Lecce- Rapito, stuprato e ucciso dall’orco a soli 3 anni. La storia dimenticata di Daniele Gravili.
Il tempo smorza gli animi, disperde il coraggio e a volte diventa macabro complice della crudeltà più efferata. Il tempo ha seppellito bene anche, nella calda terra del sud come nella memoria dei più, la storia di Daniele Gravili; destinata invece a diventare per la magistratura uno dei più tristi casi irrisolti consumatisi nel Salento e che tuttora, per la gravità dei fatti e il fitto velo di mistero che ancora cela l’identità del colpevole, lascia sgomenti.
E’ il 12 settembre del 1992 e nella località balneare di Torre Chianca, a pochi chilometri da Lecce, si respira ancora per poco la calura e la staticità dei primi pomeriggi di fine estate. Un bimbo di 3 anni, Daniele Gravili, faccia paffuta e occhi vispi, sta giocando da solo nel cortile di una casa a circa cinquecento metri dal mare mentre i suoi genitori, Silvana e Raffaele, sono impegnati a carica le ultime valigie in auto, pronti a tornare a casa dopo le vacanze. Accade tutto in una manciata di minuti. I coniugi Gravili si accorgono troppo tardi che, d’un tratto, il cancelletto della loro abitazione prima ben chiuso è stato aperto e Daniele è scomparso. Silvana e Raffaele lo cercano disperatamente dappertutto, suonano i campanelli delle abitazioni vicine, ma qui pochi residenti del posto sembra non abbiano visto niente. Qualche ora dopo, un ragazzo di 12 anni che si trova di passaggio sulla spiaggia riconosce, abbandonato sulla battigia come un fantoccio, il corpo agonizzante di un bambino. Si tratta proprio del piccolo Daniele, in faccia in giù nella sabbia. E’ ancora vivo quando arrivano i soccorsi, che prima tentano di rianimarlo in loco e poi lo trasportano a sirene spiegate presso l’ospedale Vito Fazzi di Lecce, eppure poche ore dopo, alle 21, il suo cuore cessa di battere. L’autopsia disposta sul corpicino del piccolo scoperchia poi l’orrore; Daniele è stato violentato e i suoi polmoni sono stati ostruiti dalla sabbia, causandone la morte. Qualcuno, infatti, forse un abitante del posto oppure un turista di passaggio, lo ha allontanato da casa, ha abusato di lui e gli ha premuto la testa nella sabbia affinché non urlasse. Le indagini della procura, per identificare il responsabile di un simile crimine, scattano subito. 19 persone vengono interrogate, ma le testimonianze sono inconsistenti. La ricerca dell’orco risultata difficoltosa da principio anche per quell’ostinata coperta di omertà che nessuno è disposto a sollevare. Infatti, le testimonianze sono poche e a volte contraddittorie, e di quei contati frequentatori che si trovavano in spiaggia nessuno parla. La triste storia di Daniele Gravili rimbalza in poco tempo sui giornali, richiamando sulla piccola provincia leccese l’attenzione dell’intero paese. Silvana, la madre del piccolo Daniele, lancia allora un appello a tutta la provincia: “Chi ha visto l’assassino parli!”, ma l’accorata richiesta di aiuto cade nel vuoto. Seguono alcune segnalazioni, spesso anonime, che giungono alla squadra mobile di Lecce anche a distanza di anni; prima una telefonata e poi una lettera scritta con ritagli di giornale, ma le indagini non subiscono nessuna svolta. Anzi, dopo tre anni il caso viene ufficialmente archiviato. Fin quando, nel 2010, spunta la testimonianza di una giovane ragazza 26enne, bambina all’epoca dei fatti, che ai microfoni di Chi l’ha visto avrebbe dichiarato di aver notato ” una macchina bianca” sfrecciare a forte velocità verso l’uscita di quel tratto di strada chiusa” che conduce alla spiaggia. “Una fatto anomalo- si legge nella nota riportata sul sito- “dal momento che tutti percorrevano lentamente quella via, proprio perché frequentata da tanti bambini.” Si spera così di portare alla riapertura del caso, ma questo non succede. E la verità sulla storia del piccolo Gravili sfugge di nuovo, quasi come se la morte di Daniele fosse da imputare davvero a un orco nascosto solo nelle favole. Intanto, sono passati 25 anni e del colpevole non c’è traccia. Silvana e Raffaele sono andati a vivere lontano, mantenendosi a debita distanza dalle telecamere. Forse anche chi ha visto e non ha parlato ha abbandonato quei luoghi, forse anche l’orco non c’è più. Le vecchie case balneari, a Torre Chianca, vengono riaperte a ogni nuova estate, per far andare via l’odore di chiuso e di umido, si ritorna in spiaggia e la vita continua a scorrere come sempre, un anno uguale all’altro e a quello precedente.