Operazione “INFAME”: I dettagli che hanno portato all’arresto Di Napoli.
Questa mattina i Carabinieri del Comando provinciale di Taranto e della sezione Anticrimine del Ros di Lecce hanno eseguito un’ordinanza del Giudice per le Indagini Preliminari, dottor Giovanni Gallo, con la quale è stata applicata la custodia cautelare in carcere a Giovanni Di Napoli, ritenuto mandante del triplice omicidio commesso il 17 marzo 2014 in agro di Palagiano in provincia di Taranto, sulla strada statale 106. Nell’agguato persero la vita il 42enne palagianese Cosimo Orlando (che si trovava in regime di semilibertà e stava rientrando al carcere) la sua convivente 30enne Carla Maria Rosaria Fornari e uno dei figlioletti di quest’ultima il piccolo Domenico Petruzzelli di soli 2 anni e mezzo. Tutti colpiti da proiettili di pistola calibro 9×21.
Secondo la ricostruzione dei Carabinieri della Sezione investigazioni scientifiche del reparto operativo di Taranto, erano stati esplosi non meno di 13 colpi di pistola dei quali 3 avevano colpito Cosimo Orlando, 9 Carla Fornari e il 2 il piccolo Domenico. I colpi erano stati esplosi da uno degli occupanti di una autovettura che si era affiancata alla Chevrolet alla cui guida era la donna e a bordo della quale era Orlando seduto sul sedile anteriore con in braccio il piccolo Domenico e sul sedile posteriore gli altri due figli de lla Fornari di 7 e 8 anni, rimasti fortunatamente illesi. La determinazione con la quale era stata condotta l’azione omicida risulta dal numero dei colpi esplosi, dalla loro esplosione contro entrambi i lati della Chevrolet, anche dopo il suo impatto contro il guardrail. A causa della gravità dell’episodio, 4 giorni dopo si tenne a Taranto una seduta del Comitato Nazionale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica presieduta dal Ministro dell’Interno.
Le indagini immediatamente avviate dalla Procura Distrettuale Antimafia di Lecce, di concerto con la Procura di Taranto, consentivano ai Carabinieri di Taranto di recuperare dapprima in un’area campestre in località Chiattona di Massafra, a poche centinaia di metri dalla statale 106, e a circa 3,5 km dal luogo dell’eccidio, una pistola Beretta modello 98 FS calibro 9×21 con matricola abrasa – che i Carabinieri del Ris di Roma avevano accertato essere quella usata per sparare- un fucile semiautomatico Benelli modello 80 Special calibro 12 con canne mozzate e matricola abrasa e relativo munizionamento, e poi, nella pineta di Chiatona, a pochi metri dalle armi, una autovettura Opel Astra, incidentata, rubata pochi giorni prima a Taranto.
I successivi approfondimenti investigativi si articolavano nella ricerca, nell’acquisizione e nell’esame di un imponente numero di immagini riprese da sistemi di videosorveglianza installati nell’abitato di Palagiano e lungo l’intero itinerario percorso dalle vittime a partire dalle ore uscita da casa e fino al luogo dell’agguato; nell’analisi dei flussi telefonici e delle celle di telefonia impegnate nelle ore e nei luoghi di interesse; nella raccolta di testimonianze di persone a conoscenza di circostanze utili per lo sviluppo delle indagini (sempre di difficile acquisizione per l’assenza di collaborazione da parte della gente); nella attivazione di intercettazioni di comunicazioni debitamente autorizzate dal Giudice per le indagini preliminari.
Tali indagini consentivano di concentrare l’attenzione investigativa sul mandante dell’omicidio, il 62enne Giovanni Di Napoli, già elemento di spicco del clan Putignano, cui era appartenuto anche Cosimo Orlando. E’ emerso, infatti, che quest’ultimo ammesso al regime di semilibertà nel novembre 2013, dopo un lungo periodo di detenzione in esecuzione della sua condanna per un duplice omicidio commesso nel 1998 (Lacava – Scarciello) avrebbe manifestato atteggiamenti di ostentato risentimento e insofferenza verso Giovanni Di Napoli, nei cui confronti aveva tenuto condotte violente e atteggiamenti intimidatori, ripetuti danneggiamenti dell’autovettura BMW 730 di Di Napoli ( commessi anche alla presenza di Carla Fornari che partecipava all’ultimo atto di danneggiamento, il giorno prima di essere uccisa), ripetute minacce di morte e comportamenti vessatori di ogni genere, culminati in un episodio verificatosi alla presenza di più persone in un bar di Palagiano, dove Orlando aveva platealmente preso a schiaffi Di Napoli, chiamandolo “infame” (da cui il nome dell’operazione di cui si tratta) con evidente riferimento a condotte che Di Napoli – in posizioni di vertice del clan mafioso del quale entrambi avevano fatto parte ( ed entrambi erano stati arrestati nel 1995 nella operazione Diana del Reparto Operativo dei Carabinieri di Taranto) aveva tenuto violando le regole dell’ associazione. Di Napoli, invero, avrebbe omesso di sostenere economicamente Orlando durante la sua detenzione in carcere a seguito della menzionata condanna per duplice omicidio (il cui movente era legato a dinamiche criminali del Territorio), così disattendendo le aspettative di Orlando che secondo le “regole” del clan avrebbe avuto diritto a ricevere un contributo economico da Di Napoli che era in opposizione a lui sovraordinata.
Dal contesto investigativo emergeva infatti la determinazione della eliminazione anche di Carla Fornari raggiunta da una gragnola di colpi, in quanto, se fosse sopravvissuta, avrebbe potuto fornire indicazioni utili per la identificazione degli autori dell’agguato: possibilità tutt’altro che remota in quanto già nel processo per l’omicidio del marito Domenico Petruzzelli (ucciso a Palagiano nel 2011 insieme con Domenico Attorre) Carla Fornari aveva reso dichiarazioni alla Corte di Assise di Taranto in virtù delle quali autori di quello omicidio erano stati condannati all’ergastolo (è in corso il processo di appello).
A Giovanni di Napoli sono state contestate le aggravanti della premeditazione e del metodo mafioso, per essersi avvalso, stante la sua notoria appartenenza ad associazione di tipo mafioso, delle condizioni di cui all’ articolo 416 bis codice penale, in specie di quelle di assoggettamento e di omertà del concorso ambientale e sociale, nel commettere un omicidio in zona di influenza di associazione di tipo mafioso con modalità plateali ed esemplari. La sussistenza del metodo mafioso ha comportato che le indagini sono state svolte dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Lecce ai cui magistrati sono attribuite le funzioni di pubblico ministero per le vicende commesse con modalità mafiose o finalità di agevolazione mafiosa. L’attività d’indagine delegata ai carabinieri si è giovata anche della costante compartecipazione degli investigatori della Polizia di Stato in un clima di leale collaborazione non nuovo in terra salentina.