Covid o non Covid non facciamo morire la gente anche per altro
24 settembre 2020: ho appena accompagnato Gaia a scuola per il primo giorno dell’ultimo anno di scuola (superiore). Mi chiamano al cell per dirmi che il sindaco di Sava, l’amico e collega Dario con il quale appena dieci giorni prima avevamo accolto Raffaele Fitto a Martina nel fouayer del teatro verdi, è stato ricoverato al Perrini. Non sta affatto bene. Passa qualche giorno e chiedo notizie di Dario a un dirigente medico del Moscati. Mi tranquillizza dicendomi che il peggio è passato. – “Com’è la situazione, dottore?” – gli domando – e lui non usa mezzi termini: “un errore riaprire le scuole, le richiuderanno entro un mese perché il contagio avanza e in ospedale siamo già pieni”.
Non sono mai stato il tipo da farsi i fatti suoi. Non perché voglia ficcare il naso in cose che non mi riguardano. Ma piuttosto perché la condivisione di informazioni, prese da fonti attendibili, è essa stessa una forma di solidarismo, che è l’opposto di avidità ed egoismo.
Anche questo è, a mio modo, un “voltare pagina” per avere un atteggiamento nuovo che abbia come orizzonte i diritti di tutti e non solo il mio diritto a tenere aperta la scuola di mio figlio, pretendere lo struscio libero o la colazione al bar e pure la partita di calcetto.
“Na sera ‘e maggio” avevo detto…NO al Direttore di PugliaPress, Antonio Rubino, il quale mi aveva chiesto di condividere in diretta web con lui le notizie COVID: era già in corso la campagna elettorale per le elezioni regionali in Puglia rinviate per il lockdown e qualsiasi cosa avessi detto in quel momento sarebbe risultata “di parte”.
Io e PugliaPress ci siamo ritrovati a ottobre, senza manco esserci dati appuntamento, perché i dati e i numeri dell’inizio della “seconda ondata” cozzavano contro la sottovalutazione del pericolo, i comportamenti inadeguati, la scarsa attenzione verso i moniti degli esperti: gli studenti ammassati sui bus, gli assembramenti all’ingresso e all’uscita dalle scuole con il primo nuovo focolaio nella Rsa della capitale dei trulli hanno fatto il resto, convincendo me e il Direttore a “comunicare” in diretta web l’allarme per richiamare cittadini e, soprattutto, istituzioni a fermare il “ballo”.
Sono certo che il Primo Direttore, Paolo Aquaro, avrebbe detto Sì, benedicendo questa scelta, di certo correggendo la spigolosità e la vena a volte troppo polemica del mio “comunicare”. Il fatto è che la QUESTIONE-SALUTE non è questione privata ma è questione pubblica di fronte alla quale non ci si può voltare dall’altra parte, tacendosi e facendo finta di non vedere nè sentire. Di più: la questione-salute è la madre di tutte le questioni e deve indirizzare tutte le decisioni politiche non solo in materia sanitaria, ma anche nelle materie sociali, economiche, ambientali e del lavoro. E anche nella materia dell’istruzione e della scuola, perché la didattica del futuro è quella digitale e non è vero che la scuola a distanza non funziona.
Ciò che davvero non funziona è l’assistenza sanitaria nonostante siano passati più di nove mesi dal 26 febbraio 2020 quando da Codogno tornò in Puglia il primo paziente positivo.
Si ha come l’impressione che da allora non sia cambiato nulla per i pugliesi: i medici di base e i pediatri non vengono ancora messi in condizione di prestare le cure primarie, mancano i Covid-hotel che devono servire a evitare i contagi tra famigliari, le cure domiciliari sono insufficienti e i pazienti covid-positivi continuano a morire in casa. Mancano i reagenti per analizzare i tamponi, restano introvabili i dispositivi di protezione, è fallita la sorveglianza dei contagi sul territorio: insomma, i cittadini si sentono abbandonati, le corsie degli ospedali sono ingolfate e i sindaci non contano più nulla. E ancora: 1 paziente ricoverato su 3 potrebbe essere seguito a casa se ci fosse la telemedicina, ma in Italia non è manco inserita nei Livelli Essenziali di Assistenza se è vero, come è vero, che anche per una terapia domiciliare si è costretti ad acquistare un tablet con software dedicati del costo di migliaia di euro.
Da ieri in Puglia è di nuovo scattato l’alert per il rischio di una troppo elevata occupazione dei posti letto nelle aree mediche e nelle terapie intensive da parte di pazienti Covid. “La situazione epidemiologica si aggrava ogni giorno progressivamente, con impatto ormai senza precedenti sulla tenuta del sistema sanitario” ha detto ieri il Governatore Emiliano, aggiungendo che “bisogna assumere per tre anni medici, infermieri e operatori socio-sanitari (…) e porre in essere azioni finalizzate alla erogazione di prestazioni sanitarie non covid”
Ecco, appunto: perché non c’è soltanto l’emergenza Covid, ma anche l’urgenza di non interrompere le altre prestazioni altrettanto essenziali, soprattutto in favore dei malati oncologici. Per spiegare la confusione dell’organizzazione dei servizi territoriali in Puglia prendiamo come esempio la città di Martina Franca dove l’ambulatorio che garantiva le terapie oncologiche è stato chiuso dal direttore generale della ASL Taranto per far posto ad un reparto covid. Nella serata di ieri, giovedì, sulla questione è intervenuto proprio Emiliano che ha smentito il “suo” direttore generale dicendo che “l’ospedale di Martina non è adatto al covid”. Un corto circuito a totale danno dei pazienti. Tutti: covid e non covid, tra cui anche i pazienti con diabete, malattie cardiovascolari, problemi di ipertensione.
Questo, oltre l’elevatissimo numero dei decessi (oltre 200 negli ultimi cinque giorni, come denunciato da Raffaele Fitto), dà l’idea di come la Puglia sta affrontando l’emergenza.
In questo contesto, vale la regola che ho imparato a mie spese: chi può permettersi di pagare se la cava. Perché anche la pandemia, come l’assistenza sanitaria, non è uguale per tutti. Per questo ho deciso di sostenere la battaglia per la sanità di Renato Perrini, consigliere regionale che va denunciando da oltre 5 anni questo sfacelo, anche a costo della sua stessa salute visto che ormai “vive” nei reparti degli ospedali della provincia jonica. Ad maiora, semper
Paolo D’Arcangelo