma da anticorpi maturati in pazienti che hanno avuto il Covid e che quindi hanno sviluppato anticorpi specifici, si valuta la carica di anticorpi neutralizzanti (è la cosiddetta “titolazione”). Si trasferiscono, quindi, anticorpi specifici di pazienti guariti a quelli con infezione in corso. Si tratta di immunoglobuline prodotte dai linfociti B, che si legano all’agente patogeno, neutralizzandolo: si parla, in questo caso, di “immunizzazione passiva”, per distinguerla da quella attiva, che avviene attraverso la somministrazione del vaccino, in grado di indurre la produzione attiva, da parte dell’organismo, di anticorpi. Come già accennato, questa terapia era già stata impiegata in passato contro altri agenti patogeni. Venne usata, ad esempio, nel corso dell’epidemia di Spagnola del 1918 e venne impiegata nel corso degli anni, sempre come terapia compassionevole, contro epatite B, tetano, rabbia, varicella , ebola (la prima SARS) e influenza complicata. A titolo di cronaca, è stata impiegata anche per ustionati, traumatizzati e anche per cure contro il cancro. Diverse equipe mediche di diverse nazioni, l’hanno usata con risultati alterni, senza però valutarne (solo al 56%) la titolazione (carica anticorpale), di cui prima si diceva. Hanno così capito, dunque, come una bassa carica anticorpale non potesse aver alcun effetto nel debellare il virus, ma comunque ne hanno dedotto almeno che non aveva effetti collaterali importanti. Menichetti, docente di malattie infettive dell’Università di PISA, coordinatore dello studio “tsunami “, che ha l’obiettivo di testare l’efficacia del plasma iperimmune, sta ottenendo buone certezze e quindi speranze, smentendo uno studio di medici indiani che non ne rilevavano alcuna efficacia. Sono tutte rose e fiori? No, come sempre nella vita c’è il rovescio della medaglia. Ci vogliono, infatti, in genere, due donatori per formare un plasma da iniettare ad un paziente. Bisogna inoltre fare attenzione ai gruppi sanguigni, proprio come in una trasfusione, con tutti gli effetti collaterali di una trasfusione. Come, però, in stati di anemia importanti, senza pensarci due volte noi medici trasfondiamo il sangue, così, senza pensarci due volte, in pazienti che si avviano verso un aggravamento veloce, bisognerebbe richiederlo a “gran voce”. Credo che una buona parte dei decessi di questa pandemia sia conseguita al mancato progresso della terapia, come indicatomi anche dal collega rianimatore Cacciapaglia: questa è impostata ancora ai cortisonici, alla azitromicina (antibiotico), alla vitamina D (qualche volta), all’antitrombotico, come eparine a basso peso molecolare, all’ossigeno in maschera o forzato (intubazione) . A mio parere, senza tema di smentita, non si è voluto osare con il plasma che, senza bisogno di convalide, per le tante esperienze precedenti e per la sua base scientifica, se somministrato nelle fasi iniziali di malattia a rapida evoluzione, nei soggetti compromessi o a rischio, non potrebbe fare altro che ridurre i sintomi in maniera significativa. In Puglia si calcolano circa 79.000 donazioni all’anno di sangue, con 59.000 soci iscritti all’AVIS. I Pugliesi che hanno avuto il Covid, e che quindi hanno sviluppato un titolo anticorpale valido, saranno disponibili ad andare a donare? Credo che, mai come in questa occasione, sia importante donare, perché, a mio avviso, si tratta di salvare le vite di genitori e parenti, soprattutto anziani, che dopo una vita di lavoro e sacrifici non possono essere scaricati dalla società, perché non più produttivi. Lo spettacolo di tutte quelle bare sui camion militari deve restare impresso più che mai nelle memorie, nelle coscienze. Per cui Italiani, ma soprattutto Pugliesi e Tarentini, già immuni, donate i vostri anticorpi, è la Patria che lo vuole, proprio come in stato di guerra! Quale dono più bello ci potrebbe essere, poi, in questo periodo Natalizio, che donare una parte di se stessi per gli altri?
Taranto, 19/12/2020 Dr. Giuseppe Varlaro