Il “profondo e permalosissimo Sud”, la Reggia di Caserta e la dignità negata.
Claudia Arletti sulle pagine del settimanale di Repubblica “Il venerdì” del 19 agosto scorso ha pubblicato un lungo intervento dedicato al neo direttore della Reggia di Caserta, Mauro Felicori. Non nascondiamocelo quest’articolo ha un suono strano e un sapore per molti amaro tanto più se consideriamo che esso è pubblicato da una testata nazionale. L’amarezza è da parte di coloro che leggendo hanno scoperto di vivere nel “[…] profondo e permalosissimo Sud […]”. Colpisce prima di tutto il termine “profondo” per indicare Caserta e perciò sarebbe da chiedersi se città come Bari e Lecce appartengano al “profondissimo” e Palermo all’iperprofondo Sud. Tutto molto surreale. Non sappiamo da quali olimpiche alte vette la giornalista cominci a prendere le distanze (perché questo si vuole fare evidentemente) e con un piglio che qualcuno potrebbe definire anche leghista, certo è che usare tale termine, assolutamente inutile e gratuito nell’economia dell’articolo, appare lontano da ogni buon senso e soprattutto buona educazione. Ha ragione però la Arletti quando etichetta il Sud, secondo uno dei luoghi comuni più vecchi e diffusi in certi contesti, come “permalosissimo” mettendo le mani avanti rispetto alle critiche che evidentemente si aspetta. Sarebbe da indagare in ogni caso su cosa si intenda per permalosità. Probabilmente si allude alle reazioni di chi del Sud è (o nel Sud vive conoscendolo) quando si denigra questa parte d’Italia. Chi, dell’altissimo Nord come del profondissimo Sud, avrebbe una reazione diversa? Chi si lascerebbe offendere? Chi vorrebbe essere gioco di luoghi comuni dietro i quali ci sarebbe solo la noia e, diciamolo pure, probabilmente anche l’ignoranza? Forse, verrebbe da pensare con indulgenza, si è usato il termine “permalosissimo” ma si intendeva “orgogliosissimo”? Capita a tutti di usare i termini in modo non abbastanza adeguato. D’altro canto poi, con una inappropriatezza terminologica ben più discutibile, la stessa giornalista definisce la Reggia di Caserta “un castello in lenta rovina piantato in mezzo a un deserto”. Che l’edificio non sia una fortezza è fin troppo evidente e così pure che la Reggia non era “in rovina” fino allo scorso anno né che si trovi “in mezzo ad un deserto”. Verrebbe da dilungarsi ma si preferisce lasciare a chi lo voglia la libertà di documentarsi sul patrimonio culturale dell’area campana in una delle tante biblioteche che pure popolano questo “profondo Sud”. L’articolo del “Il Venerdì” però è estremamente importante (e dobbiamo esserne felici) perché mette a nudo in poche battute un pensiero che serpeggia da circa un anno a questa parte con la nomina dei nuovi direttori e si risolve nella stranezza cui si accennava. Le parole usate nell’articolo rivelano infatti il ricorso ad un espediente retorico. Al di là del fatto che anche nel “profondo Sud” qualche libro lo hanno letto, c’è l’aggravante poi che da quelle parti hanno pure un certa dimistichezza con l’arte della retorica. Pare infatti, secondo la Treccani, che quell’arte sia nata proprio lì ed esattamente a Siracusa città ancora più giù dell’iperprofondo Sud di Palermo, quasi “altro mondo” verrebbe da dire secondo il pensiero di qualcuno. Non sappiamo quanto volutamente si sia adottato questo espediente retorico, certo è che espressioni come “profondo e permaloso Sud”, “castello in lenta rovina etc.” hanno lo scopo di fare tabula rasa di tutto ciò che c’era prima dell’arrivo del nuovo direttore della Reggia. Non si vuole qui entrare nel merito dell’operato del direttore (è troppo presto) ma viene difficile pensare a M . Felicori nei panni di un novello Redentore, un Salvator Mundi nella e della terra di nessuno. Non deve essere così, non può essere così perché è necessario avere rispetto di tutti i cittadini (e in questo caso di quelli del Sud figli di coloro che costruirono quella Reggia) così come dei molti funzionari e dirigenti del MiBACT (Ministero dei Beni Culturali da cui la Reggia dipende) che bene hanno operato per la tutela e valorizzazione della Reggia con i pochissimi mezzi e regole gestionali che avevano a disposizione fino al 2015. D’altro canto la tabella dei visitatori riportata nell’articolo stesso parla chiaro. Con la vecchia gestione della Reggia i dati dal 2014 al 2015 rivelano una crescita del numero di visitatori e quindi contraddicono quanto contenuto nello stesso articolo dove si scrive di “una lenta rovina”. E questo trend positivo per il 2015 interessa tutti i mesi con l’unica eccezione di Agosto. Non è poco se si ricorda che strumenti e risorse per pubblicizzare la Reggia con la vecchia normativa erano ridotte al lumicino a differenza di quanto accade oggi. Nei primi sei mesi del 2016 il trend positivo è ancora in crescita ma, sottolineamolo per correttezza scientifica, i dati del 2016 non possono confrontarsi con quelli degli anni precedenti perché sono cambiate le regole di gestione che consentono oggi una maggiore visibilità pubblica alla Reggia. Il problema più importante rimane però quello del rispetto del Sud; chi qui abita non ha bisogno di fiducia, né dell’ennesimo salvatore ma di onestà, chiarezza, rispetto delle leggi e delle regole a partire da quelle della buona educazione. Oggi una giornalista di Repubblica sprofonda il Sud, ieri all’inaugurazione del Museo Archeologico di Taranto in sede di conferenza la neo-direttrice, E. Degli Innocenti (anche quest’ultima fra i vincitori del concorso per dirigere uno dei 20 grandi musei nazionali così come M. Felicori), dimentica di ricordare il nome del progettista del nuovo allestimento, A. Ressa, e di chi ne ha avuta la cura scientifica, la dott.ssa A. Dell’Aglio (entrambi della locale soprintendenza). E da ultimo: se a livello nazionale ed internazionale si parla tanto e bene del clamoroso intervento pugliese di Edoardo Tressoldi è perché un architetto del Sud, Francesco Longobardi, spesso dimenticato quando si parla della “ricostruzione” della basilica paleocristiana di Siponto, ha creduto e quindi voluto quell’artista lombardo. Sono proprio queste vicende a dimostrare l’inesorabile decadenza di una parte di questo paese, sempre più circo felliniano popolato da pifferai magici, saltimbanchi, pagliacci, trapezzisti e domatori.
Fabio A. Grasso