Militare muore dopo aver inalato amianto sulle navi della Marina: condannato lo Stato
TARANTO- Una vita sulle navi della Marina Militare Italiana. Per anni a respirare polveri d’amianto degli impianti non ancora bonificati: per questo è morto un militare di 48 anni, tarantino, Capo di prima classe, deceduto per “carcinoma polmonare con insufficienza cardiorespiratoria”. Il Tar di Lecce ha condannato lo Stato con una sentenza destinata a essere punto di riferimento anche per tutti gli altri salentini in servizio nell’arsenale ionico.
A trascinare in tribunale il Ministero della Difesa, Comitato di Verifica per Le Cause di Servizio, è stata la moglie, difesa dall’avvocato Giuseppe Misserini. La vedova aveva impugnato il provvedimento con cui era stata respinta l’istanza volta ad ottenere i benefici riconosciuti ai soggetti equiparati alle vittime del dovere.
Il sottufficiale era in servizio presso la sede di Taranto sino al grado ricoperto al momento della morte. Il paradosso? L’amministrazione aveva giudicato come dipendente da causa di servizio l’infermità che ha condotto al decesso, ma allo stesso tempo l’aveva ritenuta non riconducibile alle particolari condizioni ambientali od operative di missione.
Illegittimo, secondo i giudici, il provvedimento, perché “è pacifico” che il maresciallo della Marina “sia stato continuativamente esposto all’inalazione di polveri di amianto, avendo prestato servizio per molti anni su Unità Navali costruite con l’impiego di amianto non sottoposto a restrizioni”. Sintetica la sentenza del Tar, che non ha lasciato alcun dubbio sull’accoglimento del ricorso.
Il Consiglio di Stato ha chiarito, infatti, che “ai fini del riconoscimento della condizione di equiparato alla vittima del dovere, è necessario e sufficiente che il militare abbia contratto l’infermità in occasione o a seguito dello svolgimento della propria attività di servizio a bordo delle unità navali, ovvero su mezzi o in infrastrutture militari nei quali era documentabilmente presente amianto” (Consiglio di Stato, sez.III, l° giugno 2010, n. 1693).
C’è dunque un sillogismo: se qualcuno è stato imbarcato su navi in cui tubature e altro erano d’amianto e poi si è ammalato, è automaticamente da considerare vittima del dovere, “non sussistendo ulteriori oneri probatori”.